Sono passati 66 anni dalla morte di Alan Turing e ancora certi dettagli sul suo ritrovamento sono sospetti. Per cosa è morto Alan Turing? In che società viveva e simbolo di cosa è diventato dopo quell’8 giugno del 1954?
È la mattina dell’8 giugno 1954 quando il corpo senza vita di Alan Mathison Turing viene trovato da Eliza Clayton, la domestica, all’interno del suo appartamento. Accanto al cadavere, una mela addentata. La morte per avvelenamento da cianuro di potassio viene stabilita in pochi minuti dal medico legale e il giudice non ha nemmeno bisogno di far analizzare la mela per decidere che si tratta di un caso di suicidio.
Dopo la cremazione del corpo, il nome di questo illustre matematico cadrà nell’oblio per più di cinquant’anni. Il giudice non poteva certo sapere che erano molte le persone che potevano volere morto Turing. E per ovvi motivi. Ma partiamo dall’inizio.
Un grande matematico
Alan Turing nasce nel 1912 nella Londra post vittoriana e vive la sua giovinezza durante il primo dopoguerra. Dopo essersi laureato a Cambridge con il massimo dei voti, nel 1934 pubblica un articolo in cui descrive la “Macchina di Turing”. Alan immagina un congegno capace di sostituire l’uomo in qualunque attività: fare calcoli, giocare a scacchi… perfino pensare. Tuttavia è solo con la Seconda Guerra mondiale che la sua invenzione potrà vedere la luce.
Non appena l’Inghilterra dichiara guerra alla Germania, la Military Intelligence inserisce Alan nel segretissimo Progetto ULTRA . L’intento è quello di riuscire a decifrare Enigma, il codificatore con cui i nazisti riescono a comunicare ai loro generali le strategie belliche senza farsi comprendere dagli Alleati. Le impostazioni della micidiale macchina, che cambiano a intervalli regolari, sono ben 159 milioni di milioni di milioni. E ognuna di esse rappresenta una possibile decifrazione dei messaggi. Servirebbero millenni per provarle tutte e trovare quella giusta. Eppure i tempi sono maturi per cercare qualcosa di diverso, qualcosa che vada oltre le capacità calcolatorie di un essere umano.
È a questo punto che Turing riprende in mano l’idea della macchina e decide di costruire il primo prototipo programmandolo a partire da un’espressione ripetuta in tutti i messaggi già decodificati: “Heil, Hitler”.
Ci vogliono mesi di lavoro e investimenti da milioni di sterline, ma alla fine la macchina viene completata e chiamata “Bomba”. Da questo momento i piani dei nazisti non sono più un segreto. Gli storici calcolano che il contributo di Turing nelle azioni di spionaggio abbia abbreviato il conflitto di ben due anni, salvando più di 14 milioni di vite. Ma allora… perché a un eroe nazionale è toccata una fine tanto misera? Semplice: perché era omosessuale.
Reato di omosessualità
Nell’immediato dopoguerra, Turing restava uno dei pochi a sapere che “Enigma” era stata decifrata. L’intero progetto era rimasto top secret, e perciò il matematico, a partire dal suo arresto per “atti osceni”, era diventato una mina vagante. Aveva collaborato per anni con il governo e, ora che quest’ultimo gli era contro, Turing poteva benissimo vendicarsi rivelando alcune informazioni di rilevanza internazionale. Erano quindi molte le persone che potevano voler Turing morto, e che non avrebbero avuto nessuna difficoltà a inserire il veleno nella mela. Tuttavia, al di là di chi abbia ucciso il matematico, una cosa è certa. Qualcuno, o meglio qualcosa, lo ha incastrato, ha incastrato Alan Turing.
Prima fra tutte, la Criminal Law Amendment Act, una legge inglese di fine Ottocento che condannava la sodomia come “grave indecenza sociale”. Ma non solo. A incastrare Alan Turing è stato quel giudice che, mettendo una legge davanti alla giustizia, ha dichiarato colpevole colui che aveva fatto vincere la guerra alla nazione. Quel giudice che ha lasciato a Turing solo la scelta tra la galera e una pratica così terribile da poter essere paragonata alla tortura: la castrazione chimica mediante estrogeni. Quel giudice che ha condannato Alan a più di un anno di offese fisiche e morali, dal calo della libido allo sviluppo del seno.
Un amore sbagliato
A incastrare Alan Turing è stata non solo la società inglese di quegli anni, ma qualsiasi governo passato, presente o futuro che abbia anche solo una volta definito “crimine” la libertà di seguire i propri orientamenti sessuali. E per rimediare a ciò non bastano né le scuse pubbliche che il Primo Ministro Gordon Brown proferì nel 2009, né tantomeno la grazia postuma elargita dalla regina Elisabetta nel 2013. Perché Alan Turing non è certo stato l’unico a subire questa pena abominevole e inumana.
Infatti, tra il 1885 e il 1967 – anni in cui la Criminal Law Amendment Act è rimasta attiva –, sono stati condannati ben 49.000 omosessuali nel solo Regno Unito. Migliaia di persone con un “difetto” comune: amare in un modo considerato anomalo, sbagliato. Oggi sono esattamente 108 anni dalla nascita di un genio degno di essere chiamato tale, di un eroe tanto indispensabile quanto sconosciuto del più grande conflitto della storia dell’umanità. Ma per una buona metà di questi anni, agli occhi dell’opinione pubblica lui non era altro che un povero disgraziato a cui era toccato di nascere diverso.
L’omofobia oggi
È vero, molti avvenimenti di importanza cruciale seguirono la morte di Turing, dai Moti di Stonewall e ai primi Gay Pride. Tuttavia, a più di cinquant’anni dalla sua scomparsa, sono troppi gli Stati del mondo che ancora non rispettano i diritti della comunità LGBT+. E che anzi promuovono la violenza e la discriminazione nei confronti di questi movimenti.
Questo fa emergere spontaneamente alcune domande: l’umanità è davvero degna di pensare al futuro come un qualcosa a portata di mano? Di vedere nei computer, discendenti della sensazionale macchina di Turing, l’incarnazione dell’inarrestabile progresso? Di continuare le ricerche del matematico nell’ambito delle Intelligenze Artificiali, e di applicare i suoi studi nel tentativo di permettere a un cervello di cavi e metallo di “pensare”?
Come possiamo noi esserne degni, se nel 2020 consideriamo ancora i nostri gusti personali come conseguenza di menti demoniache e di pensieri perversi?
Michele Garavelli
(In copertina e nel testo scene tratte dal film The Imitation Game, di Graham Moore e Morten Tyldun)