Era un giorno normale, di un anno normale. Era un giorno d’estate, quella Domenica, il 2 agosto 1980, un giorno di vacanza, un giorno di esodo. Bologna si svuotava, e con essa la mente di migliaia di persone in partenza per il mare o per la montagna. Faceva caldo quel giorno, in città. C’era la tipica canicola dell’estate felsinea, con tanta afa e poco vento.
Erano le 10 e 20, e la ventiquattrenne Maria Fresu era nella sala d’attesa, aspettando di partire per il lago di Garda. Con lei la figlia, la piccola Angela, e due sue amiche, Verdiana Bivona e Silvana Ancillotti.
Erano le 10 e 20, e Catherine Helen Mitchell, insieme al suo ragazzo John Andrew Kolpinski, aspettavano di continuare il loro viaggio in treno, in giro per l’Italia.
Erano le 10 e 20, e Iwao Sekiguchi, uno studente di letteratura giapponese, innamorato dell’Italia, stava partendo per Venezia.
Erano le 10 e 20, e Natalia Agostini Gallon stava accompagnando sua figlia Manuela, di 11 anni, alla colonia estiva in Alto Adige.
Tante storie, di uomini, donne e bambini, spezzate dal tempo, che corre inesorabile fino all’ora X;
Sono le 10 e 25, e nel marasma generale, appare una valigetta, incustodita, abbandonata, su un piccolo tavolino: di chi sarà mai?
Nessuno ci fa caso, nessuno sembra turbato. Poi però, mentre il treno diretto Ancona-Basilea è in sosta al binario 1, si sente un rumore, un boato assordante. L’ala sinistra della stazione in un attimo viene devastata dalla forza di una violenta esplosione. é un istante che dura un’eternità.
Nel panico generale, la gente scappa disperatamente verso l’uscita, o verso la parte opposta della stazione. Intanto, una nuvola di fumo e polvere cela ancora per poco ai sopravvissuti una scena da incubo: nella sala d’aspetto ci sono decine di corpi, alcuni carbonizzati, altri deturpati, di altri ne rimangono poco più che brandelli di pelle ed ossa. Il sangue, la cenere e il fumo invadono la sala.
Ma di quelle persone, delle loro emozioni, dei loro sogni, delle loro storie, non è rimasto più nulla.
Dopo l’esplosione
Poco dopo arriva il 37, uno dei tanti autobus che porta in Stazione Centrale. Chissà cosa avrà pensato il conducente, quando è arrivato nel Piazzale delle Medaglie d’Oro. Era di certo partito aspettandosi di raccogliere a bordo decine di persone, appena arrivate in città dopo un lungo viaggio, invece si ritrova catapultato in un campo di battaglia. I passeggeri scendono, nella confusione generale, e a bordo si organizza un’ambulanza improvvisata: i feriti, a decine, vengono caricati per essere portati in fretta e furia all’ospedale Maggiore. Ma i soccorsi non sono sufficienti, e sii rischia un’ecatombe, se queste persone non vengono medicate immediatamente.
Tra le decine di corpi straziati c’è chi è sopravvissuto, ma si porta nel cuore ferite profonde e lancinanti, chi ha visto un amico o un parente inghiottito dalle fiamme e dal fumo, chi ha riportato ustioni e lesioni permanenti.
In un istante, lunghissimo, eterno, la realtà come la conosciamo è stata stravolta.
La notizia fa il giro del mondo in pochissimi minuti, alimentando sgomento e paura: nessuno si sente più al sicuro. Il presidente della Repubblica Sandro Pertini, dal Quirinale si precipita a Bologna, dove personalmente contribuisce al salvataggio di molte persone, accolto dagli applausi di migliaia di cittadini.
Cinque giorni dopo, nella Basilica di San Petronio regna un silenzio assordante, mentre vengono letti i nomi delle 85 vittime della strage. Intanto all’ esterno, in un clima ostile, come una pentola a pressione pronta a saltare, vengono lanciate contestazioni a buona parte dei membri del governo, soprattutto al presidente del Consiglio, Francesco Cossiga.
La strage di Bologna oggi
Sono 40 anni di lacrime, di dolore, di discussioni, di polemiche, e ancora oggi non comprendiamo.
Non comprendiamo come sia accaduto, come una sciagura di queste proporzioni si sia nuovamente abbattuta sulla città emiliana, a poche settimane dalla strage di Ustica.
Qualcuno accostò lo scoppio a cause fortuite, altri invece gridarono all’attacco terroristico, ma ancora oggi le ragioni di questa drammatica pagina della storia italiana non sono chiare. Tra continui tentativi di occultamento della verità, la giustizia individuò in alcuni membri dei Nuclei Armati Rivoluzionari, gruppo di ispirazione neofascista, i colpevoli di quella tragica vicenda. Tra loro spiccavano Francesca Mambro, Giuseppe Valerio Fioravanti, insieme al fratello Cristiano, e Luigi Ciavardini. Finirono sotto processo anche alcuni membri di Terza Azione e del Movimento Rivoluzionario Popolare, come Sergio Calore e Gabriele Adinolfi.
Un processo infinito, che nel corso degli anni ha conosciuto risvolti inaspettati, come la possibile infiltrazione libica nell’organizzazione dell’attentato, i rapporti con Cosa Nostra a seguito dell’incidente di Ustica e dell’Italicus, e persino dei presunti legami con la strage di Piazza Fontana e l’omicidio del magistrato Mario Amato.
I 40 anni che nel tempo hanno sempre più aumentato la distanza da questa tragedia, sembrano non essere mai passati. C’è chi ancora grida vendetta, chi non si spiega ancora come sia accaduta questa sciagura, chi è il colpevole, chi vuole scoprire la verità che si nasconde dietro ad una delle giornate più tristi dell’Italia unita.
Anche quest’anno, l’orologio della storia si fermerà alle 10 e 25, proprio come quello alla stazione centrale, e se il COVID ha spazzato via la possibilità di manifestare la nostra rabbia e urlare il nostro dolore, tutti insieme, in giro per le strade, sarà il nostro cuore a ricordare, con ancora più forza, quel maledetto giorno d’estate.
Stefano Maggio