Che cos’è Di guerra e di noi di Marcello Dòmini (Marsilio, 2020)? Un romanzo storico o un affascinante itinerario attraverso la Bologna del secolo scorso? Un Bildungsroman oppure la storia senza fronzoli dei fratelli Chiusoli? Forse, sembra suggerire l’autore, il libro è una chiave per comprendere il passato. E capire meglio la realtà che ci circonda.
Semplicemente uomini
C’è chi crede nel destino, e pensa che le vicende terrene seguano un copione sconosciuto sul palcoscenico della vita. C’è chi crede nel caso, e pensa che ogni circostanza giochi il proprio esito su una scacchiera con innumerevoli possibilità di mossa. C’è chi crede negli ideali, e pensa che i grandi eventi prendano la calligrafia di chi ne impugna la penna.
E poi ci sono gli uomini, semplicemente uomini. E allora ci si chiede come possano convivere nella vita di un individuo e influenzarsi a vicenda due cose distanti quali sono il trascorso del singolo e il percorso della storia. È di questo – di uomini, di storia, di storie umane – che parla l’esordio letterario di Marcello Dòmini, Di guerra e di noi.
Nel bene e nel male
Il libro è stato dato alle stampe lo scorso marzo, con un tempismo forse casuale, ma aderente tanto all’epoca mediatica quanto al periodo che stiamo vivendo. Un’era segnata dalla risonanza su larga scala dei fatti più insignificanti e dalla strumentalizzazione di quelli più significativi; un periodo in cui la questione del confine tra azione individuale e responsabilità collettiva sembra riproporsi in termini sempre più martellanti. Ma non è dei giorni nostri che Marcello Dòmini si è interessato – non direttamente, almeno.
L’autore ha voluto concentrarsi sull’uomo, “l’uomo e basta” in quanto enigma e amalgama inscindibile di bene e male, al di là del ruolo da lui assunto nel suo tempo. Ci troviamo infatti nel 1917, in provincia di Bologna, a Castenaso: i due fratelli Ricciotti e Candido Chiusoli apprendono della morte del padre al fronte. Le loro strade si dividono sotto lo sguardo onnisciente dell’autore – quella di Ricciotti piega verso un istituto borghese della città, verso un lavoro alla sede del Fascio di Combattimento di via Marsala, e infine verso un impiego nella fabbrica di motori dell’amico di scuola Enzo; quella di Candido, invece, continua ad avvolgersi nei dintorni del mulino di famiglia.
Il labirinto
A ricongiungere le sorti dei fratelli saranno il comune passaggio di entrambi da figli a mariti e poi a padri, e l’apertura da parte loro di un’azienda dedita al trasporto del grano. Le vicissitudini dei protagonisti a cavallo dei due conflitti mondiali si intrecciano, in una serie di separazioni, incontri, scoperte e ricongiungimenti, con quelle di familiari, amici e sedicenti nemici, sullo sfondo di una Bologna ancora serena ma fascista.
In tutta la prima metà del libro si percepisce infatti, tra le righe, il prepararsi di un nugolo di eventi destinato a cambiare per sempre la storia e la storia della famiglia Chiusoli: la Seconda Guerra Mondiale, che senza tregua e senza scampo costringe tanto i capi politici quanto i singoli civili, Candido e Ricciotti compresi, a schierarsi da una parte o dall’altra.
Una guerra che, qualunque parte si scelga, qualunque sangue si versi, proprio o del proprio fratello, lascia macchie indelebili, uccide le vittime nel corpo e i sopravvissuti nell’anima. Una guerra il cui termine sembra non arrivare mai, ma sussurrare da terre lontane un indecifrabile alito di futuro.
La storia a ritroso
Si avverte una sorta di bipartizione all’interno del romanzo, tra un nucleo forse originario, piazzato nell’ultimo terzo del libro, e le pagine che lo precedono.
Sembra quasi che l’autore, nel costruire la trama della propria opera, sia partito dalla fine per poi procedere a ritroso, preparando con silenziosa meticolosità le cause e le conseguenze degli eventi finali.
Fin dalle prime pagine risulta palpabile la mole di lavoro e soprattutto di ricerca che un libro del genere deve aver richiesto.
Eppure Marcello Dòmini salta da un fatto all’altro e dal racconto alla digressione con simpatia e leggerezza, accompagnando il lettore per mano attraverso una narrazione in piena regola manzoniana, dove la storia, protagonista e antagonista al contempo, macina le epoche, illude i grandi e trascina i piccoli, condannati a trovarsi e perdersi tra le pieghe del suo immenso noncurante labirinto.
La guerra dei piccoli
Nonostante la piena rispondenza con le prerogative richieste a ogni romanzo storico che si rispetti, Di guerra e di noi saprebbe portare con dignità anche il titolo di romanzo di formazione. I due livelli narrativi – il piano dei personaggi, veri o fittizi che siano, e il piano della storia – si alternano e si integrano: sono gli eventi piccoli, la storia dei piccoli, a determinare gli eventi grandi, la storia dei grandi.
Ecco allora Enzo e Vladimiro, compagni di scuola di Ricciotti, uno l’opposto dell’altro: Enzo, il ricco imprenditore di famiglia ricca, gentile e disponibile, ma di quella disponibilità bonariamente opportunista di chi non ha mai dovuto affrontare problemi né tantomeno, per questo, desidera affrontarne; Vladimiro, anarchico figlio di un anarchico, nemico-amico non certo per opportunismo, ma al contrario perché disposto a tutto in nome dei propri ideali.
Ecco Candido, focoso, buono, col suo nome parlante e il suo paradosso, il paradosso di chiunque abbia vissuto un’epoca di ingiustizie e scelte forzate – «sporcarsi per sentirsi nuovamente Candido, o restare candido per sentirsi sporco per sempre»?
Ecco Leandro Arpinati, amico e mentore di Ricciotti, sansepolcrista leale ai principi del primo fascismo, poi ripudiato dal partito per il suo essere, oltre che fascista, anche uomo.
Al di là dell’ideale
Ed ecco, per concludere, il protagonista, voce dell’autore: Ricciotti, onesto nella circostanza, nei fatti, e al di là di qualsiasi ideale potenzialmente fuorviante a seconda delle circostanze e dei fatti. Perché in fondo, anche il pensiero fascista aveva preso forma intorno a un ideale; ma non era forse stato quell’ideale, strappato all’empireo dell’utopia e applicato alla realtà concreta, a sfigurarsi negli orrori della guerra?
L’utopia non fa per l’uomo, sembra voler dire l’autore. Ma è l’uomo che non fa per l’utopia. L’uomo, se preso nella sua semplicità, si rivelerà sempre meglio di un ingannevole ideale.
Elisa Ciofini
(In copertina la cover di Di guerra e di noi, di Marcello Dòmini)