Scienza e tecnologia

Vaccino anti-Covid – 10 miti da sfatare

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Qualche giorno fa ho fatto la prima dose del vaccino anti Covid-19. La mia è stata una scelta consapevole, non ho avuto dubbi né esitazioni. Eppure, restano ancora numerosi miti da sfatare sul tema vaccini.


Sono arrivati i vaccini che da tempo aspettavamo: il 27 dicembre 2020 in tutta Italia, così come negli altri Paesi membri dell’Unione europea, è iniziata la campagna di vaccinazione anti Covid-19. Ad oggi, domenica 24 gennaio, sono state somministrate oltre 1,3 milioni di dosi su tutto il territorio nazionale, innanzitutto ad operatori sanitari e sociosanitari, ospiti delle RSA e ultraottantenni. 

Il vaccino non è obbligatorio. C’è chi aspetta impaziente il proprio turno, pur sapendo che i tempi saranno più lunghi del previsto, chi ha già escluso l’ipotesi e chi comincia a domandarsi che scelta fare quando arriverà il suo momento. Io la mia scelta l’ho fatta, ma so che per molti non sarà così semplice: incertezze e paure sono sempre dietro l’angolo, quando si parla di vaccini. Vorrei cercare di chiarire qualche dubbio, sfatare alcuni miti e proporre gli strumenti più adeguati a farsi strada in questo marasma di informazioni da cui siamo costantemente bombardati.

1. Questo vaccino mi modifica il DNA.

Una delle tante bufale che circolano sul web e che, come tutte le cose che non conosciamo, ci spaventa facilmente. Non solo per questo vaccino: è da sempre una delle argomentazioni più amate dai filoni NoVax. Eppure, non ha alcun fondamento scientifico.

Tutti i vaccini sono preparazioni farmaceutiche che funzionano, più o meno, allo stesso modo: contengono una molecola (chiamiamola pure antigene) che appartiene all’agente infettivo, ma che è assolutamente innocua, cioè non in grado di dare malattia. Il nostro sistema immunitario vede questa molecola, la riconosce e impara a difendersi da essa producendo anticorpi e attivando tutti i meccanismi necessari a rispondere a un’eventuale successiva infezione. Se poi, dopo il vaccino, incontriamo l’agente infettivo, il nostro sistema immunitario, che ha fatto memoria dell’esperienza vaccinale, saprà già come attaccarlo: lo neutralizzerà e noi non ci ammaleremo.

Proprio in questo modo funzionano i due vaccini finora approvati, Pfizer e Moderna, entrambi a mRNA, o RNA messaggero.

Ma che cosa sarà questa strana entità? Nelle nostre cellule tutte le informazioni sono contenute nel genoma, che nella nostra specie è fatto di DNA. Ad oggi conosciamo circa 21.000 geni codificanti, cioè sequenze nucleotidiche, piccole porzioni del DNA, che racchiudono in sé proprio le informazioni necessarie a produrre specifiche proteine. Quando c’è bisogno di produrre una proteina, i fattori di trascrizione si legano al sito di inizio della trascrizione di quello specifico gene e attivano tutto l’apparato molecolare necessario appunto a “trascrivere” la sequenza di nucleotidi. Così si ottiene l’mRNA, una brutta copia, una trascrizione del DNA che serve ai ribosomi per tradurre il messaggio nucleotidico in un messaggio amminoacidico, per trasformare l’informazione genetica in proteine.

Con i vaccini a mRNA facciamo la stessa cosa: iniettiamo l’mRNA codificante per la proteina spike S (che sta sulla superficie esterna di SARS-CoV-2 e permette il legame e quindi l’ingresso del virus nelle nostre cellule). Le nostre cellule leggono questo mRNA e lo traducono, mediante i ribosomi, in una proteina spike, innocua perché non associata all’intero virus, ma in grado di essere vista dalle cellule del nostro sistema immunitario. Quest’ultimo capisce che si tratta di qualcosa di estraneo e la attacca: prepara così la risposta immunitaria per proteggerci da un’infezione, anche se questa ancora non c’è. Dopodiché, l’mRNA viene naturalmente degradato, la proteina viene eliminata e il sistema immunitario torna a fare il proprio lavoro quotidiano. Se e quando incontreremo SARS-CoV-2, il nostro apparato di difesa riconoscerà la proteina spike e saprà già cosa fare: attaccherà il virus e ci proteggerà dall’infezione in maniera efficace.

