Si apre con il nuovo articolo di Elettra Dòmini un ciclo di testi dedicati alla violenza sulle donne, a partire dai suoi temi principali: la disparità femminile, il 25 novembre, il ruolo delle bambine, delle ragazze, delle donne nella società, il femminismo nel ventunesimo secolo…
Ti risparmio la fatica di aprire questo articolo e renderti conto che sì, esistiamo ancora; le imperatrici del compiacimento borioso, le furie urlanti che vedono in ogni tuo singolo gesto la disparità femminile, lo tsunami di estrogeni e progesterone che ti condanna a una vita di asterischi, peli sulle gambe, foto di Vanessa Incontrada nuda in copertina che parla di come si sente bella nonostante la sua taglia forte.
Puoi non leggerlo, so che non ti va.
Se invece anche solo per il gusto di contraddirmi vuoi leggerlo, allora ti tranquillizzo subito: io non sono una di quelle ragazze. Non che ci sia nulla di male. Ho solo pensato che, così come sette miliardi di persone si struggono all’idea che il 25 novembre sia morto Diego Maradona –cosa che ha devastato me per prima – io nel mio piccolo avrei potuto parlare di un altro fatto per cui la giornata del 25 novembre dovrebbe essere così importante.
Ho pensato così tante volte a quello che potevo scrivere, a come potevo scriverlo in modo che non ci fossero sbuffate generali o occhi al cielo alla vista di un ennesimo, pallosissimo penserai, articolo che parla di donne, che a questo punto rinuncio.
Non so come scriverlo, non so cosa trasmettere, non so proprio da dove partire o dove arrivare, perché in fondo, per me non c’è niente da dire.
Sono nata in un mondo normale, sicuramente in un periodo più fortunato di altri, in cui essere categorizzata dal colore rosa mi piaceva, perché sapevo che potevo comunque dire ai miei amici che preferivo il blu. Sono cresciuta nella consapevolezza che le macchine non fossero poi dei giochi su cui si poteva costruire una storia sofisticata come con le bambole o i cuccioli cerca amici, e mi è sempre andato bene.
Crescendo, mi sono anche resa conto di essere molto fortunata ad essere felice di essere femmina, nata e addestrata ad essere femmina (niente gonne troppo corte o trucco pesante, e direi che tu sappia bene il perché; niente camminate da sola di sera, e direi che tu sappia anche questo; niente rapporti intimi con dei ragazzi; niente foto intime a dei ragazzi, nemmeno ai tuoi ragazzi, o come ci ha insegnato Marcia Clark, ai mariti), perché ci sono delle delle bambine, delle ragazze, delle donne, che non sono state così fortunate da poter accettare un ruolo deciso da altri da impersonare tutta la vita, così preparate ad affrontare il profondo blu del mondo.
Per farti proseguire a leggere, rispondo alla tua domanda implicita: Anche se parlo di femmine non mi piacciono i miei peli; penso che la foto di Vanessa Incontrada in copertina, anche se molto graziosa, avrebbe avuto più effetto con il suo vero spacco coscia; e mi sono rassegnata senza troppi sforzi al fatto che non è colpa dei ragazzi di oggi se l’italiano, come quasi tutte le lingue storico-naturali, non aveva previsto che un giorno donne e uomini sarebbero stati sullo stesso piano.
E invece adesso, quasi per caso, dopo esserci liberate – non con la stessa grazia con cui dovremmo andare al supermercato – dalle sabbie mobili del padre, del marito, del datore di lavoro, della società… è capitato: siamo davvero sullo stesso piano ed è stato ripetuto così tante volte che anche tu, per osmosi, hai imparato a pensarlo automaticamente, proprio come me. E ti capisco quando a volte pensi che sia quasi fastidioso sentire chi ti ricorda di togliere quel cavolo di morfema flessionale maschile perché non è inclusivo e il mondo si sta aprendo mentalmente. D’altronde siamo tutti uguali, lasciamo stare una lingua che è solo troppo antica.
