Ieri, 25 novembre 2020, intorno alle ore 13:00 locali, nella sua casa di Tigre – nella provincia di Buenos Aires – è morto Diego Armando Maradona. Personaggio controverso, con una storia ricchissima, atleta formidabile, da molti ritenuto il miglior calciatore che la storia abbia mai avuto il piacere di conoscere.
Un uomo e un dio
Una vita contrassegnata dalla povertà del barrio di Villa Fiorita, dove cresce e nasce l’amore per il calcio e dove scopre come fare magia con i suoi piedi; dall’amore della famiglia e dei suoi affetti, che riconoscono il talento e lo supportano dal primo all’ultimo istante; fino ai momenti più bui, quando si è avvicinato più alla figura umana che a quella divina, immagine che Napoli gli ha attribuito per gli evidenti meriti sportivi.
È soprattutto su quest’ultima contrapposizione che il pensiero su Diego Armando Maradona si è diviso nella mente di ogni abitante del globo, perché Maradona lo conosce chiunque, non solo chi ama il calcio. Il giocatore più forte di tutto il mondo, di tutti i tempi, soprannominato “Dios”, e allo stesso tempo un uomo, con i difetti e i peccati degli uomini, esaltati dagli stessi peccatori che però non ammettono gli errori che ha commesso il loro idolo per antonomasia.
Una cosa, però, è inequivocabile, come può esserlo stato Ernesto “Che” Guevara per la stessa Argentina di Diego, Maradona sarà inesorabilmente un simbolo, legato indissolubilmente al pallone. Un esempio come atleta, come sportivo legato alle maglie che indossava più che ai soldi, e di riscatto da tutti gli errori commessi tra droga, tradimenti e vicissitudini più o meno infelici.
El Pibe de Oro
Il numero uno dei numeri 10: c’è Maradona, poi ci sono tutti gli altri. El Pibe de Oro è la figura forse maggiormente difficile da ricoprire in un gioco di squadra: quella del trascinatore, sia agonisticamente che mentalmente parlando. Diego è quel calciatore che riusciva a impersonare, in un singolo corpo, ogni intero undici titolare di cui ha fatto parte. Unificava il pensiero di tutti i compagni, partita per partita, portando in ogni squadra per cui ha giocato la sua ambizione e conducendo alla vittoria se stesso e chi lo ha accompagnato.
A Napoli la consacrazione, è riuscito a toccare i cuori di tutti i tifosi con le sue giocate, il suo spirito, e anche i suoi difetti.
A Napoli, Maradona arrivò da figlio, in un torrido 5 luglio 1984 in uno Stadio San Paolo colmo di 85.000 tifosi radunatisi per dargli il benvenuto, in quello stadio che presto prenderà proprio da lui la nuova denominazione. Da Napoli se ne andrà da fratello perché ha incarnato il napoletano, lo è diventato e, in una città martoriata dallo strapotere del nord (non solo nel pallone) ha saputo regalare gioia ad un popolo spesso bistrattato e considerato dai peggiori pregiudizi, in particolare in quei turbolenti anni ’80, che molti di noi hanno conosciuto ascoltando le storie delle generazioni precedenti. Diego è stato un napoletano d’adozione perché da sempre napoletano nella mentalità, nei pregi e nei difetti. Un uomo, che più uomo non si può, e un dio del calcio.
Il calcio del futuro
Simbolo del calcio. E se il simbolo del calcio lascia le sue spoglie mortali perché “Dio ha dovuto riprendersi la sua mano” – ricordando uno dei suoi gol più celebri – capiamo che questo sport non potrà più essere lo stesso. Tutti conoscevano Maradona, dai più vecchi ai più giovani, da chi lo ha seguito dal vivo a chi lo ha visto solo in video.
Prima con lo stop alla carriera agonistica, ma soprattutto da oggi, 26 novembre 2020, dopo il congedo massimo del fenomeno di Villa Fiorita, capiamo che il calcio cambierà radicalmente, in un modo o nell’altro. Non sappiamo ancora in che maniera, il futuro è sempre incerto. Lo scopriremo solo vivendo, e chi ama il calcio magari lo scoprirà continuando ad amare lo sport dove, se pensiamo a qualcuno che possa aver lasciato il segno, pensiamo proprio a Diego.
Lorenzo Gentile
(In copertina Diego Armando Maradona)