Il fenomeno migratorio è diventato strutturale nella società odierna, ma in qualche misura lo è stato in tutte le epoche storiche. Attualmente ciò che lo caratterizza è la direzione intrapresa dai flussi: osserviamo che i viaggi di migranti avvengono soprattutto verso alcuni territori. Questo spinge molte persone a ritenerli un problema.
La gran parte del fenomeno migratorio con finalità stanziale rimane circoscritto all’interno delle comunità in via di sviluppo, ma una parte dei flussi prende la via dell’Europa, dell’America del nord e dell’Oceania. Si tratta di flussi di vario tipo: donne e bambini in fuga da guerre e società oppressive, ma anche giovani ragazzi e ragazze in cerca di opportunità che nelle loro comunità d’origine sentono di non poter trovare.
Da ciò possiamo intuire come il fenomeno migratorio non sia il vero nodo, piuttosto è un sintomo; la punta di un iceberg che poggia su una distribuzione delle risorse totalmente iniqua. Il pianeta ospita aree povere e depresse, ma anche regioni ipersviluppate che offrono infinite opportunità e attraggono gente da ogni angolo del globo. Non è in queste ultime aree che si concentra la maggior parte dei flussi migratori, poiché molti progetti di viaggio subiscono modifiche in itinere. Ad esempio, migliaia di persone lasciano l’Africa alla volta dell’Europa senza mai giungervi; finiscono invece per insediarsi in un paese confinante o prossimo, come accadeva in passato con la Libia che offriva opportunità di lavoro.
Le migrazioni in una prospettiva eurocentrica
Nel nord del mondo, specialmente in Europa e negli Stati Uniti, si concentra piuttosto una quantità notevole di paure e di atteggiamenti reazionari nei confronti dei flussi in entrata. Proprio l’alta qualità della vita in queste aree spinge le popolazioni residenti a temere un impoverimento generale causato dall’arrivo costante di persone. L’immigrazione è un fenomeno che provoca una redistribuzione delle risorse locali su una platea di utenza più ampia, con conseguente perdita di privilegi e ricchezze per gli autoctoni a favore dei nuovi arrivati.
È importante approfondire la natura di queste paure ed evitare di criminalizzarle, imparando a comprenderle e abbracciandole come parte della natura umana. Solo così si può riuscire a renderle più piccole e a dominarle, per non lasciare la gestione e l’organizzazione della cosa pubblica alla mercé delle più crude emozioni. Piuttosto, è bene raffinare i sentimenti attraverso l’uso della conoscenza e l’analisi puntuale dei dati.
Analisi del fenomeno migratorio
Il primo passo per fare ciò è prendere atto di come l’Europa, culla del diritto liberale e delle libertà individuali, non possa che intraprendere una politica di non interferenza con la scelta personale di migrare alla ricerca di una vita migliore. Fermare l’immigrazione è una scelta illiberale, oltre che difficilmente realizzabile. Da un paio di decenni assistiamo all’incremento degli arrivi dall’Africa verso il nostro continente; questo avviene nonostante la mancanza di gestione dei flussi e la chiusura dei confini da parte dell’Italia, paese di frontiera dell’Europa.
Le persone escluse dai flussi turistici o di migrazione regolare non rinunciano certamente a spostarsi, crederlo sarebbe alquanto illusorio. Piuttosto, costoro viaggiano su tratte illegali e dunque maggiormente precarie e pericolose; attraverso il deserto del Sahara e il mar Mediterraneo, si imbarcano su natanti di fortuna approntati da trafficanti di esseri umani. Molte volte questi viaggi giungono al termine soltanto grazie alla presenza di un soccorso lungo il tragitto. Un approccio libertario vedrebbe al primo posto la rinuncia a ogni pretesa di controllo sulle vite e sui corpi altrui, e la resa di ogni fantasia proibizionista verso il fenomeno migratorio.
Politiche migratorie italiane ed europee
Prendere atto del fallimento delle politiche sin qui condotte, di stampo proibizionista, è il primo passo per aprire un dibattito intellettualmente onesto che verta sulle cause profonde delle partenze di massa, tentando di incidervi in maniera positiva e di invertire la tendenza. Se da un lato è illiberale impedire le partenze, sarebbe infatti disonesto ignorare la mancanza di libertà sostanziale riscontrabile dietro la scelta di molte di queste. All’origine ci sono situazioni così compromesse da non lasciare intravedere alternative accettabili. Appare necessario rassegnarsi a fare i conti a lungo con questi flussi di fuga, poiché il fenomeno è molto complesso; la risoluzione degli intrecci economici e sociali che creano povertà in alcuni territori presenta ancora molti ostacoli.
Un approccio libertario nelle terre di meta come l’Europa necessita di una gestione locale del fenomeno migratorio che non muova da rigidità ideologiche. Ad esempio in Italia, e non solo, ci si dedica da anni al rinforzo di una retorica riguardante i rimpatri dei migranti irregolari. Molti di questi sono persone richiedenti asilo che si vedono rigettata la domanda poiché non classificabili come profughi, bensì come migranti economici. Similmente, altri possiedono un permesso di soggiorno per motivi di lavoro che però è scaduto insieme al loro contratto di assunzione.
