
L’ApPunto
Quante volte si può dire “ti amo” senza provare amore? E, in un certo senso, senza neanche saperlo. Si può essere affascinati, come è naturale che sia, interessati, invaghiti, infatuati, innamorati, con tutte le sfumature di significato che ognuna di queste parole si porta dietro, ma non vuol dire che si provi anche amore.
È questo il senso più profondo di Malcolm & Marie di Sam Levinson, di ogni frase detta e non detta nascosta tra le pieghe della sua sceneggiatura.
Di Punto in bianco
È il nero la prima cosa che vedi. Notte inoltrata, la visuale è quella del giardino di una villetta americana di lusso come tante. In lontananza due fari accesi inondano di luce la scena e si avvicinano allo spettatore.
Sono Malcolm & Marie, regista e attrice fidanzati, di ritorno dalla prima del nuovo film diretto da lui, un capolavoro secondo le prime impressioni, che ha fatto commuovere tutta la sala e gli è valso l’appellativo di “nuovo Spike Lee, nuovo Barry Jenkins”. È la serata perfetta, il coronamento dei suoi sogni.
Se non fosse per un piccolo, insignificante, dettaglio: durante il discorso dei ringraziamenti, Malcolm ha citato tutti quelli che in un qualche modo hanno contribuito a rendere il film quello che è. Tutti tranne Marie, la sua compagna, che è anche la principale fonte di ispirazione per la protagonista dell’opera, Imani. Non ci ha pensato, si è dimenticato, le mille luci di Hollywood e la bellezza dell’attrice protagonista su quel palco per un attimo lo hanno distratto. E non ha pronunciato il “grazie” che tanto avrebbe dovuto dire.
Malcolm & Marie prende le mosse da questo spunto e mette in scena battuta dopo battuta, monologo dopo monologo, gli elementi costitutivi della relazione esistente tra i due: la reciproca dipendenza, il narcisismo di Malcolm e la fragilità di Marie, gli spettri del passato e le ombre sul futuro.
A partire da quel giorno in cui lei andò in overdose al mercato, come dicono loro – e nient’altro sappiamo in proposito –, fino ad ora, a litigare alle tre di notte dopo la première che renderà Malcolm un regista di successo. A parlare di se stessi e del loro rapporto.

Punto di rottura
Quella di Malcolm & Marie è una lunga partita a scacchi, una danza lenta e sinuosa, fatta di vette improvvise e brusche cadute, uno splendere e bruciare, spiccare il volo e consumarsi a terra, muoversi e restare fermi. Una danza di amore e odio, nascita e morte, perché forse solo negli opposti si può trovare l’unità, la compiutezza.
Il punto di rottura è proprio l’assenza di questo “grazie”, il fatto che Malcolm non sia stato in grado di riconoscere pubblicamente il contributo fondamentale di Marie alla nascita del film e, più in generale e privatamente, alla loro relazione.
Secondo me quando hai capito che una persona ti sta vicina e ti ama, va a finire che non ci pensi più. Solo se stai per perdere una persona le presti attenzione.
Marie (Zendaya)
E, più si va avanti (nel tempo del film e nello spazio della storia), si scende sempre più in profondità, si attraversano passo dopo passo ogni momento saliente della loro vita insieme. E emergono tutte le parole non dette che da tempo entrambi tenevano solo per se stessi.


Punto morto (del mondo)
L’amore, quello vero, se mai può esistere il vero amore al di fuori delle fiabe, è un filo sottile pronto a spezzarsi. Ed è tutto (più o meno) in un discorso di Malcolm, nell’accusa che fa a Marie di volersi sempre autodistruggere, sabotare, svalutare, nel suo bisogno di dare un senso alla loro relazione, di trovare una ragione per la quale Malcolm dovrebbe stare con lei.
La sua fragilità è il suo principale punto di debolezza. E non sa che lui la ama e basta, senza una ragione o un senso, un secondo fine o un altro obiettivo, solo quello. La ama, nonostante lei sia la prima a non amarsi.
E Malcolm, del canto suo, è un narcisista completamente concentrato su di sé. Vede se stesso e il suo riflesso nella miriade di specchi che rincorrono le loro ombre dalla sala alla camera da letto, si trova nel fondo del bicchiere di troppo che ha preso quella sera, tra le luci della ribalta e il luminoso futuro che vede all’orizzonte.
Nel suo disegno non c’è che un unico posto per Marie: al suo fianco, silenziosa e bellissima nell’abito in lamé argentato di quella sera, con la stessa plasticità di una statua greca, convitata di pietra al servizio della sua superiore genialità.


Punto di (non) ritorno
Nel momento in cui il film si interrompe e iniziano i titoli di coda, in quel senso improvviso di vuoto che ti travolge e non ti lascia scampo, ti rendi conto che non ti trovi davanti ad un finale. I nodi non vengono davvero al pettine né si sbrogliano, la trama non si risolve in nulla, i suoi eroi non crescono più di tanto ma restano sé stessi.
Nel momento esatto in cui il film si interrompe, la storia continua nelle nostre vite, proprio dove i due protagonisti si sono fermati, quando hanno smesso di fingersi uomini e sono tornati personaggi. Spetta a noi (s)vestire i loro panni e fissare il nostro riflesso nella schermata nera conclusiva. Noi stessi.
Noi che cerchiamo ogni giorno di essere eroi, che costruiamo fragili castelli di carte e che ci dissolviamo al primo soffio di vento. Che abbiamo così tanta paura dell’amore da averlo reso meta e non viaggio, da nasconderci dietro storie, scuse, bugie, appesi a quel filo sottile che ormai si sta spezzando.
Noi che siamo così tanto bravi a innalzarci sul piedistallo del mondo come Malcolm, per poi con la stessa facilità di Marie distruggerci e affondare nell’abisso più disperato, farci abisso disperato e non trovarci più.

Forse alla fine amare non è altro che essere in grado di dire un “grazie” al posto giusto ed evitare di farlo diventare un “mi dispiace”. Amare non è che il fattore “what if“, chissà, “e se mai avesse avuto, se mai avrà, qualcuno di più bello, più simpatico, più divertente e più unico di me? Qualcuno di migliore?”.
Se se ne renderà conto? Avrà un senso andare avanti o tutto si risolverà in un gelido, freddo e anonimo schermo nero?
Non ci resta che questo nostro continuo spingerci e costringerci a essere (dentro) la migliore versione possibile di noi, per poi non fare altro che stringerci e reprimerci (fuori) nella peggiore versione possibile di noi. E capire, alla fine, che “migliore” è solo una parola, una sequenza di suoni, un significante bellissimo per un significato che non esiste.
Pura convenzione. Un altro “ti amo” detto senza amore.
Davide Lamandini
(In copertina e nel testo immagini tratte dal Malcolm & Marie, disponibile su Netflix)
Per approfondire, leggi la recensione di Challengers di Luca Guadagnino, a cura di Davide Lamandini e Vittoria Ronchi.