Silenzio. Da quando il virus è arrivato in Italia, la nostra vita è cambiata. Abbiamo messo in pausa tutto. È come se fossimo arrivati al ritornello della nostra canzone preferita e, improvvisamente, a causa di un impulso sconosciuto ma irrefrenabile, avessimo premuto il tasto stop. Per poi rimanere fermi, imbambolati, con la bocca aperta, pronta a cantare, gli occhi sgranati a fissare il vuoto.
Le labbra e gli occhi si seccano, questo freddo vento primaverile ci taglia la faccia; ma noi rimaniamo lì, fermi, immobili. Questo vuoto rumoroso, quasi assordante. Come se ci fosse un continuo ronzare, a cui non facciamo caso. Anzi, forse, lo gradiamo. Forse ci piace avere questa piccola zanzara nell’orecchio. E no, non facciamo niente per scacciarla. La lasciamo fare, finché non ci assuefà e ci immergiamo in un sonno profondo.
Calma, prima di quale tempesta?
La cosa più singolare del panico di questi giorni è questa calma, la lentezza; conseguenza del silenzio assordante. È come se fossimo chiusi in una stanza. Sappiamo che è stracolma di persone, ma non le vediamo o sentiamo. Allora, per provare a combattere questo silenzio, urliamo. Urliamo con tutto il fiato che abbiamo in petto. Urliamo finché non sentiamo più il cuore. Urliamo come se fosse l’unica cosa importante, la nostra unica certezza. Allora, mentre richiudiamo la bocca ormai screpolata, mentre ci chiniamo, spezzati in due da quello sforzo disumano, sentiamo la nostra eco. Non una vera e propria eco: sentiamo il nostro grido ripetuto una o due volte.
Poi però il grido lascia spazio al ronzio di sottofondo. Si mescola, viene schiacciato, soppresso. Il tutto avviene sempre con una calma fredda, metallica, quasi funebre. La “A” prolungata del nostro urlo esce lentamente, quasi non la percepiamo. Siamo tutti assorti ad ascoltare il ronzio.
Find our humanity
Osservando meglio, il ronzio non è di una zanzara. È umano, nostro. Allora, capiamo che il nostro urlo è il ronzio, la voce della giornalista alla TV è il ronzio, le notizie sul virus sono il ronzio, Noi siamo il ronzio. Quando ci sporgiamo dai balconi cantando, combattiamo il ronzio? Facendo così, riacquistiamo quell’umanità ormai persa? Cantare, aggiungere alle storie di Instagram lo sticker e l’hashtag “Io resto a casa” ci rende umani? Basta così poco? Ne siamo proprio sicuri?
La mia unica domanda è se questa apparenza di umanità rimarrà, o se ce la lasceremo alle spalle insieme ai mesi di quarantena. Voglio sapere se, quando potremmo uscire di casa, vedrò delle persone, o se vedrò quei volti indifferenti. Voglio sapere se alla fermata dell’autobus ci saranno delle persone, o dei camaleonti seduti a godersi la fresca aria primaverile. In fondo dovremmo ancora essere umani. Dovremmo, ma non lo siamo. No, ci giriamo all’altra parte, ignoriamo.
Persi nel nostro salotto
La terra gira, anche senza di noi, e non ce ne rendiamo contro, siamo troppo impegnati a seguire l’andamento del virus. Per quanto ci riguarda, in questo momento potrebbe crollare il mondo, e noi staremmo lì fermi a fissare il televisore, contando i contagiati. È strano, stiamo fermi e pure ci muoviamo. Stando fermi voltiamo le spalle al mondo, ignorandolo. Tutte le notizie – politica, economia, scienza – che normalmente sentivamo vengono ignorate, per dare spazio al virus.
Abbiamo perso la nostra umanità. Ce ne siamo resi conto quando abbiamo messo la faccia fuori dal balcone per cantare, per mostrare che esistiamo. Ma è un’umanità apparente. L’umanità l’abbiamo persa ogni giorno; da quando abbiamo perso contatti e abbiamo aggiunto follower, a quando abbiamo iniziato a guardare alle persone come denaro.
I soldi fanno girare il mondo
È comico: da metà 2018 la merce più costosa non è il petrolio, ma i dati personali. La nostra umanità è, secondo il The New York Times, merce da 450 dollari l’anno, per un business da $230.580.000.000 (solo in Europa). Questa è la fine della nostra umanità. La nostra umanità venduta. L’umanità che abbiamo dato via per ricevere quel silenzio assordante. Ci siamo pentiti?
No, siamo soddisfatti. Ora siamo felici. Ora, proprio adesso. Ora che siamo riusciti (o stiamo provando?) a rivoluzionare (in meglio?) la nostra società. Ora che un follow vale tantissimo. Ora che si possono comprare i follower. Ora che è legale comprare persone (lo ricordo: i follower sono persone). Questo è diventata la nostra umanità: un silenzio assordante, da spaccare i timpani. Il problema è che noi questo silenzio non lo sentiamo. Il silenzio assordante a noi sembra ronzio. E, come se fosse una droga, ci rende assuefatti. Ormai non ci accorgiamo neanche più della sua esistenza. Era così diffuso attorno a noi, che è diventato parte di noi. Ma cos’è questo silenzio, questo ronzio?
Leonardo Marino
(In copertina rielaborazione grafica da Esetge)