I governi di vario colore politico hanno profuso un certo impegno nel tentativo di denigrare questa enorme categoria di migranti, spesso non ritenuta meritevole di essere accolta; è tuttora in atto una massiccia opera di rimozione dal territorio e dall’immaginario collettivo. Non da ultimo, i rimpatri e la chiusura dei porti sono stati un importante caposaldo della campagna elettorale italiana per le elezioni politiche del 2018; ne è seguito un esecutivo che annoverava Matteo Salvini come ministro dell’interno, che si è impegnato nella realizzazione di queste pratiche.
Effetti del proibizionismo migratorio
A dispetto della dedizione dimostrata, si rilevano risultati piuttosto scarsi; il numero delle espulsioni resta nettamente inferiore rispetto alla quantità stimata di permanenze irregolari sul territorio italiano ed europeo. Può questa politica essere un approccio valido ai fini della tutela dei diritti e della sicurezza? Sicuramente no, perché alle persone prive di residenza anagrafica e dell’accesso ai servizi viene a mancare la tutela dei diritti fondamentali.
Proprio questa rischia di diventare la causa principale di mancanza di sicurezza sul territorio. Chi non ha accesso al mercato del lavoro regolare si ritrova spesso costretto a vivere di espedienti per trovare di che sopravvivere, o addirittura a piegarsi alle richieste della criminalità. Cresce così la schiera di persone disposte ad impegnarsi in attività illegali e nell’economia sommersa. Costoro sfuggono ad ogni controllo perché privi di documenti, di un indirizzo a cui trovarle e di qualsiasi tutela legale. Un problema enorme che i governi scelgono di tamponare occasionalmente con lo strumento delle sanatorie, finalizzate all’emersione e alla regolarizzazione di chi è presente in maniera irregolare.
Per non parlare delle condizioni e degli ingenti costi che presentano le poche espulsioni riuscite. Trattandosi di un’azione contraria alla volontà del soggetto, il provvedimento di espulsione si concretizza in un’operazione coatta che prevede il suo trasporto forzato in un centro di reclusione. In questi casi siamo di fronte a uno stato di privazione della libertà fisica e di movimento senza la contestazione di alcun capo d’accusa, al fine di disporre l’imbarco dell’interessato su un costoso volo di rimpatrio verso un paese nel quale non vuole tornare, dove magari correrà dei rischi che nessuna commissione tecnica potrà mai stimare con certezza.
Migrazioni economiche: soluzioni libertarie
Serve il coraggio di attuare una svolta politica profonda, che coniughi l’esigenza di sicurezza dei cittadini residenti con la tutela dei diritti fondamentali e delle vulnerabilità delle persone migranti. Un approccio equo e libertario necessita di meccanismi strutturali per far emergere i casi di irregolarità, un sistema che superi strumenti emergenziali come le sanatorie.
Come richiesto da più parti, una riforma radicale del quadro giuridico determinato dalla legge Bossi-Fini consentirebbe l’emissione periodica di un decreto flussi; con tale strumento gli ingressi sarebbero regolati su base annuale secondo la domanda di manodopera sul mercato del lavoro. Questa dinamica avrebbe anche l’effetto di diluire le partenze: si presume che in molti casi i non ammessi attenderanno di poter rientrare nel ciclo successivo, evitando così le attuali traversate della speranza.
Profughi e rifugiati: soluzioni libertarie
Anche ai flussi di richiedenti asilo va garantito un degno sbocco. Le condizioni economiche, belliche, giuridiche e climatiche di diverse aree spingono le persone a cercare rifugio altrove, e il fenomeno non accenna ad arrestarsi. È anzitutto per questa categoria che occorre prevedere canali di tutela più sicuri; li si può realizzare attraverso la possibilità di richiesta asilo presso le ambasciate e altri punti di accesso istituiti nei paesi di origine. La valutazione delle richieste dovrebbe essere espletata in tempi ragionevoli.
Il vantaggi sarebbe duplice: offrire la possibilità di una trasferta aerea, quindi sicura e confortevole, nonché operare già alla fonte una distribuzione dei richiedenti nei paesi di arrivo. Questa modalità eviterebbe la formazione di zone cuscinetto all’interno dell’Europa dove le persone si ritrovano private di ogni dignità. Sarebbe anche importante poter assistere a una partecipazione molto più attiva ai programmi di reinsediamento, da parte di tutti i paesi.
Luoghi di frontiera come i campi libici, Lampedusa, Lesbo, Ceuta e Melilla, Calais, Como, Ventimiglia, Trieste, la frontiera greco-turca, i confini tra i paesi della rotta balcanica necessitano di essere evacuati con urgenza, in quanto vere e proprie enclave in territorio europeo dove i diritti umani sono costantemente violati e calpestati.
In una società che ha fatto storia per le pratiche di libertà universali, cosa si aspetta ad adottare un approccio libertario esteso anche al prossimo?
Alex Battisti (articoli)
(In copertina Getty Images)
Articolo realizzato in collaborazione con Sistema Critico, un gruppo di studenti universitari che si pone come obiettivo il racconto del reale in modo critico e giovanile, avvicinando le persone alle questioni che il mondo ci pone ogni giorno.