
Durante il vertice tenutosi a Ocrida (Macedonia del Nord) lo scorso 11 novembre, i leader di Serbia, Albania e Macedonia del Nord, hanno posto le basi di un accordo volto a facilitare gli scambi tra i paesi confinanti. Tra strette di mano, bandiere esposte e giornalisti, il presidente serbo Aleksandar Vučić, il primo ministro macedone Zoran Zaev e il suo collega abanese Edi Rama, hanno espresso per la prima volta la volontà di facilitare i trasporti e i rapporti diplomatici nella regione.
Questa sorta di “mini Schengen” dovrebbe essere effettivo da 2021 e prevede la libera circolazione di merci e persone, la possibilità di viaggiare da un paese all’altro mostrando solo la carta d’identità e la presenza di apposite corsie preferenziali per i camion.
Comunicare di più e meglio

“Dovremmo forse attendere di entrare nell’UE per poter commerciare pomodori e mele tra Albania e Macedonia del Nord? E gli albanesi che vivono qui devono forse aspettare di entrare nell’Unione per poter oltrepassare il confine con la Macedonia nel Nord senza che ci sia la polizia?”, ha ribadito in un intervento, con tono ironico, Rama. Il primo ministro è apparso contrariato dalle notizie giunte poco tempo prima da Bruxelles, riguardo all’impossibilità dell’Albania di accedere all’Unione Europea.
Per i paesi balcanici l’adesione rimane una priorità assoluta e questi provvedimenti saranno in grado di dare uno slancio all’economia dei membri partecipanti che potranno contare su un aiuto reciproco. Di recente, proprio Albania e Macedonia del Nord hanno visto rifiutarsi le proprie domande di entrata nell’UE, a causa soprattutto dell’opposizione del presidente francese Macron.
L’obiettivo primario è quello di stabilizzare un’area geografica molto delicata, attraverso investimenti stranieri per permettere la ripresa dell’economia locale. I vari leader hanno evidenziato la volontà di mettere le basi per “i Balcani del XXI secolo” e lasciarsi alle spalle un passato difficile di cui sono ben visibili le conseguenze. Nel summit successivo, tenutosi a Durazzo il 21 dicembre, si è aggiunto all’accordo anche il Montenegro, inizialmente dubbioso riguardo all’efficacia del patto.
Chi è contrario
Ad oggi, gli unici paesi contrari sono la Bosnia Erzegovina e il Kosovo che considerano il “mini Schengen” come una rischiosa alternativa all’entrata nell’UE. La loro maggiore preoccupazione sta nella possibilità che l’accordo possa essere malvisto da Bruxelles e quindi intralciare i rapporti.
Nel caso del Kosovo a complicare le cose vi è il noto astio nei confronti di Belgrado, da cui ha ottenuto l’indipendenza solo nel 2008. nel frattempo i rapporti tra Prishtina e Tirana, da sempre considerati ottimi, hanno iniziato ad incrinarsi e il giovane governo kosovaro si è espresso in modo molto critico riguardo all’apertura dei rapporti tra Serbia e Albania.
Da non sottovalutare è anche l’opinione pubblica. Navigando in rete e soprattutto sui social, risulta palese che la maggioranza della popolazione dei paesi coinvolti sia fortemente contraria al futuro accordo del “mini Schengen” ed incapace di vedere come alleati economici i paesi vicini un tempo considerati nemici. La loro è ancora una generazione segnata in modo significativo dai recenti anni di guerra.
Facciamo un passo indietro
Spesso descritti come la polveriera dell’Europa, i paesi in questione sono da sempre protagonisti di guerre civili, scontri etnici e diversi disordini politici. Le ferite lasciate dalla guerra (l’ultima avvenuta solo una ventina d’anni fa) non sono ancora del tutto guarite, ma l’intento della classe politica ora sembra essere quello di garantire un futuro prospero. Forse non più di una decina d’anni fa, nessuno si sarebbe potuto immaginare un tale cambio di rotta.
Risulta però innegabile che le fragili economie di questa regione da sole non sono in grado di far fronte alle difficoltà in cui si trovano. Prosegue, ad esempio senza sosta uno spopolamento preoccupante. Emblematici sono i casi di Bosnia Erzegovina e Albania, dove centinaia di migliaia di persone hanno lasciato i paesi negli ultimi cinque anni. Secondo recenti statistiche sono più del 50% i giovani desiderosi di trovare un futuro altrove che si presentano nelle ambasciate straniere, quella tedesca su tutte.
È senza dubbio questa la sfida più ardua per i rispettivi governi. Un accordo che faciliti gli scambi e la comunicazione potrebbe frenare l’esodo, dando la possibilità soprattutto ai giovani di crearsi un futuro lì dove sono nati.
Il ruolo di Unione Europea
Intanto Bruxelles guarda con una certa preoccupazione le vicende in atto sull’asse balcanico. Il “mini Schengen” sembra quasi voler essere un’alternativa parallela all’Unione Europea e se ciò dovesse realmente verificarsi quest’ultima ne uscirebbe senz’altro sconfitta, perdendo una regione strategica, oltretutto da sempre nelle mire della Russia.
Alla luce degli ultimi avvenimenti le richieste di adesione di Albania, Macedonia del Nord e Serbia sembrano aver subito un’accelerazione. L’entrata nell’UE rappresenterebbe per i governi della zona qualcosa di eccezionale oltre che una grande prova di forza, anche se queste sono solo supposizioni in attesa che il patto venga reso effettivo. Ciò che è innegabile è il tentativo, da parte dei paesi interessati, di migliorarsi e di soddisfare al più presto le condizioni necessarie per far parte del parlamento europeo.
Jon Mucogllava
(In copertina “Mini Schengen”, con Aleksandar Vučić, Zoran Zaev e Edi Rama)