Il 27 febbraio di 60 anni fa moriva Adriano Olivetti. Nato ad Ivrea nel 1901, dopo la laurea in ingegneria chimica al Politecnico di Torino entrò nell’azienda paterna, divenendone direttore nel 1932. Sotto la sua gestione, la Olivetti divenne la prima azienda al mondo nel settore dei prodotti per ufficio, lanciando la prima macchina da scrivere portatile e, dopo la sua morte, il primo PC. Ma Olivetti è ricordato soprattutto per la sua rivoluzionaria idea di azienda, che egli concepiva non solo come luogo di lavoro, ma anche e soprattutto quale luogo di elevazione morale e culturale.
La persona al centro
L’idea di comunità era il suo principio cardine: in essa andava reinvestito tutto il profitto dell’azienda, al fine di coniugare sviluppo e solidarietà sociale, abbattendo ogni barriera economica ed ideologica: sotto questo punto di vista, tra l’altro, egli contribuì allo sviluppo del Meridione aprendo uno stabilimento a Pozzuoli. Proprio per la sua lungimiranza diversi commentatori, tra i quali Roberto Saviano, lo hanno paragonato a figure del calibro di Bill Gates e Steve Jobs.
Per Olivetti, i suoi dipendenti non erano ingranaggi di una macchina, ma persone la cui individualità andava rispettata. Il personale veniva scelto esclusivamente sulla base della motivazione dei candidati: per verificarla, venivano esaminate la firma e le movenze, per verificare l’ottimismo; veniva inoltre richiesto di discutere di politica e cultura generale. Olivetti, ad ogni modo non trascurava la formazione del personale, anzi: nell’azienda nacquero il Centro Formazione Meccanici e l’Istituto Tecnico Industriale “Olivetti“, legalmente riconosciuto, i cui insegnanti erano figure interne alla fabbrica.
Inoltre, gli stipendi erano più alti della media nazionale: come racconta suo figlio Roberto, infatti, chi è impegnato in mansioni scientifiche non può avere mansioni economiche. Come se non bastasse, ai dipendenti erano riservati servizi come asili nido e colonie estive per i figli.
Industria, cultura e ricerca
L’incontro tra cultura e industria era, secondo Olivetti, fondamentale per sostenere il progresso materiale e morale della società. Ciò si tradusse, in primis, nel sostegno alla ricerca interna, con il reclutamento di giovani talenti quali Mario Tchou, ingegnere italo-cinese che coordinava la squadra di sviluppo elettronico dell’azienda (fu lui, tra gli altri, a creare il computer Elea 9003).
Ma il vero taglio netto rispetto agli altri stabilimenti si trova soprattutto nel risalto dato alla cultura umanistica. Olivetti volle accanto a sé scrittori, poeti, critici letterari, ma anche fotografi, architetti, grafici, sociologi: figure spesso poste in ruoli apicali dell’azienda. Egli stesso asseriva:
Conoscevo la monotonia terribile e il peso dei gesti ripetuti all’infinito davanti a un trapano o a una pressa, e sapevo che era necessario togliere l’uomo da questa degradante schiavitù. Bisognava dare consapevolezza di fini al lavoro.
Adriano Olivetti
In azienda si tenevano molti dibattiti e incontri con importanti personaggi della cultura, e all’interno si trovava una biblioteca liberamente accessibile ai dipendenti. Inoltre Olivetti finanziava riviste, sia artistiche che scientifiche, e svariate iniziative editoriali. Grande risalto era dato all’arte e all’edilizia: la nuova fabbrica di Ivrea era costituita da una struttura portante in cemento armato rivestita da vetro, per sfruttare al meglio la luce naturale; i negozi, disseminati in tutto il mondo, erano invece delle vere e proprie mostre d’arte, che includevano anche produzioni di Chagall e Klee.
Tra gli “intellettuali olivettiani” troviamo nomi quali Henri Cartier-Bresson, Gae Aulenti, Ettore Sottsass, ma anche Geno Pampaloni, Paolo Volponi, Ottiero Ottieri (quest’ultimo autore di Donnarumma all’assalto, libro che ben descrive la realtà olivettiana).
Un modello da recuperare
Il “modello Olivetti”, evidentemente, è quanto di più lontano dalla comune concezione dell’industria. Del resto, malgrado fosse vincente anche sul lato economico (i profitti erano superiori del 5.000% rispetto alla media), fu fortemente avversato anche dai sindacati e dalle forze politiche di sinistra. La struttura “orizzontale” dell’azienda di Ivrea, infatti, che includeva anche la formazione degli operai, era temuta da chi preferiva quella tradizionale, “verticale”, che meglio controllava la manodopera.
La morte improvvisa (e sospetta) di Olivetti pose fine, di fatto, a questa realtà. Una realtà che merita ad ogni modo di essere riscoperta, poiché valorizza quanto il profitto, quanto soprattutto il lavoratore come persona.
Riccardo Minichella
(in copertina Adriano Olivetti)