Cosa sta succedendo in Myanmar? Le notizie più recenti parlano di un colpo di Stato dei militari, di proteste in strada e di violente repressioni da parte dell’esercito. Ma le radici di tutto questo affondano in un lontano passato…
Il Myanmar, conosciuto anche con il nome di Birmania, è un Paese del sud-est asiatico. Le due denominazioni che può assumere sono simbolo del suo passato travagliato che, ancora oggi, alimenta i disordini all’interno del Paese.
1. Birmania o Myanmar?
La storia della Birmania si intreccia con quelle dei suoi vicini, in particolare Cina, India e Thailandia, ma anche con quella del lontano Regno Unito. Il primo conflitto Anglo-Birmano risale al 1824, quando gli inglesi iniziano a considerare l’Impero Birmano una seria minaccia per i loro traffici commerciali nel sud-est asiatico. Al primo conflitto ne seguono altri due, fino a quando il Regno Unito non riesce a prendere il controllo diretto dell’area, nel 1886. Dopo un lungo periodo di dominio coloniale, passando per l’occupazione giapponese durante l’ultima fase della Seconda Guerra Mondiale, il 4 gennaio 1948 la Birmania ottiene l’indipendenza dalla Corona.
Il Paese si ritrova tuttavia in una situazione estremamente precaria, e fin da subito cade in balia di gruppi armati e governi militari. Nel 1962, dopo un colpo di Stato, si instaura il primo regime militare vero e proprio. Nel 1989 la giunta militare cambia ufficialmente il nome del Paese in Myanmar, per sottolineare l’indipendenza e la sovranità del Paese e del suo governo. Segue un periodo di proteste represse nel sangue, durante il quale, sotto la guida di Aung San Suu Kyi, inizia a costituirsi la Lega Nazionale per la Democrazia (LND).
Una svolta drammatica della storia del Paese avviene con la Rivoluzione Zafferano: il 5 settembre 2007 un gruppo di monaci organizza una protesta contro il regime militare. Quest’ultimo reagisce ancora una volta violentemente contro i più di 50.000 manifestanti che avevano iniziato a marciare per le strade del Paese. Anche in seguito a questo episodio, nel 2008 il governo indìce un referendum per l’approvazione di una Costituzione che, seppure di stampo militare, inaugura un lento processo verso la democrazia.
2. Da dove deriva il colpo di Stato?
Le elezioni per l’Assemblea Legislativa Nazionale del 2010 sono formalmente vinte dal partito dei militari. Tuttavia, la LND decide di boicottare il voto, ritenendo l’esito non attendibile. Dal 2011 il Paese è quindi retto da un governo civile, e nel 2016 viene eletto il primo presidente senza legami con l’ex regime militare. Le elezioni dello scorso 1° febbraio provocano però una nuova reazione da parte delle forze armate. Il voto stabilisce la vittoria della LND di Suu Kyi, ma le forze armate reclamano l’annullamento dello stesso a causa del sospetto di frodi diffuse. La commissione elettorale, vista l’assenza di prove a supporto delle accuse, nega la richiesta.
Al momento dell’apertura della nuova sessione parlamentare viene messo in atto il colpo di Stato. Suu Kyi viene sequestrata e imprigionata in un luogo segreto, sotto l’accusa di diversi reati, come la violazione delle restrizioni contro il Covid-19 nel corso della campagna elettorale del 2020. Prende il suo posto alla guida di un nuovo regime militare il generale Min Aung Hlaing, che dichiara lo stato di emergenza. La pretesa, prendendo in prestito le parole del Generale Hlaing, sarebbe quella di tenere sotto controllo il Paese fino a quando l’emergenza non sarà terminata, e solo allora indire elezioni “libere e corrette” al fine di instaurare una “democrazia vera e disciplinata”.
3. Chi è Aung San Suu Kyi?
La vincitrice delle elezioni del primo febbraio è un personaggio chiave della storia del Paese fin dall’ultimo decennio del secolo scorso. A partire dall’inizio degli anni ‘90 e fino al 2010 trascorre quasi 15 anni in carcere a causa delle sue idee e della sua campagna a favore dell’instaurazione della democrazia. Proprio mentre si trova in stato d’arresto, nel 1991, riceve il Nobel per la Pace. Nel 2015 guida il suo partito, l’LND, fino alla vittoria alle prime elezioni pienamente democratiche che si tenevano in Myanmar da 25 anni.
La sua reputazione è crollata in anni più recenti, quando è stata accusata di discriminazione e genocidio nei confronti della minoranza musulmana Rohingya presente nel Paese.
4. Come ha reagito la popolazione?
Suu Kyi non è l’unica a essere sequestrata dalle forze armate, ma alcuni membri dell’LND riescono a evitare l’arresto e formano un gruppo clandestino, incitando il popolo alla rivolta. Ciò che ne deriva è una delle maggiori sollevazioni degli ultimi decenni, la più grande avvenuta nel Paese dopo la Rivoluzione Zafferano, che coinvolge ogni gruppo sociale, dagli studenti ai lavoratori. Oltre ai cartelli con il viso della leader Suu Kyi, simbolo della protesta è diventato il gesto della mano con tre dita sollevate, preso in prestito dalla saga di Hunger Games.
Le manifestazioni non sono state accolte con favore dalle forza armate. Le reazioni del regime militare spaziano dall’imposizione di restrizioni dovute al Coronavirus, come coprifuoco e divieto di assembramenti, ad azioni violente con l’uso di cannoni ad acqua e munizioni – sia di gomma che vere – per disperdere la folla. Si stima che le vittime civili abbiano ormai superato le due centinaia, ma nonostante ciò le proteste non si arrestano.
5. Come ha reagito la comunità internazionale?
Molti Paesi hanno condannato il colpo militare. Gli Stati Uniti e il Regno Unito, ad esempio, hanno previsto delle sanzioni a carico delle forza armate, e il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha dichiarato la situazione “un grave colpo alle riforme democratiche”. Anche la Cina incita a un ritorno democratico, nonostante abbia bloccato una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che condannava il coupe d’été. A parte il governo di Pechino, gli altri Stati del sud-est asiatico si stanno impegnando a favorire la fine della crisi attraverso azioni diplomatiche.
Clarice Agostini
(In copertina le proteste in Myanmar, dal New York Times)