Cara Italia, ti amo veramente.
Un sentimento che solo chi capisce cosa vuol dire davvero sentire l’appartenenza al proprio paese sa provare, e io ho capito che ti appartengo da quando riesci ancora a farmi gioire per una vittoria, inasprire per un tuo stupido errore. Ti ho sentita davvero, dai giorni di gloria leggendaria, dalla noncuranza alla maleducazione in questi anni, alla paura, disperazione, rassegnazione, in questo periodo.
Direi che nessuno se non chi ti abita sa davvero riconoscere i tuoi pregi, ma la verità è che tante volte ho visto molto più amore da chi veniva da fuori e capiva il tuo valore rispetto a chi viveva ogni giorno del tuo splendore e lo sciupava, non curandosi di tutto quello che avresti da dare.
Ma ora è il momento di profumare l’aria con fierezza e solidarietà, per noi, per te. L’unico caso in cui sì, possiamo dire di essere fieri di essere italiani senza accuse di razzismo, di essere fieri di prenderci cura di questa terra che muore per tornare poi più pulita, più amata.
È il momento di essere consapevoli di quello che abbiamo fatto per fronteggiare questa difficoltà, e non mi riferisco alle misure di sicurezza prese dal governo – che sicuramente sta facendo del suo meglio, ma non può nemmeno prendersela con chi fa jogging (non vietato dalla legge se con le giuste precauzioni) incolpandolo della morte di migliaia di persone, senza preoccuparsi del fatto che con la decisione di ridurre gli orari della spesa si creeranno più assembramenti – ma al meraviglioso mondo che abbiamo dentro, l’unico tratto distintivo che rende chiunque abiti l’Italia, un Italiano, e un artista che, appassionato della vita o no, la ama troppo per lasciarla passare senza assaporarla.
Di fronte alla morte, al dolore, alla tristezza, alla paura, alla consapevolezza di un lungo periodo di fredda realtà, di fronte al divieto di abbracciarsi, al divieto di manifestare, al divieto di toccarsi, al divieto di baciarsi, Noi abbiamo cantato. Noi abbiamo suonato. Abbiamo riso. Abbiamo ascoltato. Ogni giorno. Ogni cavolo di giorno, dai balconi, dalle finestre, dalle saracinesche, ritrovandoci davanti persone che non avevamo mai considerato, con cui non avevamo mai parlato, che non avevamo mai conosciuto.
Eppure qui c’è l’errore che mi fa tanto male. Com’è possibile che dopo la dimostrazione di unità e volontà d’animo, nel vero senso della parola, ci sia chi si lamenta del fatto che il canto – non urla disordinate e offensive – sia irrispettoso per chi sta vivendo un lutto, e sarebbe meglio fare silenzio o sentire le campane che piangono chi non è più a lottare con noi? La gente purtroppo ha sempre avuto bisogno di trovare qualcosa da contestare ancora prima di sapere di cosa si tratti, cosa ci sia dietro. Da quando sentire la gente che canta è un’offesa?
Penso di parlare a nome di tutte quelle persone che verso sera si affacciano alla finestra, piene di speranza con la loro scelta musicale da condividere con vicini e amici, quando chiarisco che cantare è il messaggio di un sentimento di forza collettiva infusa a chi resiste, non un insulto a chi soffre.
Siamo in silenzio a ogni ora del giorno e della notte, da soli. Uniamoci la sera. E facciamo riaffiorare quella bellezza grezza che conserviamo dietro agli stereotipi di maccheroni, voce alta e pizza (comunque gli stereotipi più belli del mondo). La gente ha bisogno di trovare la forza in altra gente, come ha sempre fatto, e il mondo ha bisogno di vedere che ostacoli superiamo quando la vita ci pone dei limiti. Ne ha davvero bisogno, più che pensare alla tragicità di quello che stiamo affrontando. Perché a volte, per quanto poco elegante ed eroica, la leggerezza è l’unica soluzione di cui necessitiamo.
Elettra Dòmini
L’Italia s’è desta è un articolo di Voci, una rubrica di Elettra Dòmini, a cura di Elettra Dòmini e Davide Lamandini.