È risaputo che la storia dell’arte sia piena di falsi e falsari. Si sa anche che i fatti più eclatanti sono figli del Novecento (basti pensare alla famosa vicenda delle “tre teste di Modigliani”, del 1984) e che una delle più grandi “beffe” avvenne nel 1939.
Il protagonista è Giovanni Rasini, un mecenate che mirava a ricevere il titolo di conte e che per questa ragione donò a Mussolini una collezione di tondi risalenti (o almeno così credeva) al III secolo a.C. e ritrovati a Centuripe, in Sicilia. Non è un caso che il luogo di provenienza fosse questa cittadina sicula, perché fin dal XIX secolo si era rivelata la “terra promessa” di archeologi e tombaroli.
Un po’ di storia
Centuripe (Kentoripa in greco antico) è stata una colonia greca dal V fino alla seconda metà del III secolo a.C, quando divenne una città libera romana. Già dal IV secolo a.C si distinse dalle altre città della Sicilia grazie alla produzione di ceramica artistica che raggiunse un altissimo livello nel secolo successivo, come ci dimostrano i grandi vasi e le statuette conservate nel Museo archeologico di Palermo e al British Museum di Londra.
Fu probabilmente per questo motivo che l’autenticità dei sette tondi policromi venne data per scontata, persino da critici e archeologi esperti come Giulio Emanuele Rizzo e Guido Libertini che ne esaltavano la bellezza e il perfetto stato di conservazione. Non c’è da stupirsi, dunque, se qualche mese dopo la collezione venne donata, con tanto di cerimonia nazionale, al Museo archeologico di Napoli.
Sul falso e le sue conseguenze
Viene naturale chiedersi come abbiano fatto gli studiosi a non accorgersi subito del falso. La risposta è semplice: in quegli anni gli archeologi e gli storici dell’arte avevano poco materiale pittorico risalente all’antichità, quindi il confronto con opere originali era molto limitato. Il grande fenomeno dei tombaroli e della compravendita illecita dei pezzi, inoltre, non favoriva certamente la situazione.
C’è da dire, comunque, che non tutti furono così “ingenui”. Carlo Albizzati, storico ed esperto di arte greca e romana, fu una vera e propria “voce fuori campo”. Aveva notato una certa somiglianza tra le figure “ellenistiche” e le attrici e modelle degli anni ’30 che comparivano nelle varie riviste dell’epoca. Aveva descritto i disegni come “troppo grossolani” e dall'”espressione un po’ attonita, come l’hanno di solito i contadini davanti all’obiettivo”.
Che i tondi di Centuripe fossero un falso, per lo storico, era più che evidente. Le dichiarazioni di Albizzati, ovviamente, provocarono una scissione della critica e a lui costarono più di una querela da parte di Rizzo. La disputa, comunque, si concluse qualche decennio dopo quando, a seguito di un’analisi chimica del colore, si poté affermare definitivamente la falsità dei tondi. Ma chi fu l’artefice di questo grande “scherzo” archeologico?
L’ identità dell’anticario
La risposta è emersa solo recentemente, nel 2014, quando l’archeologo Giacomo Biondi, ricercatore presso l’università di Catania, si è ritrovato per le mani il taccuino di Antonino Biondi (suo omonimo, ma non parente). Quest’ultimo fu un grande anticario (falsario in dialetto locale) che riuscì ad ingannare un gran numero di collezionisti vendendo loro opere false o ritoccate di gusto pseudo ellenistico. Antonino Biondi, infatti, era diventato un maestro del surmoulage, ovvero la tecnica della sovrapposizione: dall’originale otteneva uno stampo, una sorta di impronta in negativo che modificava successivamente.
Di opere di questo tipo la bottega del falsario era piena, ma uno degli esempi più emblematici rimane la Testa di Sileno conservata nel museo archeologico di Centuripe. Essa non è altro che la copia moderna dell’autentico pezzo conservato, invece, nel museo archeologico di Siracusa. Fu, insomma, un grande truffatore che riuscì a creare una “scuola del falso” che andò avanti fino agli inizi degli anni ‘80.
Emerlinda Osma
Il caso dei tondi di Centuripe è il primo articolo della serie I falsi dimenticati, di Emerlinda Osma.