Il 20 e 21 settembre prossimi saranno giornate cruciali per la politica del nostro Paese: non solo per il referendum sul taglio dei parlamentari, ma anche (e forse soprattutto) per le elezioni per il rinnovo di sette amministrazioni regionali: Veneto, Liguria, Campania, Marche, Puglia, Toscana e Valle d’Aosta. Considerando le sei a statuto ordinario (per la Valle d’Aosta il discorso è diverso), quattro di queste sono attualmente amministrate dal centrosinistra, due dal centrodestra.
Vien da sé che questa tornata ha un grande valore politico non solo a livello locale: una sostanziale vittoria del centrodestra (in caso di 4-2 o di 5-1, mentre il cappotto 6-0 appare improbabile), magari unita ad una clamorosa (ma meno improbabile di quanto si pensi, sondaggi alla mano) vittoria del No al referendum, minerebbe la già precaria stabilità del governo Conte II, fino magari all’insediamento di un governo tecnico/istituzionale (con a capo Draghi?) oppure allo scioglimento delle Camere. Ma adesso limitiamoci alle situazioni locali, regione per regione.
1. Veneto: Zaia contro… Salvini
In Veneto non c’è storia: Luca Zaia, il governatore più amato dagli italiani, vola verso una riconferma plebiscitaria. Gli ultimi sondaggi lo danno al 71/75%, soppiantando il candidato del centrosinistra Arturo Lorenzoni, ex vicesindaco di Padova (18/22%) e il pentastellato Lorenzo Cappelletti (2/6%); Italia Viva, il partito di Matteo Renzi, candida la senatrice Daniela Sbrollini. Zaia, al netto di qualche affermazione discutibile (leggi quella sui cinesi “che mangiano topi vivi”) si è distinto per l’ottima gestione della pandemia da Covid-19, eseguendo tamponi a tappeto, non solo ai sintomatici, e test sierologici; senza contare il successo delle Olimpiadi invernali del 2026, oltre alla sua lotta per l’autonomia della Regione.
Interessante, comunque, il confronto tra le liste che sostengono Zaia: in base alle rilevazioni, infatti, la lista personale del presidente viaggerebbe attorno al 44%, mentre la Lega raccoglierebbe solo il 14%: ciò evidenzia un dualismo tra Matteo Salvini e Zaia, con quest’ultimo, ormai in prospettiva nazionale, che potrebbe insidiare l’attuale leadership leghista.
2. Liguria: Toti in scioltezza
Abbastanza chiaro anche lo scenario in Liguria: il presidente uscente, Giovanni Toti (centrodestra), è dato in una forbice tra il 54 e il 58%, staccando nettamente Giovanni Sansa, giornalista del Fatto Quotidiano, fermo al 37/41%. Sansa, in particolare, è appoggiato da gran parte del centrosinistra e dal M5S, unico caso nella tornata di un accordo di questo tipo; non gode invece dell’appoggio di Italia Viva, che sostiene il docente universitario Aristide Massardo, inchiodato al 4.3%.
La giunta Toti si è distinta per svariate iniziative, anche controverse: dal Piano Casa, che ha notevolmente allentato i vincoli ambientali in edilizia, al fondo per i cittadini accusati di eccesso di legittima difesa, fino alle regole per le case popolari, che nell’assegnazione favoriscono gli italiani. Spiccano la rapida ricostruzione del ponte di Genova San Giorgio, dopo la tragedia del ponte Morandi, ma anche la sanità col peggior disavanzo in Italia e la privatizzazione di alcuni ospedali. Nel corso del quinquennio peraltro il governatore, ex direttore del TG4, ha cercato di affermarsi anche come leader nazionale, abbandonando Forza Italia per creare, nel 2019, la sua creatura Cambiamo!, con scarsi risultati.
3. Campania: vola lo “sceriffo” De Luca
Esito decisamente scontato anche in Campania: neppure il recente avviso di garanzia per favoreggiamento sembra impensierire l’uscente di centrosinistra Vincenzo De Luca, lo “sceriffo” di Salerno, attestato al 46/50%, contro l’ex governatore di centrodestra Stefano Caldoro, dato al 34/38%, e contro la sfidante 5S Valeria Ciarambino, all’11/15.% E pensare che prima della pandemia De Luca sembrava spacciato, poiché il PD puntava ad un accordo con gli alleati di governo sul ministro dell’ambiente Sergio Costa. Tuttavia le sue misure drastiche, oltre al suo protagonismo mediatico (i “Carabinieri con il lanciafiamme” sono solo una delle sue perle) durante il lockdown ne hanno rilanciato l’immagine, portandolo quindi ad un’inevitabile ricandidatura. Nel corso del suo mandato degne di nota sono l’uscita della sanità campana dal commissariamento (pur con alcune criticità), la gestione dell’emergenza rifiuti e le Universiadi a Napoli dello scorso anno.