Questo magari ti porta a pensare “Perché concentrarsi così tanto su questi presunti diritti che mancano, quando esistono le guerre nei paesi poveri; esiste ancora oggi, più implicita ma sempre attuale, la lotta di classe; quando esiste il razzismo, esiste l’omicidio, esiste la fame?”
Perché mai importa se non è inclusivo, quel cavolo di morfema che sembra avere così tanta importanza, quando in verità va tutto bene, e si vive in un mondo in cui non c’è nessuna differenza tra stipendi di un lavoratore e una lavoratrice (Studi recenti attestano che una Donna è retribuita circa il 14,8% in meno rispetto a un uomo), in cui non c’è nessuna differenza tra umore maschile (È un po’ giù) e umore femminile (è un’isterica con il ciclo); in cui non c’è nessuna differenza tra dignità di un uomo (“Pietro Boselli fa amare la matematica alle studentesse: il prof di matematica più sexy del mondo è un modello italiano”) e dignità di una donna (Licenziata maestra d’asilo nel torinese: i suoi video hard per il fidanzato diffusi nella chat di calcetto); in cui non c’è nessuna differenza tra un uomo (Genovese? Un vulcano di idee e progetti costretto a fermarsi almeno per un po’, imprenditore di successo, uno che ce l’ha fatta) e una donna (cosa pensava, di andare a recitare il rosario da Genovese? Sa che è rischioso avere a che far e con i cocainomani) coinvolti in un caso di reato grave; in cui non c’è nessuna differenza tra un uomo che cammina da solo di notte (va a sgranchirsi le gambe) e una donna che cammina da sola di notte (Agguato vicino casa: notte choc per una ragazza dell’Est Europa); tra un uomo che entra nella scena politica e una donna che entra nella scena politica (Teresa Bellanova definita balena blu – Cecile Kyenge chiamata orango – gli insulti sessisti a Rula Jebreal: “hai bisogno di un cazzo in bocca“)?
Già, perché mai.
Mi blocca il fatto di non riuscire, per la prima volta, a esprimermi a parole, quelle parole che componendosi in infiniti modi possibili dovrebbero dar forma a qualsiasi tipo di pensiero. Mi manca cosa voglio dire, mi manca cosa voglio che tu risponda. Ne ho abbastanza del silenzio, del rumore inutile, il rumore che dà l’impressione a tutti di aver fatto un passo avanti verso la risoluzione di un problema che non è un problema, ma un dato di fatto che si deve solo accettare. Esiste un modo per esprimere un sentimento così? Un modo per farti pensare, anche solo per un attimo, che, per quanto il femminismo sia scomodo e fastidioso, rappresenta un qualcosa di così infinitamente fragile e così infinitamente fondamentale?
La paura non unisce le persone nella comune ricerca di una soluzione, le divide, e le fa vivere con il presentimento di un buio attorno a loro che le rende invisibili e sole.
Fino ad ora, siamo andati avanti nella bellissima menzogna di un’evoluzione che però è rattrappita da stereotipi, impigliata nel passato da cui avremmo dovuto imparare. E Rita Levi Montalcini ha lottato per noi. Malala Yousafzai ha lottato per noi. Marie Curie ha lottato per noi. Ma la Donna di cinquant’anni che va a fare la spesa deve mettere una gambina in su per essere più intrigante. La maestra di Torino, comunque, ha un’identità che non trova più. È stata umiliata, ricattata, insultata, licenziata. La donna calabrese uccisa a coltellate, aveva una relazione extraconiugale. La “ragazza violentata” da Genovese è stata ingenua; violentata per venti ore.
Essere femminista non significa nascondere la paura frustrata di non primeggiare tra gli uomini se non con una spinta, ma vuol dire essere consapevoli che ci siano delle diversità naturali tra maschi e femmine, e che, qualsiasi sia la categoria a cui una persona voglia appartenere, ci sia la certezza che nessuna di queste, con i suoi pregi e i suoi difetti, primeggi sulle altre.
Grazie per avermi ascoltata.
Elettra Dòmini
(In copertina illustrazione originale di Alexandra Guerra)
“Tranquillo, questo puoi non leggerlo” è un articolo di Voci, una rubrica a cura di Elettra Dòmini.
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