Per celebrare i sessant’anni dal primo (e fortunato) volo nello spazio del cosmonauta Jurij Gagarin, Arianna Bandiera ricorre le tappe fondamentali che hanno trasformato il viaggio nel cosmo da rêverie letteraria a realtà.
Fantascienza
Isaac Asimov identificò nel Somnium di Keplero la prima opera fantascientifica. Volendo convincere gli uomini medievali della teoria eliocentrica, l’autore descrisse quella che, forse, fu la migliore utopia del secondo millennio. Keplero narra di essersi addormentato e di aver sognato la storia di un giovane ragazzo islandese e di sua madre che, accompagnati da un demone, partivano verso l’isola di Levania, ossia la Luna.
Questo primo racconto dell’uomo tra le stelle (ma in verità esistevano alcuni precedenti illustri: basti pensare al viaggio sulla luna di Astolfo nell’Orlando Furioso) riscosse grande interesse, al punto che ne seguirono, negli anni, molti altri dello stesso tipo; venne così a formarsi quella che oggi chiamiamo letteratura fantascientifica. Sono poi serviti diversi decenni e una guerra fredda, ma alla fine gli uomini del secolo scorso sono riusciti, almeno in parte, a realizzare quelle affascinanti fantasticherie.
Il Primo degli Skywalker
Come succede a ogni eroe da manuale, la storia di Jurij Alekseevič Gagarin è stata, con ogni probabilità, adornata di numerosi fronzoli.
Si racconta che si sia avvicinato al volo da bambino un giorno in cui, tornando da scuola, si imbatté in due aerei sovietici, con i rispettivi piloti: uno dei due velivoli era stato colpito, e i due erano stati costretti a passare la notte sul posto, per non lasciare i mezzi incustoditi. Il piccolo Jurij decise di far loro compagnia. Fu questo, secondo alcuni, l’inizio della sua grande passione.
Storia vera è che fosse uno dei quattro figli di un falegname e di una mungitrice. Coltivando il sogno di volare, a 21 anni si iscrive alla scuola di volo militare dell’Orenburg, per poi ottenere il diploma un paio d’anni più tardi. A 26 anni aggiunge il suo nome a una lista di tremila candidati, tutti pronti a compiere l’impresa che avrebbe conferito definitivamente all’Unione Sovietica il primato nella corsa allo spazio.
Un uomo, non più un cane o una scimmietta, avrebbe dovuto attraversare le nuvole, l’atmosfera e solcare il cielo; e quell’uomo sarebbe dovuto essere un sovietico. È abbastanza semplice immaginare cosa abbia indirizzato la scelta finale di Jurij Gagarin come protagonista della missione: oltre a trattarsi di un giovane brillante e di spettata onestà, le sue umili origini si prestavano molto bene ai fini della propaganda sovietica.
Giro del mondo in 1680 secondi
Erano le 9:07 (ora di Mosca) del 12 aprile 1961 quando il lanciatore Vostok 1, un complesso oggi rudimentale, allora capolavoro d’ingegneria, decollava lanciato a un’accelerazione pari a 7 volte quella di gravità terrestre. Di lì a pochi minuti, Jurij Gagarin viaggiava nell’orbita terrestre a una velocità di 27˙400 km/h, diventando contemporaneamente l’uomo più veloce, alto, importante, solo del pianeta. Il suo ruolo all’interno della stretta capsula era marginale per valide ragioni. Gli effetti della microgravità sull’essere umano erano sconosciuti, era quindi stato deciso che un opportuno supercomputer avrebbe interamente gestito la navicella da terra. Al cosmonauta (questo è infatti il nome degli astronauti russi) spettava il solo compito di tenersi in contatto minuto per minuto con la stazione di controllo e, preferibilmente ma non necessariamente, garantire la propria incolumità dal decollo all’atterraggio. Nel pannello di controllo della navicella era incastrato un particolare mappamondo che lo teneva aggiornato sulla zona del pianeta che stava sorvolando. Tre oblò gli permettevano di osservare per primo la Terra da un’altitudine di 302 km.
Il cielo è molto nero. La Terra è blu. Tutto è molto chiaro.
Jurij Alekseevič Gagarin
Anche l’atteraggio, nonostante qualche lieve difficoltà, alla fine funzionò come da programma. Quando raggiunse l’altitudine di 7˙000 metri Gagarin si catapultò fuori dalla capsula e si paracadutò a terra, nella steppa kazaka. Di lì a pochi giorni sarebbe diventato protagonista delle prime pagine di tutto il mondo.
Simbolo
Aleksej Leonov fu all’epoca uno dei candidati al volo sulla Vostok 1, successivamente divenne il primo uomo a rimanere sospeso nello spazio, fuori dalla navicella. In un servizio effettuato per il programma Space raccontò che quel 12 aprile, dopo il celebre volo, uscì nel centro di Mosca e rimase stupito davanti a una folla tanto festosa che inneggiava al ritorno dell’amico cosmonauta. Per lui l’impresa rappresentava solamente lavoro, il frutto finale di uno sforzo durato anni. Al giorno d’oggi, invece, ogni 12 aprile la Russia festeggia la Giornata dei Cosmonauti.
A pensarci bene, ciò che realmente fece Gagarin per diventare una leggenda non fu molto più che sottoporsi a un addestramento e in seguito restar fermo, seduto in un abitacolo per poco meno di due ore. Eppure negli anni successivi furono tanti i bambini che nacquero “Jurij”, 40 paesi lo accolsero in patria come un eroe, per diverso tempo gli fu vietato di volare perché ritenuto un uomo troppo prezioso. Tutt’oggi alcuni astronauti, prima del volo, si recano a bere l’acqua del pozzo che era della sua casa d’infanzia, altri portano un fiore alla sua tomba. C’è chi, tuta addosso, svuota la vescica contro le ruote dell’autobus che lo conduce al razzo, proprio come Gagarin fece per primo esattamente 60 anni fa.
Forse il mondo lo trattò come tale, ma verosimilmente non fu un supereroe. Jurij Gagarin rappresentò piuttosto l’inizio di una generazione nuova e rivoluzionaria, capace di portare nelle nostre vite quotidiane quella che un tempo era fantascienza. Gli sforzi economici, politici e scientifici di una nazione intera e i fallimenti di tanti prima di lui alla fine gli permisero di arrivare là dove divenne leggenda.
Arianna Bandiera