
In questo tempo di pandemia, tutti dobbiamo sforzarci per mantenere alto il morale: e cosa c’è di meglio di un viaggio nel passato? Cosa di più utile di ascoltare i consigli di coloro che prima di noi hanno vissuto un lockdown?
Abbiamo avuto l’opportunità di intervistare Dioneo, uno dei protagonisti di un celebre classico della letteratura italiana, sulle cui pagine gli studenti del Bel Paese trascorrono da generazioni le loro nottate: il Decameron di Giovanni Boccaccio. Si tratta di una raccolta di cento novelle narrate nell’arco di dieci giornate – da qui il titolo, che significa “dieci giorni” – da sette fanciulle e tre ragazzi.
Dioneo, quest’anno è molto simile al 1348, giusto?
Esattamente. Quell’anno la peste nera sconvolse la prospera e rigogliosa Firenze, così come tutta l’Europa. Proprio come il Coronavirus, la peste ci trovò impreparati: il popolo credeva fosse un flagello di Dio, gli esperti di medicina proponevano rimedi inefficaci, le attività commerciali chiudevano e la società si sgretolava. Per allontanarci dalla realtà, io e altri nove amici ci traferimmo in campagna.

Come trascorrevate il tempo isolati dal resto della società?
Sicuramente in modo più divertente rispetto ad adesso! Oggi perdete tempo a guardare serie TV, aggiornare i social media e provare nuove ricette. Nel Trecento i passatempi più diffusi erano la recitazione di poesie, la composizione musicale, la lettura e la caccia. Noi, invece, delle quattordici giornate di isolamento, dieci le passammo a raccontarci storie. Non erano semplici racconti: dietro una leggerezza apparente nascondevano un’aspra critica alla società.
Un esempio calzante è una novella particolarmente sagace raccontata da Elissa. Il protagonista è Guido Cavalcanti, che con un’arguta battuta riesce a sottrarsi da una situazione sfavorevole. Coloro che lo beffeggiavano per la sua mente raffinata, disapprovando la sua adesione alla filosofia epicurea e il conseguente isolamento dalla società, al termine della storia si dimostrano essere inetti e di scarso ingegno.
Dicevi che l’obiettivo delle vostre novelle era criticare la decadenza dei costumi dei vostri contemporanei. Ritieni che, a distanza di secoli, la società di oggi sia migliore?
La peste non portò soltanto la morte, ma anche la corruzione dei costumi: rassegnato al crudele destino, il popolo si dava ai bagordi. Ciò andava a sommarsi al preesistente declino dei valori del clero e della nobiltà: il primo, dimenticando il suo ruolo di guida spirituale, si interessava esclusivamente all’acquisizione del potere e all’accumulo di ricchezze terrene; l’altra, cullandosi nel lusso e pensando unicamente al piacere, scialacquava il proprio patrimonio e viveva con dissolutezza, dimostrandosi priva di capacità amministrativa.
Oggi, la situazione è decisamente peggiorata: la classe dirigente non è all’altezza del compito che sarebbe chiamata a svolgere, mentre buona parte dei cittadini non si impegna a rispettare le regole poste a tutela della sua salute.
Come hai vissuto il ritorno alla vita quotidiana? E cosa pensi cambierà dopo l’esperienza del Coronavirus?
Il ritorno alla quotidianità e il riadattarsi ai ritmi precedenti fu un’esperienza drastica. Dopo quattordici giorni di confinamento, trascorsi tra una storia e l’altra, rientrare in contatto con il resto del mondo mi turbò profondamente. La gente, stanca delle restrizioni, si dava alla pazza gioia in maniera irresponsabile: insomma, era diventata ancora più idiota e insopportabile di prima. E a quanto pare, la situazione non è molto diversa settecento anni dopo. I comportamenti imprudenti e impudenti delle persone, che fanno come se non fosse successo nulla, dimostrano come il genere umano non impari alcunché dal passato.
Grazie, Dioneo.
Mi auguro che questa intervista sia stata almeno piacevole, tanto so che rimarrò inascoltato. In che epoca vivete!
Camilla Botturi – Vincenzo Briguglio – Giorgia Rossi
(In copertina I novellatori del Decameron, di Francesco Podesti, 1850-1860, Treviso, Museo Civico Luigi Bailo)