Le parole, come le idee, viaggiano nel tempo e nello spazio. La lingua italiana – ma non solo – ha accolto così bene innumerevoli vocaboli di origine straniera che ormai nemmeno ci accorgiamo più di quale sia la loro reale provenienza.
Fra i vari prestiti ricevuti dalla lingua italiana, particolarmente affascinanti risultano gli ispanismi, ossia le parole di origine spagnola. Sapevate, per esempio, che termini come azienda o compleanno sono arrivati a noi proprio dalla Spagna?
I primi vocaboli giungono a noi nel Medioevo, tra il XIII e il XIV secolo e, quando iniziano a diffondersi, vengono definiti ispanoarabismi, dato che in quest’epoca la Spagna funge da mediatrice tra il mondo arabo e quello europeo. In particolare, stiamo parlando di vocaboli provenienti dall’ambito scientifico e astronomico come almanacco o astrolabio.
“Una lingua copiosa e varia come un delizioso giardino”
Sebbene durante il Quattrocento continuino a giungere diversi termini dalla Spagna, è tra Cinquecento e Seicento che si assiste a una vera e propria fioritura di ispanismi nella nostra lingua. Molte di queste parole provengono dal Nuovo Mondo: parole nuove per designare nuovi referenti, totalmente sconosciuti agli Europei, come mais e papaia, puma e armadillo.
Molti ispanismi appartententi a questa epoca erano compresi anche nel campo semantico del comportamento, come la parola disinvoltura. Questo termine, in particolare, rimanda all’idea di sprezzatura espressa da Baldassarre Castiglione nel suo Libro del Cortegiano, un trattato simbolo del Rinascimento. Proprio lui incoraggia l’uso di vari ispanismi in contrasto con il purismo linguistico promosso da Pietro Bembo in quegli anni cruciali per la storia della nostra lingua. Castiglione, infatti, immaginava una lingua varia come un giardino pieno di diversi fiori e frutti.
Infine, è particolarmente affascinante lo studio degli ispanismi che non sono sopravvissuti nella lingua d’uso corrente. Ad esempio, se sfogliamo i Gridari milanesi, ovvero le raccolte delle comunicazioni ufficiali emesse dalle autorità, possiamo imbatterci in parole particolari come papeli (documenti, dallo spagnolo papeles) o acclarare (assegnare).
Declino e rinascita
Nel Settecento la perdita di prestigio politico da parte della Spagna causa un’analoga perdita di prestigio della sua lingua. L’italiano accoglie sempre più anglicismi e francesismi, i quali lasciano ben poco spazio agli ispanismi. L’afflusso di prestiti spagnoli conosce una fase di ripresa soltanto nel secolo successivo, complici il miglioramento dei trasporti e i grandi flussi migratori di spagnoli e italiani diretti verso le Americhe.
Durante l’Ottocento entrano nella nostra lingua molti realia, ossia parole che designano concetti fortemente legati alla cultura del popolo di provenienza e che in molti casi non sono traducibili: corrida, matador, torero.
Giungiamo infine al Novecento. A causa della politica di autarchia linguistica promossa dal Fascismo, volta a escludere l’uso di parole straniere e dialetti, l’ondata di ispanismi subisce una temporanea battuta d’arresto. Tuttavia, eventi politici della Spagna e dell’America Latina di rilevanza mondiale forniscono un prolifico serbatoio linguistico a cui attingere: basti pensare a termini come franchismo, caudillo (il capo politico e militare di un regime dittatoriale, titolo che venne poi attribuito a Francisco Franco), ma anche peronismo (movimento politico argentino promosso da Juan Domingo Perón)e golpe.
Ai giorni nostri
A partire dagli anni Sessanta molti ispanismi che entrano nell’italiano sono ispanismi etnici appartenenti a diversi ambiti: dai balli latinoamericani come il tango e il cha cha cha ai cibi e alle bevande come la paella, la sangría e il mojito. Un’altra importante fetta di ispanismi è costituita da parole afferenti tanto al mondo dello sport, in particolare del calcio, come goleada, quanto al settore socioculturale, che introduce termini come telenovela, macho e murales.
Come possiamo vedere, l’italiano è un mosaico composto da tessere di varia provenienza che arricchiscono di numerose sfumature le nostre possibilità espressive. I prestiti stranieri come gli ispanismi non devono essere visti come una minaccia, ma come una risorsa, un’opportunità per espandere il nostro lessico e, di conseguenza, il nostro pensiero.
Beatrice Russo
(In copertina Vero Garcia da Pixabay)