Nulla di nuovo sul fronte Partito Democratico. La parola rottura torna a conquistare le prime pagine dei giornali. E, dopo le dimissioni da segretario del partito di Nicola Zingaretti, la palla passa a Enrico Letta.
Sono passati quasi due anni dall’inizio del mandato di Nicola Zingaretti alla segreteria del Pd, due anni – Covid a parte – di grandi svolte politiche. Il suo posto andrà al suo caro amico, Enrico Letta, l’ex presidente del consiglio, vittima, come Giuseppe Conte, della “mossa del cavallo” di Matteo Renzi. Il protagonismo di quest’ultimo può essere invero la chiave di lettura per i due personaggi, il filo conduttore di un Pd che doveva essere con Zingaretti e che sarà con Letta.
Le puntate precedenti
L’inizio del mandato di Nicola Zingaretti è datato 19 marzo 2019, ai tempi si poteva ancora passeggiare senza mascherina, ma i toni erano comunque aspri, specialmente nell’ala democratica. Missione Zingarettiana “arginare l’avanzata delle destre”, creare un’alternativa all’istrionismo renziano, che continuava a guardare a posizioni centriste, e soprattutto riprendersi dalla pesante sconfitta delle politiche del 2018. Va riconosciuta al leader una rapida avanzata nei sondaggi, culminata con il buon esito delle Europee e con la vittoria in Emilia-Romagna del dem Stefano Bonaccini. Tutto sembrerebbe andare per il verso giusto, ma il protagonista silenzioso è sempre pronto a giocare le sue mosse.
Ecco che, dopo il Papeete, il senatore Renzi, approfittando dell’errore politico di Salvini, convinto di andare alle elezioni anticipate, con un colpo di mano iniziava a tessere relazioni tra Pd e M5s in nome dell’unità e dell’emergenza imminente (non ancora il Covid, ma l’aumento dell’Iva). La mossa renziana terminava con la creazione di un partito di ascendenza centrista, Italia Viva, con l’intenzione, fin dai primi mesi, di svolgere il ruolo di enclave: la situazione, direi primo-repubblicana, secondo cui l’alleato minore detta le regole all’intera coalizione.
La linea di Zingaretti
Ma se Renzi ha sùbito sottolineato la natura della coalizione per necessità, qualcuno, il nostro Zingaretti, ha creduto nel progetto a larghe vedute, candidando il Pd col Movimento 5 stelle in diverse elezioni amministrative.
È proprio questo il punto di rottura all’ordine del giorno, la svolta che ha fatto torcere il naso a più di un democratico. A parte l’alleanza di governo, il Pd non è riuscito a convincere gli elettori vacillanti dei cinque stelle a tornare a casa, elettori, lo dimostrano i sondaggi, che sono refluiti in casa Meloni, la vera leader in ascesa di questo periodo. Inoltre, nella lotta al populismo, non ha tirato fuori nuove proposte, bensì altrettanti attacchi all’altro. Il Pd ha risposto alla “politica della paura di Salvini”, dicendola con Zingaretti, ad altrettanta paura per l’avanzata del centro destra. Insomma, oltre allo spot “arginiamo le destre”, il vuoto.
Nonostante ciò, è oggettivamente ingiusto scaricare la colpa sul solo leader. Per usare le parole di Carlo Calenda “Zingaretti è diventato il bersaglio di tutti, ma le scelte sono state condivise.” Il solito “fuoco nemico”, che Renzi tanto ha deplorato, ha colpito anche Zingaretti, che si ritiene rammaricato del comportamento dei suoi colleghi: motivo, più che valido, che ha spinto il presidente della regione Lazio a lasciare il posto da Segretario del Partito Democratico.
Enrico Letta, il peso della parola
Ecco il turno di Enrico Letta che, dopo il tweet con riferimento a Liliana Segre “non siate indifferenti”, con un videomessaggio esalta la forza della parola, con la speranza che i consensi arrivino non per dovere ma per comunanza di idee.
Ma siamo in Italia, e già i più scettici vedono una trama fra la candidatura a segretario e un posto al colle come Presidente della Repubblica, o peggio la volontà di ordire un piano vendicativo nei confronti dei renziani superstiti, degno dell’interpretazione di Liam Neeson in Taken – La vendetta. Il professore della Sciences PO di Parigi, dopo un primo rifiuto alla carica di segretario, motivata più dalla passione per l’insegnamento, sembra quindi determinato a proseguire in questa nuova avventura. Il peso della sua linea e delle sue decisioni non saranno trascurabili nel grande alleato del neo-governo Draghi.
Non ci resta che aspettare.
Alessandro Bitondo
(In copertina l’ex segretario del Partito Democratico Nicola Zingaretti)