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Padoan presidente di Unicredit – Quando un politico fa il banchiere

Padoad Unicredit

Riaffiora ciclicamente in Italia il dibattito sui conflitti d’interesse: in particolare negli ultimi anni hanno fatto molto discutere i rapporti della politica con l’industria, i media, la magistratura; un legame meno noto al grande pubblico, invece, è quello della politica con l’alta finanza e le banche.


Da Montecitorio al mondo bancario

È passata decisamente in sordina, nelle scorse settimane, la notizia della nomina di Pier Carlo Padoan a membro del consiglio di amministrazione di Unicredit, nell’ottica di diventarne presidente il prossimo aprile, succedendo così a Cesare Bisoni.

Padoan, già ministro dell’Economia dal 2014 al 2018 nei governi Renzi e Gentiloni, nonché deputato uscente del Partito Democratico (incarico dal quale ha già annunciato le dimissioni), diventerà quindi il massimo dirigente della seconda banca italiana per patrimonio, fatturato e quota di mercato, dopo Intesa Sanpaolo.

Una nomina che già solleva diversi dubbi: come sottolinea Federico Anghelé, presidente dell’organizzazione no-profit The Good Lobby, “Sebbene l’incarico di ministro dell’Economia sia cessato da oltre due anni, Padoan è pur sempre membro della Quinta Commissione della Camera (Bilancio, Tesoro e Programmazione) e quindi è presumibilmente entrato in possesso di informazioni riservate di cui potrebbe avvalersi nel suo nuovo incarico in Unicredit”, a scapito della concorrenza: tutto questo in barba all’autonomia delle istituzioni pubbliche. In effetti, suggeriscono i boatos, la scelta dell’amministratore delegato Jean Pierre Mustier sembrerebbe far parte di un progetto ben più grande e ambizioso.

Il dossier MontePaschi

Unicredit ambirebbe ad acquisire niente meno che Monte dei Paschi di Siena, la quarta banca in Italia, da anni al centro dell’agone politico. MPS è da tempo in dissesto finanziario per via di alcune operazione scellerate compiute dalle passate dirigenze, tra cui l’acquisizione, a prezzo maggiorato, di Banca Antonveneta.

Il Governo Gentiloni, nel dicembre 2016, ha varato un fondo da 20 miliardi per il salvataggio della banca: di fatto, mediante il meccanismo del bail-out (ossia mediante soldi pubblici) lo Stato entrava nel capitale della banca, tutelando i risparmiatori. Bail-out, però, teoricamente non ammesso dalle norme europee, che prediligono invece il bail-in (salvataggio mediante i soldi dei correntisti). Dopo quattro anni, proprio per via delle regole di Bruxelles, il governo ha emanato un decreto che autorizza la vendita di NPL (i crediti “spazzatura”, cioè quelli che non possono essere pagati dai debitori) ad AMCO, una società statale preposta a tal fine, dando quindi il la alla cessione.

A questo punto entrerebbe in gioco Unicredit: anche se per ora Mustier smentisce, il colosso bancario punterebbe nel lungo periodo all’acquisto di MPS, anche a seguito del matrimonio tra Intesa Sanpaolo e UBI Banca: a riprova di tale interesse, secondo alcuni, il progetto della creazione in Germania di una sub-holding ove confluirebbero tutte le attività non italiane del gruppo: attraverso la cessione delle quote di tale nuova società (che verrebbe quotata sui listini di Francoforte) si snellirebbe il ramo italiano, propiziando l’acquisizione della banca toscana.

E chi meglio di Padoan, che da ministro dell’economia gestì la nazionalizzazione, ha le conoscenze e l’esperienza necessarie per questo progetto? Non mancano le difficoltà: la recente condanna degli ex amministratori di MontePaschi Alessandro Profumo e Fabrizio Viola ha aumentato i rischi legali a 10 miliardi di euro: per lo Stato diventa quindi più difficile vendere l’istituto senese, che per ora non riscuote alcun interesse esplicito. Tanto che già si parla di chiedere all’Europa una deroga per la cessione.

La politica nicchia

Le reazioni della politica non sono mancate, ma curiosamente sono state piuttosto tiepide. Il commissario europeo all’economia Paolo Gentiloni, già premier quando Padoan era ministro, ha accolto positivamente la nomina celebrandone le qualità “tecniche e umane” necessarie per la nuova avventura; un altro ex presidente del Consiglio, Mario Monti, ha evidenziato invece doti quali “visione geopolitica e macroeconomica, conoscenza dei mercati finanziari e della regolamentazione, capacità di leadership in organizzazioni multiculturali, esperienza in negoziati internazionali”. Fin qui, tutto prevedibile.

Stupisce piuttosto che il Movimento 5 Stelle non si sia stracciato le vesti: l’unico big ad essersi esposto è stato Alessandro Di Battista, il quale in un articolo su TPI ricorda il rapporto di esponenti del PD (e non solo) col mondo bancario. Da segnalare anche le reazioni dei pentastellati membri delle commissioni Finanze di Camera e Senato, i quali definiscono la scelta di Unicredit come “inopportuna, vista la carica istituzionale di massimo livello che ha ricoperto in passato e il ruolo che riveste tuttora, da deputato della Repubblica”, ricordando che “il contrasto alle cosiddette ‘porte girevoli’ tra politica e mondo finanziario è una battaglia storica del Movimento 5 Stelle” e chiedendo al Governo provvedimenti in merito.

Secondo Business Insider, peraltro, alcuni parlamentari 5S vorrebbero mettersi di traverso all’accettazione delle dimissioni di Padoan dal Parlamento. A conti fatti, comunque, una reazione così “sottotono” da parte grillina (Di Battista a parte) mal si sposa con l’idea generalmente diffusa del Movimento: ancora TPI ipotizza che quest’ultimo abbia chiuso un occhio sulla questione in cambio della presa di posizione contraria al MES da parte del premier Conte di poche settimane fa. Fantapolitica?

La luce è una chimera

Fatto sta che da anni, almeno dai tempi di Berlusconi, il conflitto d’interesse è un tema sempre spinoso per la politica. La situazione sanitaria corrente, inoltre, non favorisce di certo la dovuta attenzione e un sereno dibattito sulla questione. È in discussione alla Camera un disegno di legge in merito (avversato da Italia Viva), che The Good Lobby definisce “un buon compromesso”, ma che non regolamenta il passaggio da una carica all’altra (prevedendo l’attesa di un anno per tale passaggio, però solo per membri del governo): il presidente Anghelé ritiene che tale limite andrebbe esteso a due anni (in linea con gli standard europei) e anche ai semplici parlamentari.

Se approvata, tale legge sarebbe veramente rivoluzionaria, o quanto meno una decisa miglioria. La sensazione, però, è che alla politica manchi il coraggio, o forse proprio la volontà, per compiere questo passo.

Riccardo Minichella

(In copertina Jeff Tumale da Unsplash)

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