In tutto ciò, il nostro DNA non viene minimamente sfiorato. Tutto il processo avviene addirittura fuori dal nucleo cellulare, dove il nostro genoma rimane ben protetto e tranquillo. E, se proprio vogliamo essere precisi, sapete cosa modifica davvero il nostro DNA? Una miriade di eventi e sostanze a cui siamo quotidianamente esposti, ma di cui non ci preoccupiamo minimamente. Pensiamo ai raggi UV: quanto ci piace in estate stare sdraiati al sole, e magari bruciacchiarci anche un po’ la pelle ché così ci viene meglio l’abbronzatura? Già, però il nostro DNA assorbe proprio nell’ultravioletto, e i nostri amati raggi solari sono potenti mutageni: colpendo il DNA modificano i legami chimici tra basi adiacenti (in particolare, dimeri di timine), formando una molecola anomala chiamata ciclobutile. Se i normali sistemi di riparazione di questo danno vanno in tilt o se le radiazioni sono troppe, aumenta il rischio di tumori cutanei, che hanno alla base proprio mutazioni genetiche di questo tipo.

E questo è un esempio tra tanti. Potremmo parlare per ore anche del fumo di sigaretta, o di quei superalcolici che di piace bere “alla goccia”, o della bella carbonizzatura che vogliamo avere sulla bistecca cotta alla griglia. Tutti fattori mutageni. In quanto a strane modificazioni del DNA, quindi, un vaccino a mRNA è quindi sicuramente l’ultimo dei nostri problemi.

2. Chissà cosa c’è dentro…

La solita paura di ciò che non vediamo. E ci immaginiamo di tutto pur di giustificarla.

Per sfatare le varie dicerie che ancora prima dell’approvazione ufficiale si stavano diffondendo, le due case farmaceutiche produttrici di Pfizer e Moderna hanno reso pubblici gli ingredienti dei propri vaccini. Nel Pfizer troviamo quindi: lipidi: ALC- 3015 – (4-idrossibutil) azanediyl)bis (esano-6,1-diil)bis (2-esildecanoato); ALC-0159 – 2-[(polietilenglicole)-2000]-N,N-ditetradecillacetamide; DSPC – 1,2-distearoil-sn-glicero-3-fosfocolina); colesterolo; cloruro di potassio; fosfato di potassio monobasico; cloruro di sodio; sodio fosfato bibasico diidrato; saccarosio. Nel Moderna, invece: lipidi: SM (sfingomielina) -102; Polietilenglicole [PEG] 2000 dimiristoil glicerolo [DMG]; 1,2-distearoil-sn-glicero-3-fosfocolina [DSPC]; colesterolo; trometamina; trometamina cloridrato; acido acetico; acetato di sodio; saccarosio.

Ecco, ora sì che siamo più tranquilli. O no? No, perché il problema non è tanto sapere cosa ci sia dentro, ma il fatto che chi non è professionista non potrebbe comunque capire cosa ci sia dentro. Il problema è non fidarsi della competenza altrui, voler toccare con mano anche ciò che non abbiamo gli strumenti per comprendere. Oltretutto, se vi chiedessi quale degli alimenti che mangiate ogni giorno contenga funghi, batteri, acido fitico, istidina, fosforo e metalli, a cosa pensereste? Di certo non ad una fragrante fetta di pane.

Questo per dire che troppo spesso riponiamo la nostra attenzione su focus sbagliati. Ci preoccupiamo di sapere cosa c’è dentro, ma non di curare la paura che sta alla base di questa richiesta. Abbiamo paura del chimico, del laboratorio, della sintesi. Di tutto ciò che ai nostri occhi non è naturale. E non ci rendiamo conto che tutto questo è un’antitesi solo nella nostra testa.

3. E gli effetti collaterali?

Una delle scuse più abusate. No, io il vaccino non lo faccio, ché poi sto male.

Quando ho fatto il vaccino anti Covid-19, ho avuto un gran male al braccio per due giorni, non riuscivo ad alzarlo oltre i 45°. E il giorno dopo rispetto a quello della somministrazione mi sono svegliata con mal di testa, muscoli doloranti e tanta stanchezza. Il tutto si è risolto in ventiquattr’ore e mi ha fatto stare ancora più serena. Chiariamo: il dolore al braccio è dovuto alla somministrazione per via intramuscolare; il liquido iniettato deve essere assorbito, e questo richiede una certa latenza.

I sintomi simil-influenzali, invece, non dicono altro se non che il vaccino sta funzionando correttamente: il sistema immunitario risponde e innesca i classici meccanismi di infiammazione e termoregolazione. Ovviamente ci sono anche possibili reazioni allergiche, che tuttavia colpiscono essenzialmente soggetti atopici, cioè predisposti ad alcune reazioni anafilattiche. Chi soffre di atopia lo sa, e dovrà discutere col proprio medico se sottoporsi o meno alla vaccinazione.

