Giornali, televisione, social network. Ogni giorno siamo bombardati da informazioni e notizie, molte delle quali non riusciamo a comprendere pienamente. Se solo ci fosse qualcuno, un Professore più sapiente di noi, a cui rivolgere i nostri interrogativi e con cui condividere le nostre riflessioni.
IDAHOBIT
Il 17 maggio è stata la Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia, conosciuta anche con l’acronimo inglese IDAHOBIT. Istituita nel 2004, questa ricorrenza vuole ricordare il 17 maggio 1990, quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha escluso l’omosessualità dalla classificazione internazionale delle malattie. Mi scusi Professore, mi sono permessa di prendere il suo posto e spiegare brevemente l’origine di questa giornata. Ora, però, mi rivolgo a lei: non le pare che depennare “omofobia” dalla lista delle malattie mentali non sia bastato a modificare la concezione che troppe persone hanno di questo fenomeno?
Non mi fraintenda, Professore: uso la parola fenomeno nel significato più semplice del temine, nel senso di qualcosa che può essere osservato e conosciuto. Se questa precisazione le sembra superflua, quasi insensata, forse è il momento di entrare nel vivo del discorso. C’è chi vede l’omosessualità come qualcosa di fuori dal comune, di anormale e innaturale: un fenomeno da baraccone – se vogliamo mantenere il temine. È proprio per questo che l’Unione Europea e le Nazioni Unite hanno entrambe accettato l’istituzione di questa ricorrenza: per promuovere la sensibilizzazione nei confronti di un tema che, se lasciato libero, può portare a episodi discriminatori e violenti. Non che questo non continui a succedere tutt’oggi. Tuttavia, l’insensatezza di questi episodi può essere individuata nella loro causa scatenante: una fobia.
Phobia
Fobia viene dal greco phobos, che letteralmente vuol dire paura. Ma non si lasci ingannare dal termine, Professore! La differenza tra paura e fobia è semplice quanto abissale: la prima serve a riconoscere i pericoli, è una sensazione necessaria alla sopravvivenza che si sviluppa nel corso dell’evoluzione; la seconda è un’ansia irrazionale verso un pericolo solo ipotizzato, spesso inesistente. Una fobia ha prevalentemente origine in esperienze traumatiche, oppure è la diretta conseguenza di un’idea inculcata dall’esterno. È questo il caso dell’omofobia, Professore? L’agente esterno potrebbe forse essere la società in cui viviamo, che etichetta il diverso come anormale e pericoloso? E, se così fosse, come ci si può liberare di un pericolo inesistente?
Non basta avere i piedi per terra per non soffrire di vertigini, trovarsi in uno spazio aperto per non essere claustrofobici, lavarsi spesso le mani per non essere ossessionati dai germi. L’omofobia, la bifobia, la transfobia – e chi più ne ha più ne metta – altro non sono che una fobia come un’altra. E, come accade per tutte le paure irrazionali, l’origine sta solo nel profondo di chi le prova: solo chi ne è affetto può, se vuole, fare qualcosa per cambiare.
Clarice Agostini
(In copertina Margaux Bellott da Unsplash)
Una fobia come un’altra è il diciannovesimo articolo di Mi scusi Professore, una rubrica di Clarice Agostini.