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Be Shameless – La musica come prima scelta (con Matteo Tanzini)

Shameless Matteo Tanzini

Le difficoltà di una vita normale, in un quartiere di periferia, tra il rap statunitense e gli amici di una vita. Questa è la vita di Matteo Tanzini, in arte Shameless, che in questa intervista ci parla delle sue esperienze, della sua musica e dei progetti in cantiere.


Shameless, nome d’arte di Matteo Tanzini, classe 2001, è un rapper di Giardinetti, quartiere periferico a sud-est di Roma. Abbiamo avuto l’occasione di sentirlo in concerto al festival Re Start organizzato dall’associazione Da Sud, in cui ha suonato prima del cantautore Maldestro, con il quale ha anche scritto una canzone. Matteo colpisce subito per la sincerità e la freschezza sua e di ciò che scrive. Tra contenuti e tecnica, lavora per conquistare Roma e, in un futuro prossimo, l’Italia intera.

Come e quando è nato Shameless?

Tutto quanto è iniziato che avevo 11 anni, in prima media. In realtà non so neanche io il motivo vero e proprio. Un amico mio, presente con me nel brano con Maldestro, aveva iniziato a rappare, e così ho deciso di provarci pure io. All’inizio quello che scrivevo faceva proprio schifo [ride], era improponibile. All’inizio rimavo senza basi, scrivendo sui fogli di carta. Poi, a 15 anni, è diventata una routine: scaricavo basi, scrivevo sempre. Il rap era diventato una parte integrante del mio pensiero. Così ho iniziato anche ad addentrarmi nella cultura hip hop.

Il nome Shameless è nato quando avevo all’incirca 14 anni. Potrei inventarmi i peggio viaggi mentali per giustificarlo (ride), ma in realtà l’ho scelto solo perché mi piaceva la serie tv.

Alla fine del tuo brano, uscito di recente, Lonely dici: ”Ascolto un pezzo di quelli che mi han cambiato”. Quali sono questi pezzi? E in che modo ti hanno cambiato?

Se devo generalizzare ad album direi Illmatic di Nas e 2001 di Dr. Dre. Però ce ne stanno tantissimi altri. Alcune cose di Eminem, per esempio. In effetti il rap americano mi ha influenzato tantissimo: nel modo di scrivere ma anche nel modo di pensare. In genere però ascolto veramente di tutto: che sia rap old o new school italiano, americano, oppure della scena francese o londinese.

In Italia uno dei primi è stato Emis Killa, alle medie ascoltavo sempre la sua Parole di Ghiaccio. Mi piacevano anche J-Ax e gli Articolo 31: ero molto all’avanguardia pure da ragazzino [ride]. Emis poi mi ha ispirato più di tutti. So a memoria canzoni che probabilmente non si ricorda nemmeno lui.

Nello stesso brano dici una frase che mi ha colpito molto: “Ho un quoziente intellettivo abbastanza sprecato, anche da diplomato destinato a non eccellere”. Perché quel “destinato”?

Lì parlo del mio vissuto. Da ragazzino non ero quello preso di mira o quello bullizzato, però non ero nemmeno il tipo di cui dicono: “Quello là farà grandi cose”. Se non fosse stato per la musica, probabilmente sarei uno dei tanti che fa una “vita standard”.

Poi, dando tanto alla musica, ho dovuto trascurare alcune cose – il che non è mai bene. Per questo dico: “Destinato a non eccellere”: perché non sono mai stato la prima scelta, un riferimento per tutti. Sono andato in una scuola in cui me la sono cavata; ma pure con questo diploma in mano non sono destinato a grandi lavori. Queste cose le ho sempre notate anche quando ero più piccolo, e sicuramente non hanno fatto bene alla mia autostima.

Nei tuoi pezzi citi spesso Roma e il tuo quartiere. Cosa ha significato per te nascere qui?

Sono nato e cresciuto nello stesso quartiere. Tutti gli amici stretti che ho sono di zona, così come lo sono i miei luoghi: il campetto, il parco, la chiesa. All’inizio non ci fai caso, ma poi quando cresci e non li frequenti più ti rimangono in testa i ricordi di quando ci si incontrava tutti lì. Quando parlo in negativo del mio quartiere mi riferisco all’amministrazione: strutture non curate, parco degradato nel corso degli anni. Oppure a gente che sembra chissà quanto amichevole ma che poi non si è rivelata tale. Ma tra quelle persone c’è sempre l’amico con cui hai lo stesso rapporto da anni e anni, e magari pure i posti più brutti con lui possono sembrare decenti, più o meno.

In canzoni che usciranno in futuro parlo di più dell’influenza della periferia… Senza voler fare il gangsta [ride]. Molto spesso i posti – e le persone che li abitavano – vengono dimenticati. Le periferie sono molto trascurate, però lì c’è tanto calore umano. Nasce da questo il mio forte senso di appartenenza. È bello raccontare certe situazioni senza esagerare perché nessuno di noi è un criminale: tutti hanno problemi, ma non mi sembra giusto sbandierarli o parlare dei problemi degli altri solo per sembrare più forte.

