All’interno del ciclo di articoli “Dieci anni sostenibili“, in occasione della giornata mondiale della sicurezza alimentare, abbiamo intervistato il nutrizionista Enzo Spisni, direttore del Laboratorio di Fisiologia Traslazionale e Nutrizione del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche ed Ambientali dell’Università di Bologna.
Un’intervista a cura di Alice Buselli e Anna Passanese
1. Quali scelte possiamo fare noi cittadini, quando andiamo al supermercato, per ridurre il nostro impatto ambientale?
Ci sono diverse cose che si possono fare. L’impatto ambientale dipende sia dai prodotti che acquistiamo, sia dai trasporti utilizzati, sia dai costi in CO2 del packaging. Per quanto riguarda la dieta, la carne è la più pericolosa, in particolare quella rossa. Nello stomaco dei bovini viene prodotto il metano, un gas serra ancora più pericoloso della CO2, ma che rimane nell’atmosfera molto meno tempo, ed è quindi più semplice da eliminare. La scelta più intelligente in una situazione di emergenza dunque, è rimuoverlo per primo: si stima che il 15-20% delle emissioni provengano da allevamenti di bovini. In Italia ora mangiamo circa 80 Kg di carne a testa in un anno, in America quasi 100. I nostri nonni invece si aggiravano intorno ai 20-25 Kg, che vorrebbe dire mangiare carne un paio di volte a settimana.
Non ci sono reali problemi nel mangiare meno carne, perché esistono altre fonti proteiche, dai legumi al pesce. Si è calcolato che passando da una dieta americana, da 7 Kg di emissioni al giorno, ad una vegana, le emissioni si ridurrebbero a 3 kg. Inoltre la carne rossa è catalogata come probabile cancerogeno dall’OMS, specialmente i salumi, che sono pericolosi quanto l’amianto. La carne avicola, come il pollo, e il pesce hanno un impatto minore, ma la pesca è comunque problematica. Solo nel Mediterraneo l’80% delle specie è sovra-pescato. é anche importante acquistare frutta di stagione, possibilmente a chilometro zero. Questo riduce di molto i consumi di CO2 dovuti ai trasporti. Si può andare nei mercati, o dai contadini.
Al supermercato invece, è sufficiente controllare la regione d’origine. Anche gli imballaggi, a cui sono sottoposti soprattutto i prodotti biologici, andrebbero eliminati. Infine, bisogna fare la spesa in modo intelligente, cercando di evitare il più possibile di buttar via gli alimenti. Il nostro problema principale tuttavia, è la sovrappopolazione: si stima che intorno al 2050 raggiungeremo i 10 miliardi di abitanti sul pianeta. In queste condizioni, bisogna assolutamente ridurre l’impatto ambientale, o le alternative diventano per forza guerre e carestie.
2. Si sente spesso dire che l’alimentazione più sostenibile sia quella vegana. Lei può confermare? Altri invece sostengono che se non mangiassimo animali ce ne sarebbero troppi, non ci sarebbe spazio e porterebbero malattie. Cos’ha da dire su questo?
Bisogna ammettere che l‘alimentazione vegana non è fisiologica per noi, perchè bisogna necessariamente integrare la vitamina B12, presente quasi solo nella carne. Tuttavia gli studi scientifici dimostrano che è salutare, si può fare, ma ci si deve informare molto bene. È una scelta che io approvo dal punto di vista etico, perché riduce l’impatto ambientale. Come fisiologo però non la consiglio, perchè si rischia spesso di essere in carenza di B12, Omega3, o vitamina D. Il veganesimo è una scelta morale, ma basterebbe ritornare ad una dieta mediterranea, con un consumo di 20-25 kg di carne all’anno.
È assolutamente falso che se non mangiassimo gli animali, questi diventerebbero troppi, anzi. Le mucche di allevamento non riescono nemmeno a camminare da sole, non sopravviverebbero allo stato brado. Tra l’altro, le bestie allevate rappresentano la maggior parte dei mammiferi che abitano la terra, e circa il 70% delle coltivazioni serve per nutrire gli animali negli allevamenti. Questo sistema è anche controproducente: un campo di legumi di un ettaro fornisce circa 300 g di proteine. Se questa quantità viene data da mangiare ad una mucca, e poi noi mangiamo una bistecca, riceviamo solo 40 g di proteine.
