I media italiani non danno mai la giusta importanza alla politica internazionale e anche quando lo fanno espongono un solo punto di vista. Non c’è niente di meglio di un buon caffè scorretto per svegliare la mente assopita e cominciare a pensare fuori dagli schemi.
La prima buona notizia del 2021
Davide ha respinto Golia. Ieri il tribunale penale di Londra ha emesso una sentenza importantissima per il giornalismo d’inchiesta: Julian Assange non sarà estradato negli Stati Uniti. Una decisione che sembrava poco probabile alla vigilia e perfino per buona parte del processo, durante il quale il giudice distrettuale Vanessa Baraitser non ha ridotto l’entità dei capi d’accusa. A condizionare la sua scelta è stata, infatti, la preoccupazione per la salute mentale dell’imputato, ritenuto dagli psichiatri a rischio suicidio.
Nel corso del suo isolamento obbligato a Londra, Assange ha vissuto in condizioni certamente disumane e, secondo il giudice, in una prigione americana la sua vita sarebbe in pericolo. Questa sentenza, dunque, non scagiona il whistleblower australiano ma costituisce un primo passo che potrebbe condurre nei prossimi giorni a un allentamento della sua prigionia. Purtroppo però, la vicenda non finisce qui ed è quasi certo che Washington farà ricorso, usando tutti i mezzi possibili per catturarlo.
Assange e WikiLeaks
Julian Assange è noto per essere il fondatore di WikiLeaks, la piattaforma web creata nel 2006 per raccogliere e condividere in forma anonima informazioni segrete a tema soprattutto politico e militare. L’anno in cui WikiLeaks ha acquisito fama mondiale è il 2010, quando pubblicò numerosi documenti riguardanti politici e diplomatici americani oltre che rivelazioni scioccanti sui crimini di guerra commessi dall’esercito.
Il video Collateral Murder, pubblicato ad aprile, mostrò le forze americane aprire il fuoco su dei civili iracheni, uccidendo 18 persone tra cui due giornalisti di Reuters. Nei mesi successivi furono diffusi altri documenti sulle operazioni in Iraq e in Afghanistan in cui sono testimoniati, tra le altre cose, molteplici casi di torture e abusi sui quali si era sempre taciuto. A partire dal 2010 uscirono anche diverse comunicazioni segrete della diplomazia USA in cui sono rivelate attività di spionaggio contro i vertici delle Nazioni Unite e alcuni capi di stato “alleati” tra cui Silvio Berlusconi, Angela Merkel e Nicolas Sarkozy.
Il 19 giugno 2012, dopo numerose accuse dagli Stati Uniti (tra cui alcune strumentali fabbricate in Svezia), Assange si rifugiò nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra. Vi restò fino all’11 aprile 2019 quando il nuovo presidente del paese sudamericano gli ha revocato lo status di rifugiato politico, consentendo alla polizia britannica di prelevarlo con la forza. Intanto i tribunali americani l’hanno condannato a 175 anni di carcere per aver violato l’Espionage Act, una legge ideata nel 1917 per mettere a tacere i critici delle azioni militari all’estero.
Rischi del mestiere
Ci sono due principali tipi di giornalismo: quello da poltrona, che spesso degenera in servilismo nei confronti dei potenti; e quello investigativo, più difficile da praticare ma più nobile perché scomodo al potere. Alcuni, come Gianni “the opposite of journalism” Riotta (ex TG1, oggi attivo presso La Stampa) hanno fatto una scelta facile. Gli appassionati di Twitter se lo ricordano per aver addirittura esultato all’arresto di Assange, accostandolo a quello di Omar al-Bashir, generale sudanese responsabile di numerosi crimini contro l’umanità. Altri, invece, come Stefania Maurizi hanno scelto il giornalismo d’inchiesta, sostenendo anche qui in Italia le lotte di Assange per la libertà d’informazione.
Maurizi, che oggi scrive per il Fatto Quotidiano, ha collaborato con WikiLeaks e segue il caso Assange fin dall’inizio. Attenzione che l’ha portata ad essere coinvolta in prima persona negli intrighi dell’intelligence americana. L’anno scorso, infatti, il quotidiano spagnolo El País ha divulgato che durante la permanenza nell’ambasciata ecuadoregna il fondatore di WikiLeaks è stato sistematicamente filmato e registrato. Spionaggio di cui sono vittima anche i familiari e tutti i giornalisti e gli avvocati che gli hanno fatto visita. La stessa Maurizi è stata filmata e i suoi cellulari aperti e fotografati di nascosto senza il suo consenso.
La cartina tornasole
I documenti diffusi attraverso WikiLeaks da Julian Assange, Chelsea Manning e tutti gli altri collaboratori hanno reso senza dubbio un grande servigio all’umanità. Eppure, quante delle persone che ogni giorno amano riempirsi la bocca di “diritti civili” o “diritti umani nel mondo” hanno detto qualcosa a difesa di Assange? Pochissime. Basti pensare alla risoluzione dello scorso novembre in cui il Parlamento Europeo votò contro la sua inclusione in un documento sulla libertà di espressione. A favore, dall’Italia, solo il gruppo del Movimento 5 Stelle e Pierfrancesco Majorino del PD.
Questo caso è perfetto per distinguere chi parla di diritti solo per convenienza personale e chi invece lo fa in modo sincero e disinteressato. Una situazione, questa, che dovrebbe farci riflettere anche sulla limitatezza del diritto internazionale. Come ha messo in luce il recente perdono concesso ai mercenari responsabili di una strage in Iraq, nel mondo ci sono alcuni paesi per i quali la giustizia funziona in modo diverso. Ecco perché i responsabili degli orrori di Srebrenica sono finiti sotto processo, mentre le menti dietro alle devastanti guerre in Iraq o in Afghanistan sono ancora a piede libero.
“Uccidi un uomo e sei un assassino, uccidine milioni e sei un conquistatore” recitava un antico detto. Oggi potremmo dire “commetti un crimine e sei un eroe di guerra, svela quel crimine e andrai in galera”.
Federico Speme
(In copertina Julian Assange)
Giornalismo e barbarie nel caso Assange è il quarto articolo di Caffè Scorretto, una rubrica di Federico Speme.