Adriano Leite Ribeiro è stato uno dei calciatori più talentuosi – e sfortunati – dell’ultimo ventennio. A quasi quattro anni dal ritiro, ripercorriamo insieme le tappe della storia di questo grande campione brasiliano.
‘’ E come tutte le più belle cose, vivesti solo un giorno come le rose
Si conclude così La Canzone di Marinella, di Fabrizio De Andrè. La parola chiave della vita di Adriano Leite Ribeiro è effimerità. Può qualcosa essere allo stesso tempo estremamente labile e tanto affascinante da provocare rabbia e nostalgia una volta giunto a quella che sembra essere la sua naturale conclusione?
Gli inizi – Villa Cruzeiro e il Flamengo
La storia di Adriano parte come molte altre. A Rio de Janeiro, nella favela di Villa Cruzeiro. E Villa Cruzeiro è un tornado che il piccolo ma già talentuoso Adriano, deve sin da subito imparare a dribblare: droga, armi e regolamenti tra bande. Adriano però tiene duro e insieme a suo padre Almir Leite Ribeiro, che per proteggerlo arriva a prendersi una pallottola nel cranio, lotta per il proprio sogno; diventare un calciatore professionista.
Gli esordi sono duri: i soldi a disposizione non sono molti, ma l’ambizione c’è e basta quella. Adriano muove i primi passi nel Flamengo, uno dei club più importanti di Rio. Anche se inizia come terzino, agli occhi di Alberto Almeida, allenatore dei rubronegro, è un centravanti puro, vecchio stampo. Il giovane si sposta così in attacco: questo evento è il momento chiave della sua carriera.
Adriano mette a segno 10 gol in 24 presenze, tra tiri impressionanti con un sinistro micidiale e giocate da predestinato. Le prestazioni del talento carioca hanno ampia risonanza, e naturalmente l’Europa calcistica drizza le orecchie. La chiamata arriva dalle sponde del Naviglio. Il mittente? Massimo Moratti, presidentissimo dell’F.C. Internazionale. Il destino ha appena bussato alla porta.
Adriano si presenta all’Europa
‘’Dopo il gol contro il Real Madrid, pensavamo di aver trovato il nuovo Ronaldo’’ dirà Javier Zanetti. Già, perché il gol realizzato contro il Real Madrid (una punizione di 180 km/h) regala ad Adriano una fama straordinaria. Quello che era un perfetto sconosciuto si presenta così all’Europa e ai tifosi interisti, che vivono l’illusione di aver trovato il successore del Fenomeno. Sembra una profezia, una di quelle storie già scritte.
Nella sua prima esperienza meneghina Adriano rimane solo 6 mesi, tempo necessario però per esordire nelle coppe europee e per la sua prima rete in Serie A, alla quale nel corso della sua carriera italiana ne seguiranno altre settantasei. La concorrenza nel club nerazzurro è tanta: davanti a lui ci sono giocatori del calibro di Vieri, Ronaldo, Kallon e Ventola. La società decide così di mandarlo in prestito per ‘’farsi le ossa’’ alla Fiorentina, dove nonostante le buone prestazioni non riesce ad evitare la retrocessione dei Viola.
Si fa così avanti il Parma che lo acquista in comproprietà: per il brasiliano è il primo banco di prova della sua carriera in Italia. Con i ducali Adriano fa subito capire di cosa è capace a tutta Italia. Siamo nel 2002, e la Serie A è colma di attaccanti in rampa di lancio, tra cui lo stesso Adriano. Il ragazzo con la maglia giallo-blu addosso sfreccia e segna a profusione, creando il panico tra gli avversari e contribuendo, assieme a Mutu, alla qualificazione europea dei crociati. Adriano ora è sul radar, o come direbbero gli americani, is on the map.
La consacrazione – L’imperatore si siede sul trono
L’Inter, alla fine, ci ripensa. ‘’Papà’’ Moratti, come lo chiamerà affettuosamente proprio Adriano, riporta l’attaccante tra le file del biscione. Ma il calciatore non è più quel ragazzetto di belle speranze: al di là dei gol e delle prestazioni c’è la consapevolezza che Adriano possa diventare un beniamino dei tifosi e che le sue gesta possano illuminare a lungo gli occhi della Curva Nord.
Queste speranze in un primo periodo diventano realtà: Adriano, che incomincia con la maglia numero 10 sulle spalle – da quelle parti non è certo il numero più facile da portare –, si rivela una macchina da guerra. Gol da fantascienza, assist e giocate da vero fuoriclasse riempiono San Siro di quell’atmosfera magica che forse solo i brasiliani sono capaci di creare.
Anche in nazionale Adriano si fa sentire, vincendo la Copa America nel 2004, in finale contro l’Argentina, e diventando capocannoniere del torneo con 7 marcature. ‘’Abbiamo un brasiliano, che tira bombe a mano’’ intona la Nord. È nata una stella, è nato L’Imperatore.
Il declino – Qualcosa si rompe
La fragilità della mente umana è terribile: a volte basta un minimo movimento fuori asse ed è il declino istantaneo. È il 3 agosto del 2004 quando arriva una chiamata dal Brasile: ‘’Almir non c’è più’’.
Almir Leite Ribeiro, padre e mentore di Adriano, è morto. Ecco il punto di rottura; la sottile linea che separa la grandezza dal baratro che si rompe e segna l’inesorabile declino delle bellezze effimere. “È scoppiato in un pianto senza fine’’ dirà Zanetti, che ha assistito alla scena. A onor del vero, Adriano non accusa subito il colpo: l’Imperatore rimane tale e continua a sfornare prodezze, come quella in occasione della sfida contro l’Udinese.
Questa però, è una discesa che si consuma lentamente. Aumentano innanzitutto i vizi: l’alcol fa capolino nella vita di Adriano, che diventa indisciplinato e litiga spesso con le persone che gli stanno attorno. Dopo un breve ritorno in Brasile, all’Inter arriva Mourinho, con cui ritrova la titolarità e qualche sprazzo di gioia, ma è ormai troppo tardi. L’Imperatore ha abdicato.
Finte illusioni – Il ritorno in Brasile e la fine della carriera
Dopo la fine dell’esperienza nerazzurra, Adriano torna in patria cercando il riscatto nella squadra che lo aveva lanciato, il Flamengo. L’aria di casa sembra giovargli: in quell’anno diventa capocannoniere del Brasileirao e vince il campionato con i rossoneri. Sembra imminente il ritorno dell’Imperatore, ma non è che l’ennesima illusione della sua carriera. Torna in Italia, alla Roma: ma la scarsa forma atletica e le sregolatezze non gli consentono di lasciare il segno. Dopo un’infinita girandola di trasferimenti, tra cui un ritorno al Flamengo, chiude la sua carriera al Miami United.
In un’intervista fatta di recente a DAZN, Adriano ha dichiarato: ‘’Sapevo di essere forte, sapevo di fare delle cose molto importanti’’. Lo sapevamo anche noi e forse sapevamo anche che il destino delle cose belle è quello di durare poco ma a volte, credere di poter superare il cinismo della realtà con i sogni e le illusioni è più confortante. Obrigado Imperador.
Vincenzo Gioioso