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TELEGRAM, i gruppi di stupro virtuale – Gioco o realtà?

Telegram stupro virtuale 2

Telegram è una delle applicazioni di messaggistica istantanea più utilizzate del momento. Nasce nel 2013 in Russia e rappresenta un’assoluta novità per la presenza di canali ad accesso libero in cui è possibile raggiungere addirittura 100.000 iscritti.


Cosa rende Telegram così gettonato? Soggetti anonimi e vigliaccheria

La policy di Telegram è sicuramente non in linea con gli standard europei inerenti alla privacy e alla sicurezza della persona: i controlli sul materiale interscambiato sono affidati agli admin degli stessi canali ed è facile mantenere l’anonimato.

Per tali motivi, nell’ultimo anno, si è venuti a conoscenza di un utilizzo illecito di materiale intimo su alcuni gruppi dai nomi già abbastanza esplicativi. Stupro tua sorella 2.0 e La Bibbia 4.0 sono sicuramente due dei più famosi. Questi sono stati chiusi più volte e riaperti altrettante volte, infatti il 2.0 e il 4.0 si riferiscono al numero di volte in cui sono rinati.

Ma perché sono stati chiusi? Immagini di minori, pedopornografia, revenge porn, compravendita di materiale intimo e privato, minacce di stupro, offese, username Instagram delle vittime, numeri di cellulare e indirizzi di casa. Il vantaggio? La certezza che l’identità rimarrà celata.

La vigliaccheria, in modo non indifferente, dilaga negli individui sicuri del fatto che è possibile assumere comportamenti a-normali e decisamente illeciti giustificando se stessi con frasi classiche come è solo un gioco, è solo finto, è solo virtuale.

Chi deve avere paura?

I reati commessi, in realtà, non possono essere classificati come meno gravi o addirittura inesistenti in quanto virtuali. Il revenge porn, la minaccia e la violazione della privacy incappano in condanne serie.

Spaventa maggiormente il fatto che non siano in pericolo solo le donne che si espongono pubblicando foto di nudo e semi-nudo sulle piattaforme social, ma madri e sorelle ritratte in foto quotidiane che, anche senza esporre il loro corpo, vengono messe alla gogna dai loro stessi figli, fratelli e mariti. Questo accade anche a lavoratrici diffamate da colleghi o da ex fidanzati che alimentano odio verso le loro ex.

Il victim blaming o lo slut shaming sono elementi onnipresenti. Addirittura si diffama la vittima modificando con Photoshop (in modo decisamente realistico) una sua foto da vestita, spogliandola di ogni cosa.

Negli ultimi sei mesi si è notato un fortissimo accanimento contro le attiviste femministe che, in modo mirato, stanno agendo prontamente con le segnalazioni, la sensibilizzazione e l’atteggiamento propositivo per nuovi canali di supporto alle vittime, tra cui il gruppo Telegram #notmyshame.

Bersaglio sono anche le rape survivor che, proprio perché già state stuprate, fanno gola a chi decide di demolire la loro immagine o la loro forza emotiva.

Giustificare il carnefice: sì, ma…

Poiché il reato si protrae virtualmente si pensa sia meno d’impatto a livello psicologico. Potremmo ironicamente esporre l’assunto: “Ti giustifico nel nome del patriarcato, del raptus e dell’istinto animale”.

Quando un uomo, su una piattaforma virtuale, minaccia qualcuno (in questi gruppi le vittime sono le donne di qualsiasi età e il mandante è un uomo soggetto a machismo e mascolinità tossica esposta), incita allo stupro di gruppo o condivide materiale intimo senza consenso, sta bypassando la privacy di un’altra persona.

Qual è la risposta della società e della visione comune? La giustificazione. E, nello specifico, esistono quattro sfumature di essa:

  • Raptus;
  • “Non è un uomo, è una bestia”;
  • “Stava scherzando”;
  • “La colpa è dell’istinto sessuale”.

Quindi si esula dall’importanza della responsabilità e si tende, in modo cieco, a tollerare comportamenti da condannare. Non si tratta di accadimenti extra-curriculari o di atteggiamenti da bestie: i componenti di questi gruppi sono persone, non mostri. Questa consapevolezza è la più complicata da esporre, poiché essere una persona significa essere camerieri, avvocati, padri, medici, fidanzati, vicini di casa. Questo rende il partecipante dello stupro virtuale di gruppo uno fra molti, un’identità camaleontica.

Cosa fare per bloccare questo circolo vizioso?

Essenziale è agire nel quotidiano affinché le cose possano cambiare. Non è un processo utopico, basta evitare di chiudere gli occhi. Se un amico o un’amica fa o dice qualcosa che alimenta il reticolo, fermalo. Il primo passo per rompere la catena è allentare i suoi stessi anelli.

Valeria Fonte

(In copertina Dmitriy Be da Unsplash)

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