3. Gli allevamenti intensivi sono vere e proprie macellerie a cielo aperto. Come mai non sono illegali? Non vengono fatti dei controlli?
I regolamenti esistono, ma non si interessano particolarmente delle condizioni di vita degli animali. Probabilmente a causa delle tradizioni: ricordo che da piccolo mio nonno mi portò ad una festa in cui uccidevano il maiale. L’animale veniva sgozzato e appeso per i piedi, era una scena molto cruenta,. Gli allevamenti intensivi hanno ereditato molto da queste usanze contadine. Ma l’unico modo per rispondere alla grande domanda di carne a basso costo sono questi luoghi aberranti. Se allevassimo le bestie in maniera sana, la carne costerebbe tre volte tanto. Secondo me però è proprio questa la soluzione: un petto di pollo a quattro euro al chilo è sicuramente di provenienza poco affidabile, e pieno di sostanze chimiche. é necessario partire da questa consapevolezza.
Vi racconto una mia esperienza: una volta visitai un agriturismo nelle Marche, il cui proprietario si chiama Luca Guerrieri. Lui aveva ereditato dal padre un allevamento intensivo di uova. C’erano enormi capannoni pieni di gabbie, dove le galline non riuscivano neppure ad alzarsi in piedi. Sotto c’erano due tapis-roulant, uno per le feci e uno per le uova. Lui ha totalmente trasformato l’azienda, che ora è un luogo bellissimo e sano, ma ha conservato uno di questi capannoni. Mi ha raccontato che quando ha dei dubbi su cosa fare, guarda quel capannone, e capisce subito cosa non deve fare. Gli allevamenti intensivi sono anche una fonte micidiale di resistenza agli antibiotici. La maggior parte degli antibatterici prodotti dalle aziende farmaceutiche non sono per uso umano, ma animale. In questi allevamenti circolano batteri pericolosissimi che sviluppano resistenze a tutti i nostri medicinali.
Bisognerebbe allevare nel modo giusto: in Valle D’Aosta ho visto mucche vivere felici e a lungo. I polli d’allevamento vivono pochi mesi, quelle vacche invece avevano un ciclo di vita normale, e venivano macellate solo in vecchiaia.
4. Una curiosità: la carne suina invece perché è così inquinante? E per il latte invece?
I suini non sono ruminanti, quindi non emettono metano. Tuttavia i liquami che producono sono difficili da smaltire perchè sono molto inquinanti e vanno ad intaccare il terreno e le falde acquifere. Per il latte la questione è simile: è comunque meno gravoso della carne, ma deriva da allevamenti intensivi. Ho visitato un allevamento di bovini per il latte, che tra l’altro era di alta qualità, e ho visto scatoloni colmi di farmaci per le mastiti delle mucche. Le mastiti sono infiammazioni delle mammelle, provocate dalle ventose per mungerle. Questo latte pieno di antibiotici non viene imbottigliato assieme a quello ad alta qualità, ma finisce comunque nel nostro cibo.
In questi allevamenti, le vacche stanno in box piccolissimi, e vengono mantenute sempre gravide artificialmente, perchè altrimenti non produrrebbero latte. Sono subito separate dai cuccioli, senza avere la possibilità di svezzarli. Vivono pochissimo, vengono distrutte da un ciclo di vita che è del tutto innaturale. Noi siamo abituati a bere il latte quotidianamente, ma anche questo alimento dovrebbe costare molto di più, e dovrebbe essere munto solo se avanza dall’allattamento del vitello. Noi finiamo per mangiare carne e bere latte di animali malati. Più il tipo di allevamento è malsano, più la qualità dei prodotti si abbassa.
