Sta per calare il silenzio elettorale su un referendum che, secondo ogni sondaggio (più o meno pubblico), si preannuncia poco combattuto. Come al solito, il popolo italiano sceglierà la via più semplice. Ma sarà quella giusta?
Con le migliori intenzioni
Per i sostenitori teorici del referendum (populisti, cinquestelle e altre canaglie) si tratta unicamente di smantellare la casta, nell’ingenua convinzione che un numero inferiore di parlamentari, oltre a essere meno costoso da mantenere, sia più facile da sorvegliare. Vi è poi un’altra categoria di estensori, che definirei politici, per cui la riforma era clausola di un più ampio contratto (o meglio compromesso) di governo: passato nel caso della Lega, attuale per il Partito Democratico. A costoro, io non ho nulla da dire.
Ma alcuni voteranno Sì in buona fede, nella speranza che questo sia un primo passo verso un serio processo di revisione non solo costituzionale, ma anche istituzionale e burocratica di tutto il paese. Ed è qui che desidero fare chiarezza.
Prima di cominciare, però, occorre precisare alcune cose. Anzitutto, sono ben consapevole dell’inutilità del mio sforzo. In Italia la discussione politica è sempre stata offuscata da campanilismo e partigianeria, senza eccezioni. So anche che il No è destinato a perdere; ma l’ho messo in conto, e più in generale mi sono sempre trovato bene dal lato sbagliato della Storia. Ciò che però mi sorprende maggiormente (e che costituisce, in ultima analisi, la ragione per cui scrivo) è che questa ridicola consultazione è stata promossa con le migliori intenzioni. Ma d’altra parte, anche la strada per l’inferno è lastricata delle migliori intenzioni.
Sì contro No
Bisogna sgomberare il campo da alcune tesi più e meno ridicole. Se infatti ci sono buone, anzi ottime ragioni per votare No, non significa che non ne esistano di cattive.
Una di queste, ad esempio, è la sacra deferenza nei confronti della Costituzione, tipica di ciò che resta (in verità non molto) della vecchia sinistra italiana. Il culto della Costituzione più bella del mondo è così radicato in loro da vanificare qualsiasi serio tentativo di riforma, nonostante negli ultimi 70 anni sia cambiato il mondo. Ma si tratta, in fondo, di una pecca scusabile e, come il terrore di un colpo di Stato fascista, in gran parte ascrivibile all’età.
Molto più ridicolo appare invece chi sceglie il No per la tutela delle minoranze, o in nome di un non meglio precisato rapporto diretto tra l’eletto e il bacino elettorale. C’è infatti da chiedersi, prima ancora di tirare in ballo le statistiche europee, che razza di rapporto diretto possa esserci tra un parlamentare e 64.000 persone; e quanto portare il numero a 101.000 cambi veramente le carte in tavola.
Sul fronte del Sì, invece, le ragioni sono più omogenee: mancano tutte nella stessa misura di buonsenso. Tra i più acuti si segnalano i cavalieri del risparmio: a persone del genere, cioè seriamente convinte che un risparmio di 80 milioni di euro annui potrà risanare le casse statali, è difficile muovere obiezioni convincenti (almeno per loro).
Sembrano più ragionevoli, almeno in apparenza, i fautori della governabilità. Meno persone ci sono, e meno difficoltà ci saranno a formare una maggioranza di governo. Questo, almeno, secondo la loro teoria.
Lo spunto offre la possibilità di esaminare da vicino il vero nodo gordiano della politica italiana. Non si tratta infatti di un problema di numeri, ma di un problema di Camere: nello specifico, del fatto che l’Italia è l’unico paese al mondo in cui due diverse assemblee elettive, dotate degli stessi poteri, si occupano degli stessi problemi.
Un copione già scritto
Non sarà infecondo utilizzare una metafora classica. Una nave guasta, che non riesce più a solcare i mari, necessita di riparazioni. Non basta, però, dimezzare il carico o il numero di rematori: bisogna anche rattoppare le sartie, sostituire le assi marcite; controllare l’integrità della chiglia; risagomare lo scafo e aggiustare il timone; acquistare nuove vele; e così via. Tutte queste migliorie insieme portano a qualcosa. Tutte queste migliorie, prese singolarmente, non servono a nulla: al massimo, saranno palliative.
Nella storia della Repubblica ci sono stati già altri tentativi di riforma costituzionale; ma possedevano ben altro spessore di questo. Senza scendere nel merito, i referendum promossi da Berlusconi prima (2006) e Renzi poi (2016) avevano una dignità organica. Erano coerenti, e proponevano un cambiamento significativo. Anche per questo motivo, al tempo il dibattito fra Sì e No fu credibile – o perlomeno dignitoso. Ad ogni modo, ora tra noi e un serio progetto di riforma costituzionale si frappone la nostra classe politica, ormai incapace per eredità atavica di elaborare proposte complesse.
Anche questa volta il popolo italiano, in perfetto accordo con i popoli di ogni latitudine ed epoca, non saprà resistere alla lusinga demagogica. Come ho già detto, prevedo (e in un certo senso desidero) la sconfitta. In tal caso, sarebbe del tutto inutile anche solo recarsi alle urne.
Penso, tuttavia, che lo farò lo stesso. Anche se non si tratterà di senso civico. Il mio è sempre stato zoppicante, e negli ultimi anni non si è certo rinvigorito. Diciamo piuttosto che la sola ragione che mi farà andare al voto questo fine settimana sarà il sottile piacere di vedere all’opera un copione già scritto.
Francesco Faccioli
(Immagine di copertina tratta da Unsplash)
Se vuoi saperne di più sul Referendum Costituzionale 2020, clicca qui.