Politica

Il socialismo democratico di Bernie Sanders – Chi raccoglierà il testimone?

Bernie Sanders

Bernie Sanders ha lasciato da qualche settimana la corsa per la nomination democratica, in un contesto elettorale ormai dominato dall’emergenza Coronavirus.

Dopo le importanti vittorie in tutti gli Stati che si sono trovati per primi a votare, le preferenze si sono spostate in favore di Joe Biden grazie al ritiro dei candidati moderati (Pete Buttigieg, Amy Klobuchar). Sarà l’ex vice di Obama lo sfidante di Donald Trump alle elezioni di novembre.

Ma il capitolo delle primarie è veramente chiuso? Cosa ci racconta l’andamento della politica americana? E cosa ci lascia la coraggiosa corsa di Sanders, iniziata già con le primarie per le presidenziali del 2016? Ha qualche rilevanza nel nostro contesto politico? E se sì, in che modo?

Dalle parti dell’America

È innegabile che la politica americana influenzi quella del vecchio continente: i leader che ogni quattro anni si danno battaglia nelle convention repubblicane e democratiche sono spesso presi come punti di riferimento dai politici di casa nostra. Pensiamo a quanto Berlusconi sia stato debitore alle politiche liberiste di Reagan; a quanto l’area liberal del partito democratico (Obama, ma ancor di più i Clinton) ispiri il mondo renziano; e, dulcis in fundo, a quanto Trump sia preso a esempio dai sovranisti nostrani (ricordiamoci la Meloni al congresso dei conservatori americani).

Se, dunque, tutti si affrettano a conquistarsi il proprio modello d’oltreoceano, a chi vogliamo attribuire l’esperienza di Bernie Sanders, il primo autoproclamato “socialista” a contendersi il partito democratico? Certo, a leggere i panegirici del Manifesto, il quotidiano che il comunismo ce l’ha nel nome, sembrerebbe sia arrivato il turno di LeU – Articolo 1 – La Sinistra. Ma si può esserne sicuri?

La rinascita del Partito d’Azione

Nel panorama politico, Azione, il movimento fondato nel novembre 2019 da Carlo Calenda, sta costruendo con più fermento di tutti gli altri attori il suo DNA ideologico: vuole essere la casa dei liberali, ma certamente non dei liberali purosangue ottocenteschi; vuole essere la casa dei popolari di Sturzo, e quella del socialismo democratico, e ovviamente non dei nipoti del PCI. Un’identità forte ma allo stesso tempo molto complessa: troppo di destra per quelli di sinistra, troppo di sinistra per quelli di destra.

È poi un soggetto che debutta senza modelli che aiutino il suo racconto. O, per meglio dire, di modelli ce ne sarebbero parecchi, solo che Rosselli, Gobetti, Spinelli, La Malfa, Ginzburg sono eccellenti figure scomparse in un’epoca che ormai sembra lontanissima, e sono personaggi che purtroppo nulla dicono alla stragrande maggioranza dei nostri concittadini.

Insomma: è un nobile progetto, dalla nobile storia, ma con pochi eredi. E infatti richiede più dei caratteri di un tweet per essere compreso. E questa è una innegabile debolezza nel mondo di oggi, in cui è l’immediatezza che regna sovrana, ma rappresenta certamente un unicum nel panorama dei nuovi partiti.

La strada delle nuove “sinistre”

Dunque, perché potrebbe essere Azione, e non la sinistra radicale italiana, a far sua l’esperienza della campagna sandersiana?

A mio avviso per tre fondamentali ragioni. La prima è che, comunque la si pensi, il vecchio senatore ha dato un vero senso al progressismo: un senso reale e percepibile. È uscito dal seminato di una sinistra che si crogiola nei soli (seppur importanti) diritti civili e che si sente moralmente migliore degli altri (e questo è un atteggiamento che Calenda ha sempre criticato).

Una sinistra, in fin dei conti, che si rifiuta di guardare negli occhi le disuguaglianze sociali, taccia per “irrazionali” le paure dei cittadini preferendo le più facili battaglie anti, sul modello delle Sardine: anti Salvini, anti populisti, anti odio, anti tutto, ma pro niente, o meglio, niente che sia tangibile per chi nel nostro paese lavora, affronta i problemi veri delle nostre città, eppure si sente escluso dal racconto politico. Si è spaventata dello scontro con la realtà, ha seguito i populisti nel terreno della banalità, dove sono imbattibili esperti, e poi, incapace di un’azione di coraggio, ha finito per allearcisi.

