
Mauro Olivi, deputato del PCI per tre legislature, non ha mai nascosto le proprie idee politiche, anche a prezzo di pesanti ripercussioni. Una caparbietà che gli ha procurato non pochi guai, ma che lo ha reso molto amato tra gli elettori.
Politicamente vicino all’ala moderata del PCI, Mauro Olivi (classe 1937) è stato deputato per due legislature (1976-1983), a cui se ne aggiunse un’altra (1983-1987), conquistata per l’acclamazione degli iscritti. Dopo l’esperienza alla Camera, si è dedicato all’arte e ha scritto l’autobiografia “Il comunista che mangiava le farfalle“. Leonardo Marino e Federico Speme l’hanno intervistato al circolo PD di Corticella, dove Olivi continua a dare il proprio contributo.
Tra PCI e PD ci sono enormi differenze: uno era il partito dei lavoratori, era anti-imperialista e si batteva per il welfare e la sovranità popolare. L’altro è il partito delle classi più agiate, dell’austerità, del vincolo esterno e della NATO. Come giudica questo cambiamento?
Nella domanda che mi fate noto qualche imperfezione. Il PCI è stato il partito dei lavoratori, ma in senso largo, con un’attenzione straordinaria ai ceti medi produttivi, dagli artigiani ai commercianti fino ai piccoli imprenditori. Era cioè un partito che cercava alleanze sociali per tentare di modificare il sistema capitalistico in senso più umano.
Nella nostra realtà bolognese ed emiliana, fra la fine degli anni quaranta e gli inizi degli anni sessanta, abbiamo avuto delle situazioni del tutto particolari: si sono concentrati decine di migliaia di licenziamenti politici. Molti di questi [licenziati] si diedero da fare individualmente, senza mai rinunciare all’appartenenza politica: in quella fase il Partito Comunista era diventato un partito interclassista.
Sulle vicende internazionali si possono aprire capitoli e dibattiti infiniti. Però se andiamo all’ultimo periodo della vita di Enrico Berlinguer, ricordo che, di fronte al giornalista del Corriere della Sera che gli chiedeva da che parte stava il PCI, lui rispose: “mi sento tutelato dal Patto Atlantico“. Riguardo a oggi, debbo dire che nel dibattito del PD la politica internazionale è quasi assente. Qualche volta si affronta l’Europa, per fortuna. Se, per esempio, il PD non fosse stato al governo, ci saremmo sognati i 210 miliardi che arriveranno dall’UE.
Ad ogni modo, non posso fare a meno di notare che non si riesce a prendere coscienza di quelli che sono gli attuali equilibri nel mondo.
Come si è evoluta la politica italiana in questi anni, Mauro Olivi? Quali sono stati i cambiamenti più significativi?
Ci siamo inventati le primarie in cui votiamo senza le adeguate discussioni e senza approfondire le caratteristiche dei nostri candidati. Non basta scegliere un bravo compagno per farne un buon deputato. […] Su 400 parlamentari del Movimento 5 Stelle, probabilmente l’80% non ha mai frequentato un circolo di base.
Quel movimento si fonda su slogan indovinati che hanno fatto presa sulla popolazione stanca e delusa, che ha finito per sceglierli. Ma, tra parentesi, sappiate che uno degli sforzi maggiori che sta facendo il Partito democratico, che non appare mai sui giornali, è quello di educare i loro ministri al comportamento governativo.
Mi viene in mente la famosa foto in cui Aldo Moro andava al mare con la figlia vestito con giacca e cravatta. Adesso siamo abituati a vedere Salvini che va al Papeete.
Matteo Salvini ha preso in giro gli italiani. Nel periodo in cui diceva di aver fermato l’immigrazione in realtà migliaia di persone hanno continuato a sbarcare. Io ho rivalutato Conte per i suoi risultato in Europa e per quello che ha avuto il coraggio di dire a Salvini, mentre quest’ultimo presiedeva il governo.