E sul lungo termine? No, sul lungo termine non abbiamo ancora dati, è vero. Almeno non in vivo. Ciononostante, i vaccini (qualunque vaccino) sono sottoposti a un iter di trial, preclinici e clinici, necessari ad attestarne efficacia, tossicità e rischi. I vaccini sono le preparazioni farmaceutiche più testate e sicure in assoluto. Gli effetti collaterali, anche sul lungo termine, sono sempre pochi. Oltre a ciò (se ancora non bastasse), non dimentichiamo da cosa un vaccino ci protegge. Spesso tendiamo a tralasciare tutto il discorso del “rapporto rischi-benefici”. Forse proprio perché non abbiamo conosciuto certe patologie destruenti e mortali ci focalizziamo sui piccoli rischi del vaccino e non su quelli enormi della malattia.

Un esempio su tutti è il vaiolo, piaga dello scorso millennio, dichiarato eradicato dall’OMS nel 1979: quando non portava a morte, lasciava sulla pelle cicatrici sfiguranti e stigmatizzanti. E allora, sono meglio due punturine e un po’ di spossatezza o una polmonite interstiziale da Covid-19 con intubazione? Io non avrei alcun dubbio.

4. Non possono aver fatto un vaccino in così poco tempo.

Lo ammetto, sono rimasta molto stupita anche io. Tuttavia, le ragioni, varie, di questi tempi così ristretti non sono da ricercarsi in qualche errore o step saltato.

Innanzitutto, l’urgenza della pandemia in corso ha stimolato governi e centri di ricerca internazionali a fare uno sforzo inaudito, a concentrare tutte le proprie risorse verso un unico obiettivo comune. Questo ha comportato lo sviluppo simultaneo di più progetti, più idee e più vie da verificare. I normali tempi di approvazione e valutazione dei risultati sono stati accorciati, diverse fasi sono state svolte contemporaneamente: tutto il processo è stato contratto ma nulla è stato tralasciato.

Il fatto che EMA e FDA abbiano approvato infine l’utilizzo di questi vaccini ci deve tranquillizzare: si tratta di enti super-partes, non di case farmaceutiche; sono organizzazioni preposte ad approvare l’utilizzo sicuro sull’intera popolazione di farmaci e prodotti biologici, non aziende che devono guadagnare dalla vendita dei propri prodotti. Anche l’aspirina che usiamo contro l’emicrania e l’Oki che prendiamo per il mal di schiena sono stati approvati da EMA: questo ci crea qualche problema?

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Una corsa a due facce, Roberta Villa, Le Scienze Ottobre 2020.

Inoltre, studi preliminari su virus simili a SARS-CoV-2 erano già stati condotti dopo le epidemie di SARS-CoV (Cina, 2003) e MERS (Medioriente, 2013). Si tratta in entrambi casi di beta-coronavirus che condividono con l’attuale patogeno molte caratteristiche. Gli studi del passato non sono stati invano, ci hanno dato buone basi da cui partire.

Infine, i vaccini a mRNA non sono stata una scoperta di questi mesi: erano già stati studiati in passato e già si iniziava ad applicarli in campo oncologico, in cui spesso è utile poter produrre proteine specifiche e agire in maniera mirata. Questa scoperta finora era stata tenuta nel cassetto e, oggi, finalmente, abbiamo capito come utilizzarla al meglio: una piccola meraviglia della scienza, che non dovrebbe spaventarci ma solo affascinarci.

5. Non si è mai sentito parlare di un vaccino a RNA.

È vero, è una novità. Una straordinaria novità. Straordinari sono la semplicità del meccanismo biomolecolare che ne sta alla base, l’efficacia di questo sistema e la genialità dietro alla scoperta. Per capire come funzioni un vaccino a mRNA e perché non sia una novità assoluta di questi ultimi mesi, potete consultare il punto 1.

Sicuramente le novità ci spaventano. Eppure, non è la prima volta che una novità così importante interessa il mondo della vaccinologia. Nel 1991 in Italia diventa obbligatoria la vaccinazione contro HBV, virus dell’Epatite B (per approfondire, un articolo sul mondo delle Epatiti), per tutti i nuovi nati e fino al 2003 lo resta anche per i bambini fino a 12 anni. Il vaccino antiepatite B è il primo vaccino di nuova generazione, realizzato in laboratorio con tecniche di ingegneria genetica. Per la prima volta non vengono usati microrganismi interi attenuati o inattivati, né parti di essi: si usa invece una proteina sintetizzata dall’uomo, esattamente identica a quella virale, la proteina ricombinante S. Questa innesca una risposta immunitaria efficace e la produzione di anticorpi neutralizzanti.

