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La nuova Champions – Il calcio delle élites e del denaro

Champions 6

Che il mondo del calcio, e di gran parte degli sport in generale, sia diventato un mercimonio clamoroso, non è una novità. Da decenni si assiste al predominio economico, prima che sportivo, di un ristretto manipolo di squadre che, grazie al loro smisurato patrimonio, riescono ad assicurarsi e a pagare lautamente i migliori giocatori e, di conseguenza, a imporsi nelle diverse competizioni. Basti vedere la nostra Serie A, dove la Juventus decide brutto e cattivo tempo ormai dal 2012 (sebbene quest’anno la squadra sembri piuttosto appannata).

E, come dice un vecchio adagio, l’appetito vien mangiando. Lo dimostra il progetto di riforma della Champions League promosso da alcuni top club europei. In particolare l’ECA, l’associazione che li riunisce, da anni spinge a favore di una nuova competizione con maggiori privilegi per le big e molte più partite, al fine di massimizzare l’interesse dei tifosi ed aumentare esponenzialmente gli introiti. L’idea di una svolta elitaria della massima competizione europea del resto non è nuova: già dal 2018 metà delle squadre qualificate alla fase a gironi proviene solo da quattro campionati: Spagna, Inghilterra, Germania, Italia (i primi 4 nel ranking UEFA). Tutto questo a scapito dei campionati nazionali, e quindi dell’idea stessa di calcio come sport aperto a tutti e dove qualsiasi squadra può ambire al successo.

L’idea malsana

In particolare i promotori più in vista di tale idea sono il patron del Real Madrid, Florentino Perez, e l’omologo juventino Andrea Agnelli. Il presidente dei blancos in particolare ha dichiarato che dopo la pandemia, il calcio “ha bisogno di formule che lo rendano più competitivo ed emozionante”. Il progetto dell’ECA prevedrebbe nello specifico la creazione di un campionato europeo, gestito del tutto o in parte indipendentemente dall’UEFA, che rimpiazzerebbe Champions ed Europa League. L’ammissione a tale torneo, secondo alcune versioni, non dipenderebbe tanto dai risultati nei campionati nazionali, quanto da un sistema ad inviti, con delle licenze a lungo termine per alcune squadre: un po’ come già avviene nell’Eurolega di basket. Enigmatiche, a tal proposito, alcune dichiarazioni passate di Agnelli:

Ho grande rispetto per quello che sta facendo l’Atalanta, ma senza storia internazionale e con una grande prestazione sportiva ha avuto accesso diretto alla Champions. […] penso poi alla Roma, che ha contribuito negli ultimi anni a mantenere il ranking dell’Italia, ha avuto una brutta stagione ed è fuori. Con tutte le conseguenze del caso a livello economico. Bisogna proteggere gli investimenti

Andrea Agnelli

Ho grande rispetto per quello che sta facendo l’Atalanta, ma senza storia internazionale e con una grande prestazione sportiva ha avuto accesso diretto alla Champions. […] penso poi alla Roma, che ha contribuito negli ultimi anni a mantenere il ranking dell’Italia, ha avuto una brutta stagione ed è fuori. Con tutte le conseguenze del caso a livello economico. Bisogna proteggere gli investimenti.

Per i top club quindi la tradizione sportiva e l’indotto economico di una squadra sono più importanti dei risultati sul campo. Traspare la triste idea per la quale il calcio, e i suoi palcoscenici più prestigiosi, non siano per tutti, ma sono per i più danarosi, e che di conseguenza non sia ammissibile alcun “ascensore sportivo” in grado di dare lustro a una piccola piazza. Con buona pace delle recenti favole calcistiche che tanto hanno appassionato il pubblico: dal Leicester nel 2016 fino alla Dea negli ultimi anni.

La rivoluzione dal 2024

L’idea di una nuova Superlega ha trovato la netta contrarietà di tante piccole squadre, e anche di UEFA e FIFA: quest’ultima (che alcune indiscrezioni in passato dicevano favorevole all’idea) ha minacciato di escludere tutti i giocatori che parteciperanno al nuovo torneo. Nelle ultime settimane, comunque, sembra che il presidente della confederazione europea, Aleksandr Ceferin sia riuscito a trovare un compromesso con l’ECA. Come scrive L’Equipe la nuova bozza, che sarebbe operativa dal 2024 (ma non si esclude un anticipo), prevede l’aumento delle squadre ammesse da 32 a 36 e la soppressione della fase a gruppi. Al suo posto un unico girone in cui ogni squadra affronterà 10 avversarie (scelte tramite sorteggio): alla fine di tale prima fase le prime otto passano agli ottavi, mentre i club dal nono al ventiquattresimo posto si sfideranno ai playout.

Alcune squadre potrebbero essere ammesse in ragione del proprio prestigio storico, quindi a prescindere dal piazzamento nei propri campionati. Il risultato complessivo è un netto aumento delle partite complessive: da 125 a 225. Se, da una parte, questa nuova formula genera innegabilmente interesse, aumentando anche il fascino della competizione; dall’altra, inesorabilmente comprimerà i campionati nazionali, anche perché nella nuova Champions le partite verrebbero disputate pure di giovedì (oltre agli usuali martedì e mercoledì). Torna quindi in voga l’annoso tema della riduzione delle squadre in serie A, questione che la FIGC sembra aver abbandonato per l’opposizione di molti club.

Per un calcio più equo

È evidente, allora, l’esistenza di un problema di credibilità: come può il calcio essere veicolo di uguaglianza e apertura sociale, quando poi ad alti livelli sono sempre le solite note a farla da padrona? Nel momento in cui a dettare legge sono i magnati e i grandi fondi d’investimento, è indispensabile ristabilire condizioni di maggior equilibrio economico tra le società, al fine di aumentare la competitività e rendere i tornei più interessanti. Servono strumenti idonei e forti: questo significa, tra l’altro, andare oltre al Fair Play finanziario (il meccanismo introdotto dall’UEFA che mira a limitare i debiti dei club), troppe volte dribblato con stratagemmi e furbizie di ogni tipo. I mezzi non mancano, ma, come al solito, a latitare sembra essere la volontà.

Riccardo Minichella

(In copertina Storie di calcio)

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