5. Qual è l’impatto dei trasporti, soprattutto quelli intercontinentali, magari per frutta esotica come mango, ananas, cacao, caffè…?
dipende dal tipo di trasporto effettuato: se avviene via nave ci mette di più, ma inquina poco, se invece arriva via aerea l’impatto è molto più alto. Naturalmente certi tipi di alimenti devono essere trasportati: non si può pensare di acquistare banane coltivate in Sicilia, perché l’intera produzione siciliana non riuscirebbe a fornire alla sola Bologna. Il vero problema è che noi mangiamo frutta nostrana proveniente dall’altra parte del mondo come pere, mele argentine. Non ha nessun senso visto che abbiamo le mele dietro casa. È anche fondamentale abituarsi alla stagionalità di frutta e verdura. L’idea di mangiare secondo stagionalità è molto intelligente e abbatte l’impatto ambientale. Poi, se una volta ogni tanto vogliamo comprare l’ananas o il cioccolato, si può fare, tenendo conto che mangiamo della frutta mal maturata e completamente diversa dall’originale.
6. è vero dietro molte piantagioni di questi frutti, da noi venduti a prezzi bassissimi, c’è un enorme sfruttamento dei lavoratori locali? So che ci sono delle associazioni, per esempio “Commercio Equo Solidale”, che cercano di evitarlo.
Ti rispondo con un aneddoto: anni fa ho conosciuto un ragazzo appena arrivato in Italia dal Camerun, abbiamo fatto dei lavori insieme e l’ho aiutato a mettere in piedi un’azienda. quando suo padre è morto, lui non aveva la possibilità di rientrare. Suo padre è vissuto e morto in mezzo alle piantagioni di caffè. Vendeva enormi sacchi di caffè per dieci dollari l’uno.
Il figlio, finché non è venuto in Italia, non ha mai capito a cosa servisse il caffè, non poteva nemmeno mangiarlo, perché il caffè prima della tostatura è amarissimo. Per cui quest’uomo si è spaccato la schiena per una vita ed è morto in mezzo al campo senza neanche sapere perché lo facesse. certi prodotti come cacao e zucchero, o la quinoa che ora va di moda andrebbero acquistati solo equosolidali poiché assicurano un minimo di guadagno ai locali. Le produzioni sfruttano i lavoratori che ora non hanno nemmeno i soldi per comprarsi ciò che coltivano. Bisogna stare molto attenti a comprare da paesi impoveriti dal nostro modo di commerciare.
7. Adesso si usano molto i sistemi di irrigazione a pivot centrale, soprattutto nei luoghi desertici, che consumano diesel, oltre a moltissima acqua. Quali potrebbero essere delle alternative di coltivazione più sostenibili?
Parto da un discorso generale: l’agricoltura oggi è una sorta di guerra nei confronti della terra, in cui impiegiamo macchine per sfruttarla al massimo, invece che porci in un rapporto di mutuo aiuto. Una volta chiesi ad un coltivatore di grano degli Usa quanto fosse grande la superficie coltivata e lui mi rispose: “About Italy”. Capite? terreni grandi come l’Italia, dove c’è, solo grano. Devono usare degli aerei per spruzzare i fertilizzanti. Questa è l’idea di agricoltura USA. Ci sono tantissimi sistemi di irrigazione migliori, dipende dalla coltura, e da questo punto di vista Israele ha insegnato moltissimo: ha trasformato deserti in zone produttive con un ricircolo d’acqua pazzesco. L’acqua bianca delle case gira su conduttori diversi rispetto all’acqua nera e viene riusata in agricoltura.
Quindi la tecnologia per risparmiare acqua c’è, ma se invece sfruttiamo il terreno, questo diventa una polvere morta: non trattiene nulla, necessitando di un’enorme quantità di acqua, che non viene assorbita. non è sbagliato il metodo di irrigazione, è sbagliata l’idea di agricoltura. Dovrebbe essere una convivenza con gli altri esseri. Nell’agricoltura biologica serve un laghetto con i pesci che mangiano le larve di zanzare, gli alberi con gli uccellini.
8. Come funziona il biologico?
L’idea che il biologico sia insostenibile è superata, ci sono diversi articoli scientifici che provano che produce meno, ma impatta molto meno sull’ambiente. Per cui un’altra cosa che possiamo fare per ridurre la quantità di CO2 è scegliere biologico. una volta sono andato con un mio amico agronomo a visitare due terreni. Il primo era sulle colline abbandonato da anni e abbiamo fatto una carota, cioè abbiamo piantato un tubo vuoto fino all’incirca a un metro di profondità e poi tirato fuori e controllato il terreno rimasto all’interno.