Il vaccino antiepatite B ha aperto la strada a tutti i vaccini di nuova generazione, alcuni di grande successo e importanza fondamentale: anti-papillomavirus (HPV) e anti-meningococco B. Inoltre, ha permesso di ridurre in maniera esponenziale la diffusione e le tragiche complicanze dell’infezione da HBV sul nostro territorio. Basta dare uno sguardo ai grafici del sistema di sorveglianza SEIEVA per rendersene conto.

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Insomma, una novità che ha porta ad una grande rivoluzione sanitaria. Con lo stesso ottimismo dovremmo guardare questi vaccini a mRNA.

6. Che senso ha farlo se mi protegge solo per due mesi?

È una delle cose che ancora non sappiamo: quanto dura la protezione fornita dal vaccino? I dati che abbiamo oggi sono pochi, soprattutto perché i mesi a disposizione per lo studio sono stati effettivamente pochi. I trial clinici a nostra disposizione non si spingono oltre i 6-9 mesi ma diversi studi, negli ultimi tempi, sembrano aver confermato con un certo margine di sicurezza che la protezione, almeno per quanto riguarda l’infezione, possa durare per anni.

L’ultima indagine sul tema è stata pubblicata il giorno dell’epifania su Science. Il paper ha indagato campioni di sangue da 188 maschi e femmine fra i 19 e gli 81 anni guariti dalla Covid-19; si sono ricercati gli anticorpi IgM e IgG, i linfociti B (che producono gli anticorpi stessi) e i linfociti T (effettori dell’immunosorveglianza, che si occupano di uccidere le cellule infette). Si è quindi osservato come gli anticorpi cominciassero a diminuire dopo otto mesi, in modo moderato, con livelli variabili a seconda degli individui. Dopo quel lasso di tempo il 90% delle persone disponeva comunque ancora degli anticorpi. 

I linfociti T hanno assistito a un declino solo modesto e i numeri dei linfociti B sono rimasti stabili e in certi casi sono perfino aumentati. Questo significa che i tassi di declino sono molto lenti e dunque coerenti con molti anni di protezione: nonostante il calo degli anticorpi in circolazione, il meccanismo immunitario rimane infatti pronto all’azione per ben più di otto mesi. 

Ovviamente gli studi da condurre sono ancora tanti. E non sappiamo se l’immunità data dal vaccino segua stessi modi e tempi di quella fornita dall’infezione. Potrebbe essere sufficiente questa prima somministrazione, oppure potrebbe essere necessaria una somministrazione annuale, come nel caso del vaccino antinfluenzale. Quest’ultimo viene prodotto ogni anno partendo da un modello comune e plasmandolo sulla base dei ceppi di virus influenzali più circolanti e virulenti. Il virus dell’influenza o Orthomyxovirus, a RNA a singolo filamento, presenta una variabilità antigenica estremamente elevata: le mutazioni si accumulano e ogni anno compaiono nuovi sottotipi virali, con struttura nel complesso comune ma con modificazioni che impediscono al sistema immunitario di riconoscerli e intervenire.

Anche per il vaccino anticovid-19, o per la ridotta durata della protezione o per la comparsa di varianti, potrebbe essere necessaria una somministrazione annuale. Ciononostante, il “gioco potrebbe valere la candela”: su base annuale, è meglio avere 2 milioni di morti o fare la punturina del vaccino?

7. Il vaccino funziona al 95%: e quei 5 sfigati su 100?

Innanzitutto, in medicina il 100% non esiste. Un’efficacia del 95% è un risultato più che ottimo; è un valore analogo a quello del vaccino anti-parotite, per esempio.

