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Il sogno europeo è morto?

Sogno europeo Sogno europeo

A ormai più di settant’anni dai Trattati di Roma, ha ancora senso parlare di Europa? Quella comunità di Stati teorizzata dai suoi padri fondatori è possibile? Ripercorriamo brevemente la storia del sogno europeo, dai primi passi degli anni ’50 alla grande svolta alla fine del XX secolo.


Chi vi parla sostiene da sempre l’esigenza di unità tra le Nazioni europee, sia per garantire una pace che storicamente non è mai stata molto duratura nel Vecchio Continente, sia per poterlo rendere più forte in ambito internazionale e reggere il confronto con superpotenze come USA e Cina. Non si può negare che, da questo punto di vista, tanto si debba all’Unione Europea (oltre che a CECA e CEE, sue antenate); tuttavia, nell’ultimo decennio il sogno europeo ha vissuto un periodo molto difficile, dovuta soprattutto alla crisi del 2008 e al modo in cui è stata gestita.

L’attuale pandemia da Coronavirus non ha certo migliorato la situazione: lo scontro frontale tra Stati membri sull’uso degli Eurobond per aiutare le economie più fragili (inclusa quella italiana) a fronte dell’emergenza sanitaria ha riacceso l’annoso dibattito. Al di là di questo del compromesso – in parte ancora da chiarire – raggiunto di recente, rimangono molti terreni di scontro: dall’immigrazione alle politiche economiche, senza contare l’incognita dei paesi di Visegràd, alcuni dei quali sotto la lente d’ingrandimento per le loro derive illiberali. A conti fatti il sogno europeo sembra, ormai, in coma profondo

Il sogno europeo che fu

Ed è difficile dire altrimenti, soprattutto rileggendo il Manifesto di Ventotene, in cui Altiero Spinelli, negli anni ’40, teorizzava per la prima volta una federazione di Stati europei in grado, tra le altre cose, di garantire una maggiore giustizia sociale.

Si potrebbe anche menzionare la Dichiarazione Schuman, del 1950, dove si teorizzava un’Alta Autorità in grado di prevenire una futura guerra, mettendo in comune le produzioni di carbone ed acciaio. Tale dichiarazione fu fondamentale per la nascita, di lì a due anni, della CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio), primo embrione dell’UE, tanto che il 9 maggio, giorno in cui fu redatta, è ogni anno il giorno europeo. Di strada da allora ne è stata fatta, fino alla moneta unica, l’Euro, nel 2002, in grado di dare maggior slancio all’export europeo. 

La triste realtà

Quell’entusiasmo, purtroppo, col tempo è andato scemando. La crisi economica ha portato ad un periodo di austerità in alcuni paesi, tra i quali Italia e Grecia. Per questo si è diffusa la concezione di un’Europa “matrigna”, dedita solo a preservare sé stessa e le sue strutture incurante del benessere dei cittadini, nonché succube dell’asse franco-tedesco. Del resto, è indiscutibile l’influenza della Germania, la terza economia al mondo per prodotto interno lordo, determinante nel risanamento degli Stati più invischiati nella crisi. Il tutto non senza tornaconto: crea scalpore il fatto che dai prestiti alla Grecia la Germania abbia guadagnato ben 1.34 miliardi di euro in interessi.

I problemi dell’UE comunque non sono unicamente di natura economica. Da anni si discute della riforma del trattato di Dublino, firmato nel 2003, che stabilisce che l’accoglienza dei migranti sia a carico del paesi di primo approdo. Tale norma penalizza i paesi del sud Europa, che si battono per modificarlo affinchè tale accoglienza sia a carico di tutti gli Stati. La proposta,però, viene osteggiata dalle Nazioni del nord ed est Europa, con buona pace della solidarietà europea.

Proprio dall’Est arriva un altro, grave problema: da alcuni anni Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria, riuniti nel gruppo di Visegràd (esistente dal 1991), hanno mostrato una crescente insofferenza verso Bruxelles, in particolare sui temi economici e sull’immigrazione. Soprattutto in Polonia ed Ungheria si contano derive illiberali, quando non autoritarie, in contrasto con i principi dell’UE. Proprio nelle ultime settimane, con la scusante del Coronavirus, il premier magiaro Viktor Orbàn ha ottenuto pieni poteri, tra i quali quello di chiudere il Parlamento. 

Un rilancio possibile?

Alla luce di questi fatti, è evidente che la fiamma accesa da Spinelli quasi 80 anni fa sia oggi molto meno luminosa. Lo testimonia la Brexit, concretizzatasi appena 3 mesi fa, o la crescita esponenziale in quasi tutti gli Stati di partiti euroscettici e populisti.

All’UE, indubbiamente, dobbiamo tanto: dall’Erasmus a Schengen, senza contare il Quantitative Easing (l’acquisto di titoli di Stato dalle banche) con cui la BCE negli scorsi anni ha salvato il nostro paese da bancarotta certa. Il punto qui è l’unità politica, quegli Stati Uniti d’Europa che darebbero riscatto al Vecchio Continente nello scacchiere internazionale, elevandolo a superpotenza. Questo obiettivo richiede tuttavia grande lungimiranza da parte dei nostri leader: lungimiranza che purtroppo, al momento, sembra latitare. 

Riccardo Minichella 

(In copertina un’immagine tratta da Avvenire)

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