Dentro era vivo, con un sacco di animaletti, lombrichi, insetti. Nel secondo terreno coltivano intensivamente del mais. Abbiamo fatto la carota anche lì ed è venuta fuori sabbia, nulla di vivo. Ovviamente in un terreno simile vanno usate montagne d’acqua che non viene poi trattenuta e scivola via. Se non cambiamo mentalità partendo dall’idea di un terreno vivo l’acqua non basterà mai e necessariamente nei prossimi anni ci sarà una guerra per l’acqua.
9. Qualche anno fa è scoppiato lo scandalo dell’olio di palma. È effettivamente così dannoso? Una delle proteste è che fosse insostenibile da coltivare.
Allora, parlo per esperienza personale perché sono stato tra i primi a fare luce sulla questione dell’olio di palma. Io e il direttore de “Il fatto alimentare” ci siamo accorti che era ovunque: biscotti, merendine, snack salati… Ci siamo quindi domandati se non fosse troppo, perché contiene dei grassi saturi e nei processi di raffinazione si formano dei composti clorurati che sono stati classificati genotossici da EFSA, l’Agenzia di Sicurezza Alimentare Europea. Nell’alimentazione vige la regola che nulla è un veleno, ma dipende dalla dose. Da qui è partita la guerra all’olio di palma, che ha avuto successo. È una bella vittoria per i consumatori perché sono stati loro a chiedere alle aziende di togliere quell’olio.
Se al supermercato iniziamo a fare certe scelte, i produttori percepiscono questi cambiamenti nella richiesta e si adeguano. l’olio di palma ha un altro grande problema, per produrlo deforestano. Perciò è ecologicamente insostenibile. Rimane nella Nutella, sapete che la Ferrero dice di avere un olio “sostenibile” e privo di composti clorurati, ma scommetterei che non è privo, magari meno di prima ma ce n’è.
Sul problema della sostenibilità ci si è resi conto che è comprata, basta pagare per avere il certificato. Tutti gli altri produttori l’hanno tolto, ma bisogna vedere con cosa è stato sostituito perché se usano l’olio di cocco la situazione è più o meno la stessa, non saranno più palme da olio ma da cocco. Perciò non sempre quando è scritto senza olio di palma vuol dire che il prodotto è migliore di prima. Se invece è stato sostituito con materie migliori dal punto di vista dell’ambiente e nutrizionale, per esempio l’olio di girasole altoleico ben venga.
10. Quali sono le coltivazioni peggiori per l’ambiente?
Dipende, se si distrugge foresta primaria sarà per forza una coltivazione pessima. Indipendentemente da questo, le coltivazioni migliori sono quelle che impiegano meno pesticidi e rendono più proteine. Per esempio, i legumi sono coltivazioni che hanno un altissima resa e in biologico sono a impatto ambientale bassissimo, perché arricchiscono il suolo e dànno buone proteine. Il grano stressa maggiormente il terreno, è necessaria la turnazione annuale. In un’alimentazione sostenibile va aumentato per forza l‘indice dei legumi. Molti sostengono che i fagioli diano gonfiore ma legumi non vuol dire fagioli. In India usano molto le lenticchie e ne esistono cinquantamila tipologie diverse. Per cui bisogna aprirsi a coltivazioni poco conosciute.
Inoltre il grano impatta il doppio o il triplo in tradizionale, rispetto al biologico. Nell’agricoltura intensiva si modifica il campo in modo da avere prodotti con pesticidi e fertilizzanti. Nel biologico ci si chiede che tipo di campo si ha e a quali coltivazioni si adatti meglio. Inoltre i pesticidi che utilizziamo hanno contaminato le acque superficiali e stanno iniziando ad avvelenare anche le acque profonde. In alcune regioni alzano i livelli di legge, perché altrimenti l’acqua del rubinetto non sarebbe più potabile. Perciò non solo presto non avremo più acqua, ma non sarà nemmeno potabile.
(In copertina 지원 이 da Pixabay)
Per approfondire, il ciclo di articoli Dieci anni sostenibili, a cura di Alice Buselli