4. Marche: destra in vantaggio
Nelle Marche, storicamente roccaforte rossa, le urne non dovrebbero riservare sorprese: le rilevazioni danno il centrodestra nettamente avanti con il meloniano Francesco Acquaroli, ex sindaco di Potenza Picena (MC), al 47/51%; indietro il centrosinistra (35/39%), che appoggia il primo cittadino di Senigallia (AN) Maurizio Mangialardi. Prima della presentazione delle liste vi è stato un tentativo di accordo tra centrosinistra e M5S, ma il Movimento alla fine ha candidato Gian Mario Mercorelli, dato al 9/13%. Non si è ricandidato, malgrado fosse solo al primo mandato, il presidente uscente Luca Ceriscioli (PD): la sua amministrazione è stata segnata dai devastanti terremoti del 2016/17, con gravi ritardi nella ricostruzione, nonché da massicci tagli alla sanità. Vento in poppa, quindi, per Acquaroli, malgrado le critiche per aver partecipato, nell’ottobre scorso, ad una cena celebrativa della marcia su Roma.
5. Puglia: trema Emiliano
La Puglia è senza dubbio, insieme alla Toscana, una delle sfide più avvincenti (tanto da essere definite “l‘Ohio d’Italia”). Qui a contendersi lo scettro di governatore sono l’uscente Michele Emiliano, ricandidato dal centrosinistra, e Raffaele Fitto (FdI), già presidente dal 2000 al 2005. Emiliano nell’ultimo quinquennio è balzato agli onori delle cronache nazionali per il suo acceso protagonismo: nemico giurato di Renzi (è stato candidato alle primarie del PD del 2017), si è speso per la decarbonizzazione dell’ILVA di Taranto e contro il gasdotto TAP . Da evidenziare anche la gestione controversa della Xylella (non ancora eradicata dagli ulivi pugliesi).
Sorprende, quindi, il mancato appoggio dei 5 Stelle ad Emiliano, vista la sovrapponibilità di certe loro idee con quelle dell’amministrazione uscente: i grillini appoggiano Antonella Laricchia, consigliera regionale uscente. Scontata, invece, la scelta di Italia Viva, che insieme ad Azione di Carlo Calenda e a +Europa candida Ivan Scalfarotto, sottosegretario agli Esteri. Emiliano è appoggiato da ben quindici liste di orientamento molto variegato: dagli ex democristiani agli ex comunisti. Sondaggi alla mano, Fitto ed Emiliano sono appaiati, con il primo al 37/41% e il secondo al 38/42%. Scalfarotto è dato al 4/6%, mentre Laricchia all’11/15%: molto staccata, ma con un serbatoio di voti significativo. E proprio per questo negli ultimi giorni si sono sprecati gli appelli agli elettori pentastellati per un voto disgiunto in favore di Emiliano, sia in ottica anti-destra, sia per la marcata affinità tra i due candidati.
Leggi l’approfondimento di Alessandro Bitondo sulle regionali 2020 in Puglia
6. Toscana: una roccaforte a rischio
Partita apertissima in Toscana. Dopo il decennio di Enrico Rossi, il centrosinistra candida il presidente del Consiglio Regionale Eugenio Giani, appoggiato anche dai renziani. Il centrodestra appoggia la parlamentare europea leghista Susanna Ceccardi, già sindaca di Cascina (PI).
I punti salienti dell’amministrazione Rossi sono stati:
- la gestione della sanità, col taglio dei piccoli ospedali;
- la liberalizzazione del trasporto pubblico (recentemente il governatore uscente è stato indagato a tal proposito per turbativa d’asta);
- la difesa dell’inceneritore di Scarlino.
I sondaggi danno Giani e Ceccarti appaiati, rispettivamente al 43.7% e 41.5%. Staccati gli altri, con la pentastellata Irene Galletti all’8.3%. La sfida toscana è particolarmente sentita a livello nazionale: la caduta di un’altra regione rossa, dopo l’Umbria (senza contare che anche l’Emilia-Romagna a gennaio è diventata contendibile), avrebbe ripercussioni non solo nel governo ma anche all’interno del PD, minando la leadership di Nicola Zingaretti dopo nemmeno due anni di segreteria. Proprio per questo tutti i capi nazionali stanno battendo la regione palmo a palmo, e pure le Sardine si sono mobilitate.
7. Valle d’Aosta: tra crisi e scandali
Chiudiamo con la Valle d’Aosta, unica tra le sette regioni al voto a statuto speciale. Qui il discorso presenta diversi aspetti particolari, legati maggiormente a dinamiche locali piuttosto che nazionali; tra l’altro, è una delle due regioni (assieme al Trentino Alto-Adige) in cui il presidente viene eletto dal consiglio regionale, e non a suffragio universale. Proprio lo statuto speciale ha garantito alla più piccola regione italiana immensi finanziamenti pubblici, drasticamente ridottisi a seguito della crisi economica: ciò ha causato gravi danni al tessuto locale, tra cui il fallimento del Casino di Saint-Vincent.
Come se non bastasse, sono emerse infiltrazioni della ‘Ndrangheta nell’Union Valdotaine, a lungo il partito egemone della politica locale. Tutto questo ha scaturito una fase di grande instabilità politica: dal marzo 2017 ad oggi si è assistito a ben cinque cambi di governatore, e il prossimo weekend si terranno quindi le prime elezioni anticipate nella storia della regione. L’UV, da tempo in crisi di consenso, rischia un clamoroso tracollo, mentre la Lega sembra proiettata verso un ottimo risultato, che migliorerebbe il già storico 17% del 2018.
Riccardo Minichella
(In copertina Morning Brew da Unsplash)