L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello. Una serie di racconti al contempo reali e surreali, sulla potenza del nostro inconscio, che anche malato lotta per ristabilire l’equilibrio e conservare la sua identità, per strani che possano essere i mezzi usati.
Oliver Sacks, celebre neurologo, nasce a Londra nel 1933 da genitori medici e rimane fortemente attratto dai “casi clinici”. Considera la neurologia come una scienza romantica, che dà importanza alla condizione esistenziale del paziente. La sua medicina narrativa ha prodotto numerosi bestseller, tra cui L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello (1985, Adelphi) in cui chiama in gioco il bisogno antropologico dell’uomo di raccontare e raccontarsi.
Caos organizzato
Quella del signor P., professore di musica, è la vicenda che dà il nome al libro. Colpito da una patologia per cui non riesce più a inquadrare i volti delle persone, le riconosce dalla loro musicalità: dal ritmo del loro incedere, dal tono della voce. Vede un mondo picassiano, fatto di forme cubiste, di insiemi senza dettagli. C’è qualcosa di terribile nel non riuscire a distinguere una rosa. Incredibile come non si renda conto di essere malato, e come il suo io inconsapevolmente si manifesti. I quadri che il signor P. dipinge infatti, diventano sempre più astratti, come la dimensione in cui precipita. Attraverso l’arte il suo essere grida la sua condizione, attraverso la musica la mente riorganizza il suo mondo.
Non riesce a fare nulla se non lo trasforma in una melodia.
Moglie del signor P.
Quasi illogica pare la storia di “Ray dei mille tic”, tourettiano grande appassionato di musica jazz, che inizia con Sacks una cura. Ma il farmaco che prende attutisce e banalizza il suo talento musicale e, sebbene riesca a controllarsi meglio, non si diverte più e non eccelle più in nulla. Non percuote con ardore la batteria che tanto ama, non imbocca le porte scorrevoli col solito slancio bambinesco, non sconcerta con la sua indomita faccia tosta. Persino i suoi sogni diventano piatti. Un po’ come un clown in un grigio mondo di banchieri. Malato da sempre, Ray conosce solo la vita eccessiva e impulsiva. Paradossalmente preferisce le montagne russe della sua vita a un’esistenza completamente sobria. «Che cosa rimarrebbe?» si chiede «Io sono fatto di tic: non rimarrebbe niente».
E quanto alla malattia: non siamo piuttosto tentati di chiederci se potremmo davvero farne a meno?
Nietsche
Reinventarsi
Cosa controlla il nostro corpo? Cosa gli impedisce di agire impulsivamente? La propriocezione è quel flusso inconscio ma continuo presente dentro di noi, che assieme a vista ed equilibrio, regola i nostri movimenti. È come un sesto senso, un senso segreto. Noi non mettiamo mai in discussione il nostro corpo: è incontestabilmente dato. Ma se ci capitasse la sorte di Christina, che di colpo a ventisette anni perde il controllo di se stessa? Le gambe non rispondono, la mascella cade: si sente disincarnata. Come in quegli incubi in cui siamo paralizzati dal terrore e muoviamo solo gli occhi. Persa la propriocezione, gli occhi del corpo, deve governarsi usando la vista.
Il mio corpo non può “vedere” se stesso […] così tocca a me essere i suoi occhi.
Christina
In un certo senso è stata svuotata, ha perso l’àncora della sua identità, quella che Freud definisce io corporeo. Anche il suo inconscio diventa inerme. E così per compensare le pose innaturali in cui cade, si costringe ad assumere delle posture “artificiali”. È come vivere all’interno di un fantoccio in cui noi stessi siamo sia burattinai sia marionette.
E se al contrario avessimo troppa vita dentro di noi? Bizzarra l’autodifesa che è costretto ad adottare William, la cui memoria non trattiene nulla per più di qualche secondo. Il suo organismo non riesce a tollerare l’incoerenza intrinseca del suo cervello, perciò la sostituisce con un delirante flusso di invenzioni di identità. Deve letteralmente reinventare se stesso e il proprio mondo ad ogni istante, un po’ come un improvvisatore. Solo in mezzo alla natura, senza ordini umani o obblighi sociali, il suo delirio si allenta. E siccome noi siamo la nostra storia, questa è la “patologia ultima”. L’uomo che ha perduto il suo mondo, ha perduto la sua realtà senza saperlo: il danno ha colpito la sua stessa anima.
Il mondo dei semplici
Se nel caso del signor P. c’è una caduta nell’astratto, con i “semplici” c’è una conservazione del concreto. Spesso chiamati “minorati mentali”, vengono il più delle volte ignorati dalla medicina. Eppure sono capaci di una grande profondità d’animo, e per compensare le loro carenze potenziano il lato immaginativo o mnemonico. Possiamo considerarli alla stregua di bambini: mentre la loro capacità di comprendere i concetti generali è ancora inesistente, sono in grado di capire argomenti complessi quando presentati in forma di storie. Il loro motore sta nella capacità di ricondurre la realtà a metafore e simboli. Casi del genere sono a dir poco sbalorditivi, come quello dei gemelli, veri geni dei numeri, che riescono a “vedere” quanti fiammiferi sono contenuti in una scatola al solo rumore che questa fa cadendo per terra. O ancora il caso di Rebecca, incapace di leggere un libro ma dotata di uno straordinario linguaggio poetico.
Sono come un tappeto […] Se non c’è un disegno, vado in pezzi, mi disfo.
Rebecca
La vita della mente
A volte, quando ci ammaliamo, siamo come luci spente. Vorremmo semplicemente compiangerci o scomparire. Per questo i casi che Sacks ci descrive sembrano assurdi. Come può una persona che ha perso tutto, persino se stessa, trovare la forza di andare avanti? Se non avessi più nemmeno il mio corpo, come potrei ricominciare da capo? Sarei mai capace di scegliere di rimanere malata, come Ray? Sacks crede che la nostra mente abbia una vita, e che un’esistenza ricca e piena possa aiutare a sormontare anche un grave squilibrio fisiologico. Qua l’autore rivela la sua grande umanità, e quasi ci dà la formula vincente: la volontà di sopravvivere come individuo unico e inalienabile è il potere più forte del nostro essere, più forte anche della malattia.
Da un punto di vista biologico, fisiologico, noi non differiamo molto l’uno dall’altro; storicamente, come racconti, ognuno di noi è unico.
Oliver Sacks
Blu Di Marco
(In copertina di “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello” Jr Korpa da Unsplash)