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La didattica della vicinanza – Intervista a Elena Pezzi

Elena Pezzi

Per il ciclo “The school must go on” Francesco Faccioli e Anna Passanese intervistano Elena Pezzi, professoressa di spagnolo al Liceo Laura Bassi di Bologna. In particolare, ci si focalizza sulle reazioni dei docenti alla didattica a distanza, sulle difficoltà presenti e sui nuovi metodi che gli insegnanti stanno attivando per seguire gli alunni da casa.


1. Cosa ne pensa della didattica a distanza? E come sta andando nella sua esperienza personale di docente?

La scuola nasce per la didattica in presenza, e non esistono metodi migliori. Tuttavia ci sono strumenti, come la DaD, che in casi di necessità possono essere d’aiuto, a patto che diventino una didattica della vicinanza, non della distanza. Se le prime settimane sono servite ad abituarci a questi nuovi strumenti, quando abbiamo realizzato che l’emergenza si sarebbe prolungata più del previsto, ci siamo dovuti preparare sul serio a fare lezione.

In questo senso noi docenti abbiamo dovuto capire in fretta che replicare online una lezione frontale (che mostra tutti i suoi limiti anche in un contesto “tradizionale”) non porta risultati soddisfacenti; e bisogna trovare nuovi modi per coinvolgere gli studenti attraverso la DaD. Sappiamo bene che, dopo essere entrati in video chiamata, moltissimi alunni spengono webcam e microfono, e non seguono la spiegazione. Ho due figli adolescenti, conosco bene la situazione. 

2. Alcune persone ritengono che la DaD funzioni molto bene, e che potrebbe eventualmente sostituire le lezioni in classe anche dopo la fine dell’emergenza. Cosa ne pensa?

Secondo me una sostituzione tout court è semplicemente improponibile. Immaginate di fare didattica solo online con ragazzini delle elementari o delle medie; ma lo stesso discorso vale per le superiori: il professore non può essere solo un’immagine su schermo che dispensa informazioni. La relazione educativa è molto di più: è innanzitutto un rapporto umano. Io lavoro da moltissimi anni con le tecnologie, ma non ho mai pensato che queste un giorno potranno sostituire integralmente una relazione dal vivo, reale, vera.

3. Professoressa, ha detto bene: lei è abituata a utilizzare la tecnologia. Alcuni docenti, però, si sono trovati in grande difficoltà a lavorare con la didattica online.

Ed è proprio da questo punto di vista che anche voi potete insegnare ai vostri professori in difficoltà qualcosa che sapete fare bene. Voi, che padroneggiate lo strumento, potrete finalmente spiegare a molti insegnanti che non si sentono a proprio agio e che si sentono quasi intimoriti da questa situazione completamente nuova. Si tratterebbe di un ottimo esempio di solidarietà all’interno della comunità educativa; e, per molti insegnanti, sarebbe anche l’occasione per vedere i propri ragazzi sotto una nuova luce.

4. Parliamo ora del progetto Erasmus che la sua scuola coordina. Quali difficoltà avete dovuto affrontare, e quali esperienze avete avuto? 

Quando è scoppiata la pandemia, cinque nostri studenti si trovavano a studiare in Spagna per un periodo di tre mesi e sono stati costretti a rientrare precipitosamente prima che chiudessero le frontiere. A fine aprile saremmo dovuti partire per una mobilità in Finlandia, ma abbiamo dovuto posticipare il viaggio – si spera – ad ottobre.

A causa di questa emergenza, insomma, il progetto subirà senz’altro dei cambiamenti (considerando anche che l’anno prossimo chiuderà Erasmus Plus 2014-2020 e inizierà Erasmus 2021-2027), ma di sicuro non ci fermeremo. Tutti i ragazzi che hanno partecipato ad un progetto Erasmus nella nostra scuola raccontano che la loro vita è cambiata, ed è questo che ci dà la forza di andare avanti.

5. La ministra Azzolina ha parlato di buone maniere anche nella didattica a distanza, come ad esempio tenere la fotocamera accesa. Non tutti i professori però si attengono a queste regole, e non tutti pretendono che gli studenti le rispettino. Lei come si comporta?

Secondo me, parlare a una griglia di telecamere spente è piuttosto desolante. Mi capita spesso che, poco dopo l’appello, molti studenti chiudano la webcam, dicendo di avere problemi di connessione. Naturalmente so che per molti sono scuse, ma non mi sento di obbligarli. A me, invece, risulterebbe impensabile tenere spenta la telecamera: non sarei credibile agli occhi degli studenti ed è questo che cerco di trasmettere loro.

