CronacaCultura

Il caso GEDI-Repubblica – Il peso delle azioni nel mondo dell’editoria

Gedi

La crisi che stiamo vivendo è riuscita in pochi mesi a togliere dagli armadi parecchi scheletri: l’insufficienza delle strutture sanitarie, la precarietà del sistema economico e persino una piccola rivoluzione che da anni avanza nell’ombra. Il mondo dell’editoria si trova all’improvviso di fronte a un bivio, quasi ideologico: fare informazione o profitto?

L’economia dell’informazione

Come già trattato in un altro articolo sul nostro sito, sappiamo che la stampa è parte di un settore produttivo e che, come tale, comporta rapporti finanziari non indifferenti con interessi elevati sotto molti punti di vista. 

Il recente “caso” GEDI-Repubblica ha riportato l’attenzione su questi rapporti e sul mondo dell’informazione, tuttavia bisogna fare una precisazione: si parla di caso con una sorta di stupore innocente perché la situazione specifica ha colto di sorpresa un pubblico che troppo spesso non tiene conto di quanto l’aspetto economico sia determinante; bisogna perciò fare chiarezza.

Ogni realtà giornalistica fa parte di una società editoriale che si occupa di finanziare e talvolta amministrare le risorse ricavate e, se si tiene in conto della drastica riduzione dell’utile nel settore, avere un finanziamento stabile è ciò che tiene in piedi i costi di tiratura, pubblicità, stipendi e distribuzione (e no, i finanziamenti pubblici sono molto restrittivi, non vanno a tutte le testate e non sempre nello stesso modo).

Chiaramente nessuna società investirebbe senza un margine di guadagno ma il quarto potere non è solo un servizio: è anche una valuta. Avere una quota di partecipazione in una testata assicura principalmente due vantaggi: poter controllare o influenzare il genere di pubblicità da promuovere (aspetto particolarmente interessante se la società in questione ha proprietà anche in altri settori) e orientare la linea editoriale.  

Questi vantaggi non creano un gettito immediato o tangibile ma sono elementi che influenzano il pubblico e, di conseguenza, i ruoli che ricoprono, clienti e cittadini votanti per esempio.

Scacco matto finanziario

Comprendere una realtà giornalistica, anche se in modo parziale come deriverebbe da questo articolo, permette di capire una notizia salita di recente agli onori della cronaca: il 23 aprile scorso, dopo una trattativa che si preannunciava dall’autunno 2019, un’operazione finanziaria ha ribaltato gli equilibri editoriali in Italia. 

Andando per gradi, al centro di tutto c’è Repubblica, secondo quotidiano in Italia per diffusione, con un nobile albero genealogico: fondato da Eugenio Scalfari nel 1976, è sempre stata una testata ideologicamente definita, tanto da essersi guadagnata il rispetto di un discreto numero di lettori; tecnicamente però, ha una società editoriale alle spalle ed è in questo contesto che è scoppiato il caso GEDI-Repubblica. 

GEDI è un gruppo editoriale, fino ad un mese fa partecipato per il 43% circa dalla CIR, una holding di proprietà di Carlo de Benedetti: proprio quest’ultimo, dopo mesi di trattative, ha venduto la sua partecipazione alla Giano Holding, una società controllata dalla Exor, che già possedeva il 5% delle quote.

Con una serie di cessioni finanziarie, la famiglia Agnelli, proprietaria sia della Giano Holding che della Exor, si ritrova ad avere il 48% delle quote del gruppo GEDI e di conseguenza ha nelle sue mani 25 testate e tre emittenti radio. Se già questo risultato di transazione può destare dubbi sul pluralismo d’informazione, a creare il “caso” è stata la nomina del nuovo Consiglio di amministrazione, del nuovo presidente GEDI John Elkann e la conseguente designazione dei direttori editoriali; il tutto nel giorno sbagliato.

Una questione di tempismo

A partire dal 15 gennaio, l’ormai ex direttore di Repubblica Carlo Verdelli è stato travolto da una serie di minacce di morte in seguito ad una prima pagina che titolava “Cancellare Salvini”, in riferimento ai decreti sicurezza e ad un’intervista realizzata a Graziano Del Rio.

Le intimidazioni pubblicate da profili social creati appositamente, si sono spinte fino alla diffusione di un finto manifesto funebre con data 23 aprile 2020. “Dio abbia pietà della sua anima nonostante l’odio quotidiano” si legge sul finto documento, in cui il direttore risulta “cancellato”.

La curiosa coincidenza del termine “cancellato” fa intuire da dove si muovono le minacce rivolte al direttore, col chiaro intento di condizionare l’intero operato della testata, tanto che lo stesso Verdelli è stato messo sotto scorta e inserito dal Consiglio d’Europa nella piattaforma di protezione per giornalisti. 

Nello stesso giorno della presunta morte annunciata, però, Verdelli viene rimosso dalla direzione di Repubblica e al suo posto viene nominato Maurizio Molinari per effetto della cessione e dei cambiamenti ai vertici del CdA.

Nelle ragioni del gesto privo di empatia o anche solo di rispetto, sufficiente per far scioperare l’intera redazione di Repubblica, qualcuno ha parlato di strategia e della volontà di intraprendere una linea editoriale meno politicamente schierata; tuttavia c’è anche chi ha ipotizzato un motivo personale: Verdelli era direttore della Gazzetta dello Sport nel 2006 e la redazione da lui guidata scoprì il caso Calciopoli, che fu per il giornale un successo ma che allo stesso tempo fece retrocedere la Juventus degli Agnelli-Elkann, la stessa famiglia di John Elkann, neopresidente del gruppo GEDI.

Il futuro dell’editoria

Le cessioni nel gruppo GEDI influenzeranno sicuramente la qualità e l’identità delle notizie che leggeremo nell’immediato futuro. Valorizzare l’informazione e le potenzialità del digitale sono gli obiettivi di Elkann, sebbene autori del calibro di Gad Lerner abbiano già abbandonato la redazione, non riconoscendone più i tratti caratteristici.

Nonostante il tempismo mancato e i personalismi del caso, rimane certo che la partecipazione privata rimarrà uno dei pilastri per il futuro dell’editoria e, non è detto che la nuova compagine sociale di Repubblica sia dannosa: ricordiamo che il gruppo Exor include anche l’Economist, settimanale britannico di economia e politica di qualità.

Ciò che interessa è la scelta che gli editori compiranno di fronte al grande bivio tra giornalismo per informazione o profitto; l’unica garanzia (e speranza) che rimane ai lettori sono i giornalisti, il cuore pulsante della macchina della stampa, che dovranno fare appello costante ai valori della professione per evitare che transazioni finanziarie diventino il motore immobile dell’informazione.

Sofia Bettari

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