Forse non tutti sanno che a gennaio si sono concentrati una serie di eventi di vitale importanza per il futuro assetto politico italiano. Le vicende in questione riguardano le modifiche alla legge elettorale in Italia e la rappresentanza dei cittadini in Parlamento. È vero che il consenso popolare influenza gli equilibri politici di un paese; le modalità in cui questo consenso si traduce all’interno delle istituzioni, però, possono fare la differenza.
Proporzionale: il Germanicum
È noto a tutti che esistono sistemi elettorali maggioritari e proporzionali: i primi privilegianti la governabilità di un paese, i secondi la rappresentatività. Negli ultimi anni l’Italia, che ha sempre adottato una legge elettorale di tipo proporzionale, ha adottato un sistema misto: il cosiddetto Rosatellum, che attribuisce circa un terzo dei seggi assegnati all’interno dei collegi uninominali. Questo compromesso, trovato poco prima delle scorse elezioni politiche, non ha mai davvero soddisfatto nessuno, e i partiti hanno continuato a cercare alternative. È qui che colleghiamo quindi finalmente agli eventi di questi giorni.
Infatti dopo lunghe trattative i rappresentanti del Partito Democratico e del Movimento 5 Stelle hanno trovato un accordo preliminare per una riforma della legge elettorale. Il 9 gennaio Giuseppe Brescia, pentastellato presidente della Commissione Affari Costituzionali, ha depositato un disegno di legge sul quale nelle prossime settimane si svolgerà il dibattito parlamentare. Il Germanicum – il nome è latinizzato come da tradizione – si chiama così per l’evidente similitudine con il sistema adottato in Germania: si tratta di un proporzionale con soglia di sbarramento fissata al 5%. Anche se il testo potrebbe ancora essere emendato o, nella peggiore delle ipotesi, bocciato, vale comunque la pena analizzare la proposta e cercare di capirne le ragioni.
Pro e contro del proporzionale
Il principale vantaggio del proporzionale è che fornisce una fotografia molto precisa della volontà degli elettori. Ciò rende anche necessarie ampie maggioranze trasversali per cambiare la Costituzione, mettendola al riparo da potenziali sconvolgimenti. Questo modello, inoltre, favorisce la partecipazione politica perché anche un partito piccolo o appena fondato, se supera una soglia minima di voti, può essere decisivo nelle scelte di governo. La necessità di formare ampie coalizioni però può rivelarsi uno svantaggio e rendere le alleanze troppo fragili. Si calcola che nel nostro paese la durata media di un governo sia stata di 1,1 anni. In così poco tempo è quasi impossibile pensare a un progetto di governo che sia davvero lungimirante.
Il testo del Germanicum però prevede anche una soglia di sbarramento piuttosto alta, in conflitto con il principio della rappresentatività. Fissare questo limite al 5% impedirebbe di eleggere rappresentanti a diversi partiti, da Italia Viva a Liberi e Uguali, togliendo potenzialmente voce a milioni di cittadini. La mossa sembra studiata per limitare il più possibile l’ascesa del centro-destra, e in particolare della Lega, in vista delle prossime elezioni politiche. Non è un caso quindi se i principali leader di questa coalizione hanno espresso diffidenza nei confronti del progetto giallo-rosso.
Maggioritario: il referendum proposto dalla Lega
L’altro punto di svolta in questo mese è stata la richiesta di referendum presentata da otto consigli regionali guidati dal centro-destra. La proposta, depositata dai leghisti il 30 settembre scorso, avrebbe permesso ai cittadini di votare per abolire la quota proporzionale prevista dal Rosatellum. Come già accennato in precedenza, il Rosatellum (la legge elettorale attualmente in uso) assegna circa due terzi dei seggi col metodo proporzionale mentre i restanti sono eletti nei collegi uninominali. Ciò significa che, se la Consulta avesse avvallato il referendum, il sistema elettorale italiano avrebbe potuto subire un drastico sconvolgimento.
Il gennaio la Corte Costituzionale si è espressa contro il quesito proposto dal centro-destra, ritenendolo inammissibile “per l’eccessiva manipolatività“. Il maggioritario, tuttavia, resta il sistema preferito dal Carroccio, e ci sembra corretto quindi approfondirne le dinamiche, nel caso probabile in cui tali proposte dovessero ripresentarsi in futuro.
Pro e contro del maggioritario
La riforma proposta della Lega avrebbe introdotto un sistema uninominale secco, cioè il maggioritario per antonomasia, usato in paesi come il Regno Unito e gli Stati Uniti. In questo sistema gli elettori possono scegliere tra diverse opzioni, ma solo il candidato che ottiene più voti risulta eletto. In altre parole il vincitore piglia tutto. Nel caso del Regno Unito, ad esempio, il territorio è suddiviso in 650 collegi elettorali e in ognuno di questi viene eletto un rappresentante che siederà alla Camera dei Comuni. Ciò impone ai partiti di fare campagna elettorale in ogni località del paese, senza trascurare le zone rurali o più povere.
Gli aspetti più dibattuti del progetto leghista riguardano l’alterazione della rappresentanza. In un sistema misto come il Rosatellum i partiti più votati sono sovrarappresentati, mentre i partiti più piccoli risultano sottorappresentati. In un sistema uninominale secco come il modello britannico, invece, la rappresentanza viene ulteriormente alterata. Per i partiti di piccole e medie dimensioni il rischio è non riuscire ad eleggere quasi nessun candidato nonostante i milioni di voti ricevuti a livello nazionale. Questo sistema poi, oltre a scoraggiare la formazione di nuovi partiti, renderebbe inutile il voto di alcuni elettori. Se la legge proposta nel referendum dalla Lega fosse passata, un collegio corrispondente alla provincia di Verona sarebbe di certo vinto dal centro-destra; un ipotetico “Firenze centro” invece sarebbe un seggio sicuro per il centro-sinistra.
Federico Speme