Nuovi squilibri e vecchie ipocrisie

Sanders ha indicato un nuovo tipo di pragmatismo in un paese – per fortuna – molto diverso dal nostro, chiedendosi senza timore: com’è possibile che l’1% della popolazione possieda più ricchezza di metà della stessa? Com’è possibile che spendiamo trilioni in sgravi fiscali ad Amazon e Walmart, se poi i loro lavoratori non si possono permettere né la sanità, né un’educazione per i figli (con il conseguente immobilismo dell’ascensore sociale)?

Nella campagna del 2016 il messaggio della Clinton non fu capito, perché si limitò a dire che la sua rivoluzione sarebbe stata quella di diventare la prima donna presidente degli USA. Ma in che modo questo avrebbe cambiato la vita di chi non si può permettere tre pasti al giorno? In che modo questo avrebbe rassicurato chi, nelle città, rischia la vita per combattere la criminalità, ma vive con stipendi da fame? Non si è capito il messaggio, e la Clinton ha perso. Lei ha dato la colpa ai Russi, come se solo questo bastasse per spiegare il fatto che ben 100 milioni di americani il giorno delle elezioni non si sono presentati alle urne.

Una lezione da interpretare

Per questa prima ragione, dunque, LeU e il PD non si meritano uno come Bernie nel loro Pantheon. Sono stati il contrario di quello che i progressisti dovrebbero essere, hanno parlato di ingiustizie sociali per titoli di giornale, rispondendo al sovranismo col buonismo, accontentandosi di preservare il loro zoccolo duro elettorale, comportandosi, in una parola, come la Clinton nel 2016.

Sanders, al contrario, ha guardato nel profondo la realtà, ha sfidato l’establishment del partito, i repubblicani, le compagnie assicurative della sanità e ha perso. Ma ha dato una grande lezione di coraggio che difficilmente rimarrà senza seguito. E questo è il calibro di scommesse che i nuovi partiti, come Azione, devono fare, se vogliono battere il demone dell’irrilevanza.

Disillusione e astensionismo: i nemici della democrazia

La seconda ragione è appunto questa: Bernie ha dimostrato che in politica non è col tatticismo che si lascia il segno. Non ha avuto paura di partire da zero, e ha ottenuto un posto di primo piano negli USA e non solo. Ha fatto capire che quando si è consci dei grandi problemi che affliggono la società; quando si è consapevoli che il più grande partito nelle democrazie (e la nostra non fa eccezione) è quello dell’astensionismo e dell’indifferenza; e, soprattutto, quando non si ha paura di dirlo, allora qualcuno inizia ad ascoltarti.

Azione nasce in controtendenza, e questo suo spirito natale non deve essere abbandonato. Calenda ha ragione in pieno quando dice che Salvini e Meloni hanno vinto perché hanno avuto la forza di fare un racconto originale del paese. E proprio per questo Calenda, pur non coincidendo in tutto con la figura di Sanders, dovrà farlo nella misura in cui aderire ad una visione rivoluzionaria e potente non sarà solo scritto nello statuto di Azione, ma sarà il suo modo di fare politica, sia a livello locale, sia a livello nazionale. O diverrà sandersiano in questo, o rischierà di essere l’incompresa costola centrista del PD.

Working class: chi se ne occupa?

La terza ragione è di tipo programmatico. Azione vuole uno Stato forte, con competenze limitate: sanità, scuola e difesa pubblica. Sanders, dall’altra parte dell’oceano, ha insistito su temi analoghi. La sanità come diritto (Medicare for all), l’educazione universitaria accessibile e l’aumento dei salari e dei benefit per i veterani di guerra dimenticati dallo Stato.

Ma in tutto questo, il senatore del Vermont non si è mai lasciato andare a dichiarazioni di tipo assistenzialista: se vi è capitato di guardare uno qualsiasi dei suoi discorsi, avrete sicuramente sentito ripetergli due parole: working class. La working class non è ovviamente il proletariato novecentesco: in America, come qui in Europa, questa definizione disegna piuttosto quell’insieme di persone che lavora nelle grandi e piccole aziende, nelle catene della grande distribuzione, nella ristorazione, e in tutti gli altri esercizi commerciali.

Si riferisce, insomma, a quella serie di lavoratori che ha visto negli ultimi anni abbassarsi la propria qualità di vita, che ha vissuto nel terrore delle delocalizzazioni, ma che non ha mai cessato di faticare. Alla working class in primis Azione deve rivolgersi con proposte concrete, senza paura di essere un movimento ancora piccolo. E se dimostrerà di saper guardare con serietà alle difficoltà della gente comune che manda avanti questo paese, non ci sarà campagna mediatica che possa ottenere lo stesso effetto.

E componente vincente delle prossime sfide politiche sarà proprio far sentire the Bern.

Michele Gallone

(In copertina Bernie Sanders)

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