Cultura

Cosa ci lascia la pandemia? – 2020, un anno di cambiamenti e riflessioni

Parole pandemia

Il cambiamento dell’uomo nella seconda decade del nuovo Millennio. Percezioni, parole, idee e rapporti sono radicalmente mutati nel nostro inconscio dopo la pandemia. Ma ciò è davvero avvenuto solo in un’ottica negativa o qualche progresso positivo è rinvenibile?


Introduzione

Lo sentiamo ripetere in tutte le salse ormai: il 2020 o “venti-venti” sarà ricordato come l’anno che cambiò tutto. Difficile provare il contrario, ma non è impossibile smentire coloro che sostengono che cominci sotto gli auspici più neri la seconda decade del 2000. Certamente abbiamo visto restringersi le nostre libertà e siamo stati costretti a ridurre i rapporti.

Tuttavia, abbiamo anche scoperto quanto importanti siano le parole che utilizziamo ogni giorno, scoprendone nuove accezioni. Ancora, alcuni hanno riscoperto e altri scoperto talenti e attività mai considerate o sopite da tempo; altri invece hanno potuto dedicarsi alla lettura, coltivando i propri interessi culturali. Abbiamo sofferto guardando le città vuote e i forni crematori pieni, comprendendo quanto di bello possa regalare la vita e quanto flebile essa sia, tuttavia abbiamo sviluppato le nostre conoscenze informatiche, abbiamo assistito a un potenziamento degli strumenti tecnologici. Tutti fattori che ci preparano al futuro che verrà. Dunque non è l’anno del buono o del cattivo, ma semplicemente quello dei mutamenti inattesi.

Mutazione semantica

Per ben comprendere come e se l’italiano sia stato covidizzato in questi mesi, bisogna partire dal concetto di pandemia e dalla sua radice greca. Questa parola, infatti, è a sua volta l’unione di altre due (πᾶς, “tutto” e δῆμος, “popolo”). Infatti la nostra lingua e la nostra psiche (forse i due aspetti che più fra tutti ci distinguono dal resto del mondo animale) sono state contagiate dal fenomeno principale di questo 2020, il Covid 19, in un processo difficilmente reversibile. Come ha scritto il vicedirettore del Corriere Antonio Polito,

Le grandi tragedie della storia lasciano sempre dietro di sé […] cambiamenti di significato delle parole.

Antonio Polito (Corriere della Sera)

Oltre al rovesciamento semantico di positivo e negativo e termini derivanti (come positività e negatività), dove il primo è diventato la parola più angosciante per qualsiasi persona e il secondo si associa al sollievo, altre terminologie hanno subito un mutamento. Pensiamo alla frase “mia nonna ha bisogno di un «ventilatore» che oggi significa “non respira più da sola”; o ancora alla frase “Ti hanno tamponato?”, che dal classico uso automobilistico oggi rientra in quello sanitario; oppure all’espressione “giornata piatta”, non più intesa come scialba, bensì come un giorno senza particolari incrementi nella curva epidemiologica, o – per meglio dire – pan-demiologica. Si potrebbero citare ancora moltissimi esempi: mascherina, bollettino, autoisolamento e molto altro.

In conclusione, cito la sociolinguista ungherese Vera Gheno che in un’interessante intervista su Wired sul tema, afferma “tra lingua e società esiste sicuramente uno stretto rapporto […] quando ci troviamo di fronte a un concetto nuovo, abbiamo bisogno che la nostra lingua si modifichi per poterlo esprimere”.

Nuovo modo di percepire la vita

Marzo 2020 resterà scolpito nella mente di tutti gli italiani. È da quel momento che cambiarono non solo le abitudini, ma anche il modo di percepire la vita. Avvisaglie importanti si ebbero già a febbraio proprio nello sport più seguito in Italia, quando gli stadi furono chiusi al pubblico, presagendo l’inizio di un lockdown generale che di lì a poco si sarebbe materializzato. Dal momento della chiusura capimmo di essere stati, fino ad allora, dei bambini pronti ad entrare nell’adolescenza della vita.

Abbiamo vissuto tutti […] nell’illusione di una sorta di onnipotenza per gli straordinari avanzamenti della ricerca […] e dallo sviluppo di tecnologie sempre più potenti […] questa pandemia ci rivela oggi che quell’onnipotenza era forse una sorta di delirio collettivo.

Andrea Carlino e Giovanni Pizza, Storie virali

Ecco, il motivo per cui tanti cittadini hanno riscoperto i piaceri delle piccole cose come una passeggiata nel bosco, la preparazione del pane o della pizza (la Coldiretti ha stimato un incremento dell’80% degli acquisti di farine), il disegno. Ma è cambiato anche il nostro rapporto con il sesso, dove la distanza ha fatto aumentare nelle coppie giovani l’autoerotismo e il dirty talk, pratica che, come spiega la terapeuta Shadeen Francis, richiede tempo per conoscere le nostre esigenze (e il 2020 ce ne ha fornito parecchio), perché “più informazioni hai su di te e più saprai condividerle con un’altra persona”. Dunque questo venti-venti di pandemia ci ha riportato anche a percepire la vita in maniera più attenta, senza dare tutto per scontato proprio perché, in un niente, tutto può sparire.

Pensieri e paure del 2020 e per il 2021

Ho chiesto ad alcune persone di età, propensione mentale e con differenti situazioni economiche, occupazionali e sociali di elencarmi tre cose positive e tre cose negative di questo 2020, per confrontarlo con quanto si sente o legge. La prima cosa notata è che tutti sono voluti partire dalla parte positiva, tipico di chi vuole pensare positivo o ne ha bisogno. Tra le emozioni negative, invece, domina l’impotenza; ma a sorpresa, a fronte di una perdita delle abitudini, i due aspetti principali sono stati: 1) il riposo e 2) aver rafforzato rapporti e amicizie, nonostante la distanza. Infine ho notato come, per gli aspetti negativi, le persone si concentrino soprattutto su avvenimenti globali (come la chiusura totale), mentre questo non è accaduto per quelli positivi (es: minor danno ambientale per via delle emissioni più basse).

Rispetto all’anno che verrà, tra dubbi e molteplici paure, si nascondono doveri, come quello definito da Aldo Cazzullo di “impedire che il costo sociale e morale della pandemia sia pagato dai nostri ragazzi”, e nascono opportunità: come nel caso del Mezzogiorno, dove “l’occasione dei fondi europei può essere quella che è mancata per oltre un secolo”. Insomma, come sostiene dalle pagine del Corriere della Sera l’economista Francesco Giavazzi, “in tempo di crisi profonde […] occorre essere lungimiranti”.

Daniele Craviotto

(In copertina nasim dadfar da Unsplash)


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