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Siamo proprio noi – Giovani contro i “bei tempi andati”

Giovani

Cari adulti,

Sappiamo bene che, quando a cena ci si ritrova con una tavolata di parenti molto molesti e rumorosi, in un attimo si può fare un passo falso e scatenare il litigio del secolo. Politica, amore, giustizia sociale, legalizzazione e via dicendo: ognuno di questi temi è una pericolosa provocazione che qualcuno finisce sempre per raccogliere. Ed ecco allora che entra in gioco l’arma segreta di ogni buon ospite: al posto che scannarsi fra adulti, perché non iniziare un peana di lamentele su queste sfaticate, nullafacenti, degenerate, decadute nuove generazioni?

Nati dal nulla

C’è sempre molto da parlare (e poco da dire) quando il discorso cade sul mai troppo abusato topos della gioventù deviata: del resto già Platone si lamentava di quella mostruosa perversione del tempo suo – il libro, che spronava i ragazzi ad abbandonare lo studio mnemonico. È sempre più facile, al giorno d’oggi, essere epigoni del filosofo ateniese, unirsi a quel partito di nostalgici dei tempi passati, che sosterrà fino alla propria morte – di solito abbastanza prossima – che i giovani d’oggi non siano altro che una generazione di teppisti, fannulloni eteroflessibili, flagelli di ogni forma di civiltà, distruttori dei sacrosanti valori tradizionali che invece temporibus illis erano così apprezzati e preservati.

Molto meglio così, piuttosto che interrogarsi sulle ragioni che spingono noi, “i giovani”, futuro del Paese, su queste strade corrotte. Già. Secondo voi adulti, qui in Italia siamo rimasti solo con una generazione di drogati, assidui fumatori della temibile marijuana, che nulla ha a che vedere con quei baldi giovani degli anni ‘80 che morivano sul ciglio della strada con l’eroina in vena. “Eh sì”, dicono i settantenni di oggi, “non ci sono più i giovani di una volta!”. Già, proprio quei giovani che ai graffiti sui banchi di scuola preferivano i cocktail molotov e la lotta armata extraparlamentare. A quanto pare, la nostra epoca è solo una grottesca parodia di tutto quello che i nostri genitori e nonni hanno fatto: pare proprio che siamo un movimento nato dal nulla, volti anonimi e misteriosi, iconoclasti che sembrano solo volersi disfare delle glorie du temps perdu.

Crescere devianti o crescere deviati?

Siamo noi, i malvagi Gen Z e Millennial, figli di nessuno ed eredi di nessuna cultura, viva incarnazione della decadenza, siamo proprio noi i famosi sfaticati che passano le loro giornate a festeggiare nelle discoteche come il Papeete, ovviamente solo per la nostra cultura dello sballo, che è invece così coraggiosamente combattuta dai più alti vertici ministeriali. Siamo noi, i tremendi incivili che non fanno altro che urlarsi dietro nei luoghi meno opportuni, comportandosi secondo i dettami di una maleducazione che di certo non proviene dal nostro ambiente, da quello che abbiamo visto fin da piccoli in luoghi di civile dibattito come la TV italiana.

Siamo noi, quelli che usano sempre le parole nella maniera sbagliata, i diabolici inventori dell’hostis publicus “petaloso”, anche se chissà, forse l’abbiamo fatto nel tentativo di essere “brevi e circoncisi”, come qualcuno ci volle insegnare tempo fa. Siamo noi, gli analfabeti funzionali e di ritorno, flagello di questo povero sistema di pubblica istruzione che in ogni momento impiega tutte le sue abbondanti risorse nel cercare di aiutarci. Siamo noi, quelli che vanno a picchiare le insegnanti che ci danno una meritata insufficienza, a minacciarle indossando un casco, contro il volere dei nostri genitori.

Siamo noi, quelli che non crescono mai e anche da adulti si insultano a vicenda come bambini, dandosi del “drogato” o del “fascista” a caso, disprezzando i nostri modelli in Parlamento, che invece fanno uso raffinato della retorica e si scambiano solo argute frecciatine. Siamo noi, quelli che non hanno ancora imparato il rispetto per i luoghi ufficiali e di culto, gli autori delle più indecenti proposte di matrimonio, di certo sotto l’influenza dei nostri pari americani, da sempre più bravi a dar spettacolo che altro, in contrasto alla storica sobrietà italiana.

Il rapporto con il passato

Siamo noi, quelli che non sembrano trarre alcun insegnamento dalla cultura classica, quella bella cultura greca che ci vuole tutti misogini e schiavisti, quella gloriosa civiltà imperiale che soffocava il grido degli oppressi sotto il clangore delle caligae legionarie e portava i cavalli in Senato (d’altro canto, il passo che separa un cavallo in Senato da una spigola o un salame in Parlamento, di questi tempi, pare essere molto corto).

Siamo noi, quelli che rifiutano la loro eredità storica, che non rispettano una generazione precedente che è stata capace di ammettere nel suo Parlamento certi onorevoli come Junio Valerio Borghese, Achille Lauro (il cui nome viene ora infangato dalla musica del suo omonimo, di certo un personaggio più esecrabile dell’originale) e altri perfetti modelli di vita come il nostro Andreotti nazionale.

Cosa pensiamo noi

Verrebbe proprio da chiedersi come osiamo rifiutare di seguire esempi così luminosi e illustri. Del resto, cosa ci si potrebbe aspettare da quelli che non scendono mai in piazza se non per le cause più futili, come certe baggianate climatiche, se non per un incomprensibile astio verso la politica e l’imprenditoria, che hanno sempre fatto così tanto per loro, per il loro futuro, assicurandogli sbocchi lavorativi immediati, una carriera universitaria ben strutturata e dai chiari obiettivi, un mercato del lavoro sempre aperto a riceverli?

E abbiamo fatto tutto questo da soli, no? Siamo una foresta di querce che per qualche motivo si piega come un palmizio, così, da sola? Io non penso. Noi non lo pensiamo. Saremo anche querce che vengono su storte, cari adulti, ma non lo stiamo facendo da soli, perché c’è un tetto sopra le nostre teste, un tetto di vetro che ci devia, e che forse si compiace, fra sé e sé, nell’impedirci di raddrizzarci.

Iacopo Brini


Siamo proprio noi – Giovani contro i “bei tempi andati” è un articolo di Voci, una rubrica di Elettra Dòmini, a cura di Elettra Dòmini e Davide Lamandini.

Sull'autore

Classe 2003, mi sono trasferito da Bologna a Milano per studiare Legge e soprattutto per sfuggire alle ire dei caporedattori dopo aver sforato una scadenza di troppo. Mi appassiono facilmente degli argomenti più disparati, invento alfabeti nel tempo libero e ho la strana abitudine di presentarmi in giacca e cravatta anche ai pranzi con gli amici.
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