Le grida. Se proprio devo pensare a come inizia una battaglia mi vengono in mente le urla. E prima di ciò, la calma.
Riflettendo sulla parola battaglia, possiamo riscontrare una contrapposizione tra i significati: essa può essere intesa come uno scontro fisico o armato, oppure come una lotta per ottenere ciò che desideriamo.Secondo il significato letterale, essa è “un insieme di combattimenti coordinati, tra forze armate contrapposte, generalmente a livello di grandi unità, che ha per scopo immediato quello di distruggere l’esercito o le forze avversarie per il conseguimento di determinati obiettivi bellici”. Nel senso figurato, invece, prende la forma di “vivo contrasto, lotta di parole, di opinioni” oppure di “conflitto, urto di sentimenti”.
«L’aiuola che ci fa tanto feroci»
Esempi di conflitti sono sparsi lungo l’intero cammino della Storia, da quando l’uomo cacciava per procurarsi il cibo fino ai giorni nostri (potremmo dire che iniziare il 2020 con la minaccia della Terza Guerra Mondiale non è proprio ciò che ci aspettavamo dall’anno nuovo, ma forse avremmo dovuto). Tutti questi elementi implicano la presenza della violenza, che del resto è ormai parte della quotidianità. Questo termine è strettamente legato alla battaglia, perché anch’esso ha una doppia natura: esistono infatti la violenza fisica e la violenza morale.
Nell’immaginario collettivo, un primo momento in cui troviamo la sovrapposizione delle due dimensioni della lotta, cioè quella armata e quella etica, è la Rivoluzione Francese.
In essa si intrecciano e l’una e l’altra dimensione del conflitto: in seguito agli effetti dei cattivi raccolti – che avevano fatto alzare vertiginosamente il prezzo del pane –, il 14 luglio 1789 gli appartenenti al Terzo Stato misero in atto la celeberrima presa della fortezza simbolo del potere regio, la Bastiglia; ma allo stesso tempo questo scontro era anche una rivendicazione dei principi di libertà, uguaglianza e fraternità.
È da un bisogno della popolazione che si scatena la battaglia, che avviene tramite una forte dose di violenza. Chi deteneva il potere, infatti, ha sempre cercato di mantenere intatta la propria egemonia con soprusi e ingiustizie. L’unico strumento nelle mani del popolo per cercare di far ascoltare la propria voce, allora come oggi, rimaneva il ricorso alla forza.
La battaglia per l’umanità
La dualità del termine ritorna in una forma più completa nel secondo ‘900: a partire dal 1964 gli USA si impegnarono militarmente nella guerra del Vietnam, operando pesanti bombardamenti sul territorio; questa politica era disapprovata dalla popolazione mondiale e manifestazioni per ottenere la pace e cessare il massacro si svolsero in ogni Paese. In particolare furono gli studenti e i giovani ad opporsi alla guerra, combattendo per ciò che ritenevano fosse la decisione più giusta, lottando insieme, per chi in quel momento si trovava schiacciato dalla potenza americana e portando avanti la battaglia.
Nel 1968 siamo di nuovo noi ragazzi i protagonisti del cambiamento, siamo noi a prenderci sulle spalle il peso e la responsabilità di recuperare i troppi sbagli e le scelte dei politici, che erano incuranti della voce di chi non riusciva più sopportare la dinamica caotica del tempo.
Eppure ci ritroviamo ancora qui a manifestare, a urlare al mondo che ci sono troppe cose che non vanno e che presto non ci sarà più nessun futuro da proteggere, prendendo il posto di chi ci ha preceduto nella lotta per l’umanità. Quindi, come con le grida sono iniziate le battaglie del passato, ora tocca a noi gridare fino a perdere la voce, consapevoli che altri sarebbero pronti a prendere il nostro posto; e forse, possiamo sperare che qualcuno ci abbia sentiti.
Articolo originariamente pubblicato su @claxonminghetti nel numero di aprile 2020.