La Mafia è stata, è e probabilmente sarà ancora a lungo il più grande male del nostro paese. Partendo dagli insegnamenti di chi ha dato la vita per combattere questo fenomeno, possiamo cercare, oggi più di ieri, di vincerlo. Giovani Reporter presenta il nuovo format video È solo un fatto umano.
Tanto tempo fa
Era un caldo pomeriggio di metà maggio. Circa quattordici anni fa. Io ne avevo solo otto e avevo appena finito di leggere Per questo mi chiamo Giovanni, di Luigi Garlando. Il primo libro che abbia davvero apprezzato nella mia vita e probabilmente quello che più di tutti ha influenzato le mie scelte future.
Non so esattamente cosa mi colpì tanto di quella storia. Forse il fatto che il protagonista, Giovanni, avesse appena due anni più di me. Forse il fatto che il suo pupazzo preferito, uno scimpanzé di peluche chiamato Bum, avesse i piedi bruciati e che non se ne conoscesse il motivo. O forse soltanto perché si chiamava Giovanni in memoria di Giovanni Falcone, morto in una strage di Mafia il 23 maggio 1992, proprio il giorno in cui il protagonista del racconto nasceva.
Suo padre Luigi era proprietario di un piccolo negozio di giocattoli a Palermo e fino a quel giorno aveva sempre piegato la testa di fronte a Cosa Nostra, e pagato il pizzo, l’ultimo venerdì di ogni mese. Ma quel 23 maggio 1992, mentre suo figlio veniva al mondo e perdeva la vita uno dei più grandi giudici italiani di sempre, simbolo stesso della lotta contro la mafia, qualcosa dentro di lui si era spezzato. Il venerdì successivo, il 29, decise che non poteva continuare così. Che avrebbe sporto denuncia alla polizia, costasse quello che costasse. Non si sarebbe piegato ancora una volta.
E costò. Costò tantissimo. La prima ritorsione fu una bomba piazzata nel suo negozio di giocattoli. Nessuna vittima materiale, per fortuna, ma solo un superstite, il povero Bum, con i piedi bruciati dall’esplosione. Come eterno monito e ricordo del prezzo della libertà.
Perché esiste Giovani Reporter
Me lo ricordo molto bene il giorno in cui finii di leggere il libro. Forse la cosa che mi ha colpito più di tutte, più del bambino e di suo padre, più di Bum con i piedi bruciati e dell’incendio del negozio di giocattoli, e anche più del nome di Giovanni, è stato il vero protagonista del racconto: Giovanni Falcone.
In quel momento, nel sentire la sua storia, dentro di me si era accesa una scintilla, il desiderio di cercare di costruire nella vita un percorso che mi avrebbe portato, in futuro, a dare un mio piccolo e personale contributo a questa battaglia.
Iniziai così a documentarmi, facendo delle ricerche su Peppino Impastato e Giancarlo Siani, sorprendendomi di quanto rumore furono in grado di generare semplicemente con la forza delle loro voci. E di come riuscirono a svegliare un’opinione pubblica cieca e sorda come il padre di Giovanni prima della nascita del figlio.
Da subito compresi che la strada giusta era studiare e diventare giornalista.Passarono le elementari e le medie, e arrivò il momento di scegliere l’indirizzo delle superiori e mi orientai con decisione verso il Liceo Classico. In contemporanea fondai insieme ai miei migliori amici una piccola pagina Facebook intitolata Giovani Reporter, un piccolo spazio dove, una volta maturati i tempi, avrei potuto prendere parte a viso aperto nella lotta contro la criminalità.
Era il 18 giugno 2014 e ormai sono passati quasi sei anni da quel giorno. In tutto questo tempo e specialmente dal 2018 a oggi, come avete potuto vedere, sono successe tantissime cose. Era normale che non sarebbe andato tutto secondo i piani, anche perché a quattordici anni non si può pretendere di avere le idee chiare sulla vita e sul proprio futuro.
Sconfiggere la mafia
Giovani Reporter si è evoluto, ha cambiato pelle ma non sostanza ed è diventato il sito che è adesso: un progetto che vanta più di 60 collaboratori, tutti under 30, e che ambisce a diventare la voce delle nuove generazioni. E anche io sono cresciuto insieme a lui.
Adesso i tempi sono maturi, non è un modo di dire: e io, in qualità di direttore di Giovani Reporter, ho intenzione di mantenere la promessa, o almeno di iniziare a farlo. A partire da oggi, 23 maggio 2020, ventottesimo anniversario della strage di Capaci, fino al 19 luglio, data in cui, sempre nel 1992, il giudice Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta persero la vita in via d’Amelio, intervisteremo donne e uomini che ogni giorno combattono la mafia con coraggio e senza paura.
Il nostro obiettivo, oltre a onorare le vittime, è dare sostegno a queste persone nella loro lotta quotidiana. E, cosa più importante, fare una battaglia culturale, come ai tempi fecero Impastato e Siani, per ricordare a tutti che combattere la mafia non è un verbo da coniugare al passato, non un fenomeno morto insieme ai giudici Falcone e Borsellino nel lontano 1992. È ancora fra noi, e l’unico modo che abbiamo per fermarla è parlarne senza timore e affrontarla, insieme, senza chinare il capo. Solo così avremo qualche possibilità di vincerla.
Falcone diceva “La mafia non è affatto invincibile: è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio, e avrà anche una fine“. Il titolo di un format con un compito così importante non poteva che essere questo, È solo un fatto umano, perché, per rubare le parole di Paolo Borsellino, “chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”.
Lorenzo Bezzi
(In copertina di È solo un fatto umano Giovanni Falcone e Paolo Borsellino)
Scopri tutti i video del format È solo un fatto umano
- Libero grazie al teatro (intervista ad Alessandro Gallo)
- Pane, mafia e pandemia (intervista a Federico Lacche)
- La nostra guerra non è ancora finita (intervista a Giovanni Tizian)
- Alla ricerca della verità (intervista a Vincenzo Chindamo)
- Bisogna indagare chi manovra la mafia (intervista a Tiziano Soresina)
- In viaggio sulla Statale 106 (intervista ad Antonio Talia)
- Chiamami ancora Giovanni (intervista a Luigi Garlando)
In collaborazione con:
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