In Lonely dici “se restiamo ad annoiarci è perché è l’unica cosa che è gratis”…

La maggior parte delle volte in quanto ragazzi abbiamo questo “vincolo”: se vuoi divertirti, devi metterci i soldi. Non possiamo permetterci un divertimento di alto livello. Per noi poi è altrettanto importante non omologarci, magari pensiamo: “Eh, stiamo sempre qua in zona”, però poi quando andiamo in quei posti più frequentati non ci troviamo bene, perché sono tutti uguali tra loro e tutti così diversi da noi. È una situazione strana: non sai mai cosa ti fa stare bene e che cosa vuoi veramente. La paura di stare in mezzo agli altri ed essere giudicati c’è, ed è innegabile.

Shameless Matteo Tanzini4

Possiamo dire quindi che ciò di cui parli in Lonely sia una anche solitudine condivisa?

Assolutamente. Intendo pure una sorta di isolamento sociale, che esisteva anche prima del Covid. Siamo un cerchia stretta di persone che vive in modo solitario, isolato dagli altri e dai clichés del divertimento.

Dimmi qualcosa della solitudine solitaria, quella, per intenderci, del ritornello. In un periodo in cui abbiamo dovuto tutti farci i conti pensi che sia solo nostra nemica o possa anche essere un’alleata?

Nel mio caso nemica, nemica giurata proprio perché da figlio unico tendo spesso a stare solo. La solitudine mi aiuta a scrivere, ma non mi fa stare bene. Sono stato un mese dentro casa e mi sono ritrovato spesso in questa situazione. Per questo ho deciso di far uscire il pezzo adesso: non ci sarebbe stato un momento più adatto. Il lato positivo è che la solitudine sa anche ispirarmi parecchio, e questa canzone ne è la dimostrazione.

Parlaci dei tuoi pezzi: come nascono di solito? Viene prima il testo o la base?

Io scrivo sulle basi. Solitamente c’è Zine, che ha prodotto È tutto vero. Io e lui ci conosciamo dalle medie e lui ha cominciato a fare basi da poco più di un anno. Col tempo sta migliorando, è uno di quelli che non si accontentano. Non è ancora producer perché per diventarlo servono gli strumenti per imparare a registrare, a mixare.

A volte è un po’ difficile lavorare con un amico stretto che ti fa pure le basi, ma ha i suoi vantaggi perché esiste già un certo tipo di fiducia, di alchimia. Quello che racconti non è solo al singolare, parla anche di quello che può rappresentare lui e tutti gli altri che stanno nella tua stessa situazione.

L’importanza di fare luce su chi fa la base e/o produce il pezzo si è sviluppata da pochi anni in Italia. Prima bisognava aprire il cd e cercare ovunque per leggere il nome di chi aveva comunque fatto una parte indispensabile del lavoro.

Per ora di posti dove possiamo registrare c’è il B side o la radio Da sud. A Da Sud mi ha portato un ragazzo della mia classe, lì ho conosciuto altri ragazzi, diciamo che cerchiamo di radunare più gente brava possibile. Qui almeno possiamo registrare, ci facciamo un’idea di come suona il pezzo e di come suona la voce: loro offrono degli spazi di cui noi possiamo usufruire.

Ascoltando i tuoi brani ho notato una differenza di stile, Lonely è più classica, old school, mentre È tutto vero ha sonorità più moderne, con una base che richiama l’universo trap. C’è un genere preciso in cui ti senti più rispecchiato?

A me piace tanto spaziare. La nostra idea è quella di unire beat freschi a livello di sound, che non suonino vecchi, a quella chiave di scrittura e interpretazione che rimanda a quei mostri sacri che fanno ancora rap come Dio comanda. Roba che sia comunque attuale, ma che punti molto sul testo, sulla scrittura. È probabile che i pezzi futuri saranno sullo stile di È tutto vero.

Creare nuovi contenuti potrebbe essere la rivoluzione di un’epoca in cui vince chi non dice niente ma lo dice benissimo.

Io vedo molti ragazzi, anche più piccoli di me, che magari hanno un po’ quell’attitudine di strada e che raccontano bene la periferia. Ragazzi così ce ne sono, e spesso si trovano pure in tendenza perché quando li senti non sono mai noiosi, riescono sempre a dire qualcosa di nuovo e a regalarti tanti spunti su cui riflettere.

Hai in mente progetti futuri per Shameless?

Abbiamo qualcosa in cantiere, ora bisogna solo trovare il modo per registrare e ovviamente fare il video. Dobbiamo anche riuscire a mettere i nostri contenuti su Spotify, perché quando esco di casa non è che posso sentirmi il pezzo da Youtube. Vorrei riuscire a proseguire nel modo giusto, esprimere al meglio quello che sento e quello che so fare.

Infine un piccolo aneddoto per i fan [ride]: l’ultimo giorno di libertà sono andato a registrare un freestyle da un minuto che verrà messo in fondo a un cortometraggio nei titoli di coda. È un progetto a cui tengo e che sicuramente vedrà la luce.

Intervista a cura di Maddalena Ansaloni


Per approfondire, leggi le recensioni di musica di Maddalena Ansaloni.

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