Alla luce dei cambiamenti che ha comportato, lei cosa pensa della svolta della Bolognina?
Ho apprezzato il comportamento di [Achille] Occhetto, che si è battuto in maniera giusta per cambiare il nome e i simboli del partito. Il crollo del Muro di Berlino e dell’URSS erano la testimonianza che non bastava fare una bella rivoluzione proletaria, bisognava essere anche capaci di rispettare i valori coi quali si aveva fondato l’organizzazione di base e di massa.
Quegli stati erano diventati tutti una cricca di burocrati che difendevano prima di tutto la loro sussistenza e il loro protagonismo. […] Poi c’è Stalin che per gli italiani fino agli anni ‘50 era stato il protagonista della vittoria contro il nazifascismo. La liberazione dell’Italia e dell’Europa non dipende solo da Stalin, ma diedero un contributo importante anche gli americani e gli inglesi. […]
Io mi sento un privilegiato perché [in Parlamento] ero seduto tra Occhetto e [Gian Carlo] Pajetta, cioè tra due grandi dirigenti del partito che arrivavano in fretta e furia nelle riunioni di direzione.
Ero definito amendoliano, da Giorgio Amendola, un “destro” del PCI, uno che privilegiava la politica delle alleanze rispetto all’idea rivoluzionaria che invece aveva in testa [Pietro] Ingrao.
Adesso si discute di referendum sul taglio dei parlamentari. Qual è la sua opinione a riguardo? Alcuni sostenitori del sì hanno tirato in ballo una vecchia proposta di Nilde Iotti…
Se nei giorni prima del referendum viene incanalata la proposta di riforma elettorale io voto “Sì”. Se questo non dovesse andare avanti non mi convincono le modalità. C’è uno squilibrio enorme dal punto di vista della rappresentanza che si indebolirebbe in molte regioni.
Io voto “Si” solo se si mette in campo la proposta di riforma della legge elettorale in senso proporzionale con lo sbarramento. Credo inoltre che sia adeguato il 5 per cento di sbarramento, volto a far capire ai cittadini che la frantumazione non serve a nessuno, né ai piccoli partiti né al governo dell’Italia.
Che ne pensa dei nuovi movimenti di attivismo giovanile come le Sardine e lo sciopero per il clima? Come si differenziano dalle lotte del secolo scorso?
Io avevo fatto un auspicio alcuni decenni fa. Dicevo: “spero che un giorno ci sia un classe giovanile che prenda in mano le redini del potere e del governo in Italia”. Ho applaudito con entusiasmo le Sardine perché hanno introdotto una linfa assolutamente nuova, facendo capire l’importanza dello studio e della cultura.
Ed è importante impegnarsi anche in una lotta per fare funzionare la società evitare i disastri ambientali. È dal ‘68 che non c’era più stato un movimento giovanile così importante come quello dell’anno scorso con gli ambientalisti. Una coscienza che sta prendendo (anzi ha già preso) piede anche a livello europeo.
Per concludere, vorremmo chiederle un giudizio sull’operato dei politici italiani nell’emergenza Covid, dal momento che lei ha avuto modo di conoscere una classe dirigente assai diversa da quella attuale.
La prima cosa che voglio dire è che in Emilia Romagna abbiamo avuto una fortuna sfacciata, perché il Coronavirus si è diffuso soprattutto in Lombardia. Se si fosse propagato in Emilia avremmo ancora addosso alla sanità pubblica le urla salviniane, mentre è la sanità privata quella che ha fatto i danni maggiori. Pensate ai disastri micidiali che sono avvenuti nelle case di riposo e di cura.
Io credo che il Governo e il ministro [della sanità] Speranza abbiano fatto il loro dovere, mentre Salvini le ha sbagliate tutte. Prima ha difeso le chiusure e poi, quando occorreva chiudere, ha voluto le riaperture.
L’intervista a Mauro Olivi “Bravo ma comunista” è a cura di Leonardo Marino e Federico Speme