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Schwa (ə) – La parità che cerchiamo, non quella di cui abbiamo bisogno

Schwa

Quanto può valere la forzata modificazione di qualcosa che ci viene così naturale come parlare la nostra lingua, nel concetto di parità di genere?


Cominciamo?

Sottolineando di non essere una linguista professionista, e sottolineando ancora di più che ogni persona attorno a me si stia autoproclamando tale, poiché si pensa seriamente di poter decidere il destino di parte della grammatica italiana, mi improvviserò linguista anch’io.

Penso che tutto ciò che ruota attorno al concetto di Schwa, asterischi e U – messe un po’ perché forse l’asterisco sembra estremo anche a te, un po’ perché magari ti sembra di parlare napoletano quando provi a dire “Quellə” invece che quello o quella – sia un po’ sfuggito di mano.

Non contesto la fantasiosa idea di concentrarsi sulla destrutturazione una lingua con genere grammaticale (bella fregatura comunque, dato che implica che ogni sostantivo sia maschile o femminile per forza); più che altro mi sfugge il motivo dell’isteria dietro un fenomeno su cui non abbiamo potere, almeno non consapevolmente.

Una lingua storico naturale, come l’italiano, ha subìto così tante modifiche diacronicamente (e molto difficilmente per spinta consapevole della popolazione, ma per motivi che riguardano l’economia della frase, l’iconicità, la motivazione comunicativa e molto altro) che sarebbe un insulto alla storia pensare di riuscire a modificarla in qualche anno per un problema che si riflette per frustrazione nella grammatica, e che non può essere risolto dove invece c’è bisogno di mettere mano.

Cos’è importante davvero?

Ho sentito pochissime volte parlare di quello che sta succedendo nei bassifondi dei rapporti sociali, durante questa pandemia. La gente non esce, e quando una donna si deve rifare la carta d’identità, deve andare ad un controllo medico, deve fare la spesa, viene quasi puntualmente seguita da chi le grida qualcosa, le tocca il sedere, le fa Catcalling per strada.

E chiudiamo una volta per tutte qualsiasi dubbio su questa bellissima attività: anche solo fischiare o dire “Ehi figona, che bella che sei, perché scappi? Ti volevo solo fare un complimento” fa paura. A una ragazza che cammina da sola per strada e sa che non potrebbe difendersi fa paura. A una donna che si trova in mezzo alla gente in pieno giorno e viene ingannata da chi dice di volerle chiedere indicazioni stradali fa paura. Svilisce. Ti rende impotente.

C’è un mondo di avvilimento, di sfruttamento, di considerazione della donna, che aleggia in superficie e impuzzolentisce tutto l’interno di questa società che dice di volerci aiutare, di stare dalla nostra parte.

Lingua maschilista o menti maschiliste?

Siamo in un’epoca così giustamente aperta, eppure così stranamente rigida, che chiunque abbia un pensiero che differisce dal quadro delle possibilità che sono in tendenza perché innovazioni (e accettate perché dai, sono innovazioni, va bene tutto purchè si vada avanti) in un qualche modo condanna il tuo pensiero facendoti sentire di mentalità chiusa; quando, alcune volte, hai delle opinioni che sono semplicemente… altre. Non chiuse o poco collaborative. Altre e basta.

Sarebbe forse provocatorio dire che anche il più accanito degli asteriscatori o la più accanita delle Schwasimanti non riesce comunque a parlare utilizzando questo nuovo sistema, perché non fa parte del nostro istinto, dell’innata competenza che ci fa distinguere una frase corretta nella nostra lingua madre da una frase non corretta. Che a noi piaccia o no, questa è la nostra lingua in questo momento.

Ed è vero, è una lingua estremamente maschilista, perché se non esistono dei termini complementari maschili e femminili è perché i ruoli un tempo erano diversi e profondamente sbilanciati; ma sfortunatamente il vero problema è che ci sia qualcuno che prenda una lingua vecchia di secoli e secoli come capro espiatorio per delle mentalità che, a differenza del tempo, della storia e della consapevolezza, non hanno nemmeno accennato a un cambiamento. 

Essere Femminista:

Non mi ricordo mai di mettere l’asterisco dove dovrebbe essere messo. E non sono l’unica, vedi l’incipit di Fuori di Testo di Valentina Notarberardino, “carissim* lettor*”, in cui lettor indica comunque un individuo di sesso maschile, perché il corrispondente femminile di “lettore” sarebbe “lettrice” e di conseguenza l’asterisco dovrebbe essere posizionato dopo la seconda occlusiva alveolare sorda “t” (lett*); ma questo cozzerebbe con parole che magari appartengono a categorie grammaticali e – perché no? – lessicali, totalmente diverse (“letto”?).

Questo fa di me una poco agguerrita femminista? Secondo me no. Semplicemente, però, penso ci siano altri risultati da raggiungere prima. Quando scrivo su un gruppo “ehi ragazzi”, lo scrivo pensando sia alle femmine che ai maschi indipendentemente, come l’espressione inglese “you guys” rivolta anche a un gruppo di sole ragazze. D’altronde, esistono lingue, come per esempio il Russo, in cui è appianato il problema del femminile e del maschile nelle parole, perché viene utilizzato un unico plurale per gli aggettivi maschili e femminili, eppure non mi sembra che spicchi tutta questa uguaglianza (nonostante stiamo entrando in un pericoloso terreno stereotipato).

 Essendo femmina, e avendo idee anche abbastanza precise sul ruolo che alla donna dovrebbe spettare nella società, non mi oppongo al cambiamento, ma penso che ci siano tipi di cambiamento che dovrebbero essere analizzati con molta più attenzione della solita leggerezza con cui si accoglie una U al posto di una O o di una A. Essere femminista significa lottare dando tutti noi stessi per ottenere una parità che, finchè dovrò uscire di casa vergognandomi per le gambe troppo in vista o tenendo le chiavi di casa sempre a portata di mano, non esiste.

Impariamo dalla storia e modifichiamola con il pensiero, ma non cancelliamola

Penso che la Schwa, insieme a tutto il resto del bagaglio culturale e morale che si trascina sudando dietro di sé la lingua italiana, sia davvero l’ultimo dei problemi su cui soffermarci così accanitamente. E se non possiamo proprio farne a meno, possiamo creare da ciò che abbiamo già quello che ci manca, come abbiamo sempre fatto.

In fondo, che sia Architetto o Architetta, che sia Direttore o Direttrice, che sia Segretaria di Stato o Segretario di Stato, che sia Magistrata o Magistrato, la persona fa la differenza, insieme alla sua unicità. Il valore di un individuo si misura nella potenza delle sue azioni e dei suoi pensieri, e non nel morfema flessionale di un sostantivo.

Elettra Dòmini

(In copertina rielaborazione grafica di Schwa da onlygfx.com)


Schwa (ə) – La parità che cerchiamo, non quella di cui abbiamo bisogno è un articolo di Voci, una rubrica a cura di Elettra Dòmini.

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Sull'autore

Vivo nella bellezza delle mie passioni, consapevole che un giorno, quando sarò una grande scrittrice, una ricercatrice di successo, o una professoressa di linguistica in università, tutto quello che mi ha permesso di diventare l'adulta che voglio diventare, lo avrò scelto da sola. Contenta. Ed entusiasta.
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