Quel 5% di inefficacia, tuttavia, porta con sé alcune conseguenze importanti:

  • Qualcosa di positivo: meno casi sintomatici gravi significano minor sovraccarico del sistema sanitario, migliore gestione dei pazienti e ottimizzazione dell’outcome degli interventi. Cioè: anche se 5 soggetti vaccinati su 100 (anziché 100 su 100, come può accadere, nel peggiore degli scenari, in assenza di vaccinazione) contraessero una malattia severa, il sistema sanitario riuscirebbe a reagire efficacemente, a curarli meglio, con maggiori probabilità di successo.
  • Un’altra considerazione: più la popolazione è vaccinata, meno il virus circola. È proprio così semplice quanto sembra. Qualunque virus, per replicarsi e diffondersi, ha bisogno di un ospite da infettare. Se le infezioni sono minori, in termini di quantità e intensità, la replicazione virale si riduce, e così anche la trasmissione.
  • Il punto dolente: il vaccino non è una panacea. Finché non si arresta la circolazione del virus (cosa improbabile nel breve termine), anche i soggetti vaccinati dovranno rispettare tutte le norme preventive igienico-sanitarie, utilizzo di mascherine e distanziamento sociale. Questo sia per quel 5% di inefficacia, sia perché gli studi finora non hanno dato risultati chiari sulla possibilità di trasmissione o meno dell’infezione.

8. Ora che sono stati approvati due vaccini, posso scegliere quello che voglio?

No, non stiamo scegliendo un pacchetto di caramelle o il gusto della pizza. Sia Moderna che Pfizer sono stati approvati, hanno superato i test di sicurezza e sono utilizzabili con la stessa efficacia. Le differenze tra le due preparazioni stanno in:

  • Distanza tra le due dosi: 21 giorni per Pfizer, 28 per Moderna;
  • Soglia di età: sopra ai 16 anni per Pfizer, sopra ai 18 per Moderna;
  • Modalità di conservazione e trasporto: Moderna deve essere conservato a temperature comprese tra i -15 e -25 gradi, ma è stabile tra +2 e +8 per 30 giorni se in confezione integra. Il vaccino Pfizer, invece, deve essere conservato a -70 gradi.

Queste differenze, però, devono interessare gli addetti ai lavori e non noi. Sicuramente è buona prassi non mischiare due preparazioni diverse, per cui è al momento esclusa la somministrazione di una prima dose di un certo vaccino e una seconda dell’altro.

9. E la signora che si è ammalata tre giorni dopo averlo fatto?

Certo, perché il vaccino non ha un effetto istantaneo. Qualunque vaccino stimola il sistema immunitario, così come farebbe un’infezione. La risposta necessita di un certo tempo per svilupparsi: l’antigene deve essere riconosciuto, i linfociti T devono attivarsi e stimolare i linfociti B, che a loro volta devono differenziarsi in plasmacellule per produrre anticorpi specifici, i quali andranno ad agire sull’agente patogeno.

Tutto questo richiede tempo. Dopo la prima dose di vaccino si sviluppa una certa immunità, ma è dopo la seconda dose che l’immunità raggiunge una piena maturazione.

Pertanto, se l’infezione da SARS-CoV-2 è stata contratta prima o appena dopo la somministrazione della prima dose, considerando il periodo di incubazione del virus (medio di 5-6 giorni, ma massimo di 2 settimane) e l’immunità non ancora sviluppata, logicamente la sintomatologia si manifesterà pochi giorni dopo la vaccinazione ma senza essere in alcun modo associata ad essa. Queste notizie giocano sulla paura e sulla disinformazione: cerchiamo di capire come funzionano le cose e non allarmiamoci per ciò che è del tutto normale.

10. Intanto aspetto che lo faccia qualcun altro…

Ribadisco: i vaccini sono stati approvati da enti internazionali, senza conflitto di interessi, dell’Unione Europea, del Regno Unito e degli USA. Sono stati contratti i tempi burocratici per accelerare la produzione, ma nessun passaggio di verifica in termini di sicurezza, efficacia e praticità è stato sacrificato. Questo dovrebbe bastarci. Se così non fosse, continuiamo a riflettere e informarci (da fonti affidabili) nell’attesa che arrivi il nostro turno. Non lasciamoci trarre in inganno da quei singoli casi che fanno notizia ma hanno scarso valore scientifico. Guardiamo al quadro complessivo, consideriamo rischi e benefici. E poi scegliamo.

Le domande a cui rispondere sarebbero tante, questo è solo un assaggio. Un punto di partenza, per capire che è giusto informarsi prima di prendere decisioni e sottoporsi a qualunque trattamento medico, ma che è altrettanto importante servirsi delle fonti più affidabili e ragionare in maniera logico-scientifica. La paura può prendere il sopravvento, oggi più che mai: nessuno di noi sta vivendo un momento facile. E oggi più che mai dobbiamo imparare a fidarci della Scienza e guardare questo vaccino con occhi pieni di meraviglia, anziché di diffidenza.

Teresa Caini

(In copertina e nell’articolo immagini di Nataliya Vaitkevich da Pexels)


Per approfondire: Perché ho scelto di vaccinarmi (un articolo di Teresa Caini)


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