6. Secondo lei come funzioneranno, o come dovrebbero funzionare, le valutazioni?

Dipende da che obiettivi ci si pone e da cosa si sceglie di valutare. Nella mia scuola abbiamo scelto di valorizzare anche l’impegno e la capacità di ragionamento, di rielaborazione personale delle discipline apprese. Visto che in questa situazione è molto facile copiare, quel che possiamo chiedere è di ragionare e rielaborare i concetti appresi, sapendo che i contenuti sono facilmente disponibili. Se chiedo allo studente di dare una propria interpretazione de La Casa di Bernarda Alba, ad esempio, diventa molto più difficile copiare o suggerire.

7. A lei è capitato di conoscere qualche studente che ha dovuto chiedere degli strumenti tecnologici in comodato d’uso?

Nella nostra scuola (il Liceo Laura Bassi di Bologna, NdR.) per fortuna sono pochi: su una popolazione di circa 1.530 studenti, le richieste di computer sono state soltanto una decina. In Emilia-Romagna la situazione non è generalmente critica. Purtroppo però in alcune famiglie c’è un solo computer e se lo devono spartire più fratelli. Bisogna però anche considerare dove vivono i ragazzi: una mia studentessa abita sull’Appennino e la sentiamo spesso come dentro la bolla dei pesci. 

La faccenda si complicherà se effettivamente a settembre verrà messa in atto una didattica “metà e metà”. Molte scuole non possono reggere così tante connessioni contemporaneamente. La nostra è un convento del ‘700, e non è stata pensata per far passare agevolmente il Wi-Fi. Quella della connessione stabile ed efficace sarà la nuova sfida da affrontare.

8. Lei collabora con eTwinning: di cosa si tratta, e come lo si è utilizzato durante questa quarantena?

eTwinning è la più grande community europea di docenti. Promuove progetti di collaborazione fra classi europee su contenuti curricolari e non. In questo momento abbiamo due progetti attivi, uno legato al progetto Erasmus, con altre cinque scuole partner, ed uno di letteratura in cui, oltre alla nostra classe, ci sono una scuola di Firenze e tre classi spagnole. Per gli spagnoli è la lingua madre mentre nel nostro liceo è terza lingua straniera, ma in quinta i giovani hanno già solidi strumenti per sostenere una discussione di letteratura.

Durante l’emergenza abbiamo continuato a fare le attività, anche se, come è ovvio, erano pensate per un’esperienza in classe. Tuttavia, oltre a questo, non ci sono problemi nell’uso della piattaforma.

9. Cosa ne pensa dell’affermazione “la scuola ha ancora bisogno della lezione frontale”?

Sono allo stesso tempo d’accordo e non. Ogni disciplina ha dei nuclei che richiedono in certi momenti la lezione frontale per essere sistematizzati. E per fortuna, direi. Altrimenti a cosa servirebbero gli insegnanti?

Purtroppo a volte se ne abusa: ci sono molti altri momenti in cui si può arrivare allo stesso risultato proponendo modalità che coinvolgano attivamente anche gli alunni. Se dovessi pensare di fare lezione frontale, tutti i giorni e in tutte le classi, penso che nemmeno io potrei reggere! È banale dirlo, ma dobbiamo ricordarcelo: la lezione frontale come unica modalità didattica non permette al ragazzo di interiorizzare la materia, di farla sua.

Per me che insegno una lingua straniera il Quadro Comune di Riferimento Europeo delle lingue fornisce un orientamento sicuro quando spiega che la lingua è “un’entità viva in cui gli utenti (non solo gli studenti) devono compiere compiti legati non solo alla lingua, ma che si svolgono sempre in un contesto e che gli permettono di produrre il risultato”. L’importante è attivarsi e immergersi in una lingua. Le nozioni si possono reperire ovunque, ma farle proprie è un’altra cosa. Certo, in questo modo l’insegnamento si fa molto faticoso; ma è anche l’unico modo per insegnare davvero.

Francesco Faccioli – Anna Passanese

(In copertina John Schnobrich da Unsplash)


Per approfondire, leggi tutte le interviste del ciclo The school must go on, a cura di Clarice Agostini.

Sull'autore

Nato nel 2001, vivo in montagna – e vista l'aria che tira non ho fretta di trasferirmi. Con ogni probabilità sono l'unico studente di Lettere Antiche ad apprezzare sia Tha Supreme che Beethoven. Da fuori posso sembrare burbero, ma in realtà sono il più buono (e modesto) della redazione.
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