È il 1987 quando il Movimento Femminista di Roma, sfrattato dalla Casa delle Donne di via del Governo Vecchio – Palazzo Nardini (ad oggi ancora inutilizzato), occupa e rivendica un’ala del complesso monumentale del “Buon pastore” a Trastevere, un ex reclusorio femminile del Seicento.
Per le femministe inizia una trattativa con il Comune di Roma per il restauro e la consegna dell’edificio che le vede vincitrici e permette loro di realizzare il progetto di una casa “per tutte”. Oggi, dopo quarant’anni, le femministe di Roma rischiano lo sfratto e la perdita di un luogo di estremo rilievo culturale.
Una casa per te, una casa per tutte
Al di là della storia legata all’immobile sede delle associazioni, occorre comprendere il significato storico, politico e sociale di questa Casa, simbolo dell’autonomia femminista, punto di ritrovo di associazioni mosse da grandi donne che hanno portato in piazza cittadini in nome della lotta e della difesa dei più basilari – ma non per questo solidi – diritti delle donne, dal divorzio all’aborto.
Si rimane inoltre sorpresi dalla quantità di servizi offerti a titolo gratuito alla comunità: assistenza legale, psicologica e medica, consulenza del lavoro, sportelli informativi e di formazione, attività per minori, attività artistiche e politiche. All’interno della casa, inoltre, si trova un archivio sulla storia femminista di Roma.
La struttura oltre a trattare la politica di genere, si propone come centro per promozione dei diritti e della cultura femminista aprendosi anche, come dichiarano sul loro sito, alle questioni della società odierna: il contrasto al sessismo e al razzismo, istituzionale e popolare; l’accoglienza e il sostegno alle donne in difficoltà e/o vittime di violenza; la legalità, contro le mafie e la criminalità organizzata; la giustizia ambientale, in relazione con i nuovi movimenti ambientalisti; una nuova visione della città e dell’organizzazione urbana; la cooperazione internazionale; fino all’attenzione e il sostegno alla produzione artistica femminile, dalle registe, alle scrittrici, alle pittrici.
Il debito
Il complesso “del buon pastore” di Trastevere viene consegnato al Movimento nel 2001 in seguito ai lavori di restauro iniziati nel 1995 grazie ai fondi di Roma Capitale. Fin da subito l’accordo con la Capitale prevede un affitto troppo alto, circa 8.000€ al mese, impossibile da coprire per la Casa che non ha fini di lucro e che ogni giorno si impegna per offrire numerosi servizi gratuiti il cui valore complessivo è stimato intorno ai 700mila euro. Per queste ragioni nel 2017 viene concordato con la sindaca Virginia Raggi e con l’amministrazione 5stelle un nuovo affitto pari a 2.500€, versato dalle associazioni come acconto delle spese di gestione.
Nonostante questo, ogni mese si accumula un debito sempre più alto nei confronti della città: nel settembre del 2017 il direttivo della Casa invia una lettera per chiedere un incontro con la Raggi e nel dicembre del 2018 presenta una proposta di transazione di circa 300.000€ (raccolti grazie al crowdfunding) per chiudere il contenzioso. Nello stesso anno il consiglio comunale pentastellato approva la mozione Guerrini che impegna l’amministrazione a togliere la Casa internazionale delle Donne dalla sede a Trastevere senza specificare l’uso successivo dell’immobile.
Il silenzio e l’indifferenza verso le associazioni continuano e dopo più di 400 giorni dalla proposta di transazione e a 150 giorni dall’ultima richiesta di un incontro, le femministe di Roma non hanno avuto alcun messaggio diretto dall’amministrazione e da Virginia Raggi.
Una sconfitta di tutti
Il 5 febbraio di quest’anno, su richiesta di Italia Viva, viene depositato in Commissione della Camera (con relatori Fabio Melilli del PD e Vittoria Baldino del M5S) un emendamento del Milleproproghe richiedente un finanziamento di 900.000€ per coprire il debito alla Casa internazionale delle Donne.
L’emendamento condiviso da tutte le forze di maggioranza è stato però bocciato dalle commissioni congiunte degli Affari costituzionali e di bilancio riunite a Montecitorio il 6 febbraio poiché dichiarato inammissibile; nella sera dello stesso giorno è stato presentato in ricorso dal PD e da IV un subemendamento al Milleproroghe attualmente al vaglio per l’ammissibilità.
Mentre si cerca in tutti i modi di salvare la Casa, qualcuno cede alla tentazione di prendersi meriti per convenienze elettorali come nel caso di Virginia Raggi che, con un post su Twitter, il 5 febbraio già esulta dichiarando salva la Casa Internazionale delle Donne, forse un po’ troppo in anticipo dato che meno di 24 ore dopo la proposta di emendamento viene bocciata.
Sempre nello stesso tweet vanta di aver trovato “una soluzione in Parlamento grazie ad un emendamento condiviso tra M5S e le altre forze politiche”: ricordiamoci però che è stata la stessa giunta comunale guidata dalla Raggi ad accogliere la mozione per lo sfratto e che, non per fare le pulci, ma la proposta arriva da Italia Viva (se il M5S e la sindaca avessero voluto fare qualcosa di concreto avrebbero avuto modo e tempo).
Per un pugno di voti
La sindaca aggiunge sul social, dulcis in fundo, che “Le donne unite fanno la differenza. Una vittoria di tutti!”. Per commentare quest’ultima frase basta considerare le parole di Maura Cossutta, presidente della Casa: “Raggi non l’abbiamo mai sentita […] Da più di un anno attendiamo una risposta al problema della transazione economica per la risoluzione del debito e alla richiesta di un comodato gratuito per il riconoscimento del valore sociale delle attività della Casa”.
Politicamente parlando, lo sfratto alla Casa internazionale delle Donne è un paradosso: il M5S approva lo sgombero, poi cerca di evitarlo e infine la commissione, con presidente il pentastellato Giuseppe Brescia, boccia la misura del suo stesso partito. Ma che succede?
L’approssimarsi delle elezioni a Roma ha probabilmente fatto ripensare alle posizioni da adottare sulla questione spinosa e delicata (solo in termini teorici) e mentre il M5S si tira indietro, c’è chi vede nella proposta del centrosinistra una strategia per comprare consenso in vista della candidatura del Ministro dell’Economia Roberto Gualtieri alle elezioni suppletive del collegio Roma 1.
Sono una donna, sono una madre, sono cristiana
Come di consueto, la piattaforma di espressione (fin troppo libera) di Twitter pullula di opinioni tra cui quella di Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia che scrive:
“Grazie a FDI è stata bloccata l’ultima oscenità del Pd: dare quasi un milione di € del Mef, guidato da Gualtieri, alla Casa delle Donne, associazione di sinistra che si trova nello stesso collegio nel quale il Ministro è candidato. Non si usano Istituzioni per comprare consenso.”
Partendo dalle correzioni tecniche, la proposta non è arrivata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze ma da Italia Viva, bisogna concentrarsi sull’unica parte importante di questa storia che neppure la Meloni (e questo mi stupisce e rammarica) ha colto: ciò che mette a rischio la Casa Internazionale delle Donne è puramente di natura amministrativa e finanziaria eppure si sta cercando di politicizzare tutto, rendendola una questione di voti.
Mi sorprende che la stessa persona che lo scorso autunno intonava il suo motto “sono una donna, sono una madre, sono cristiana”, dichiaratasi vittima di violenza (stalking per precisione) non riesca a capire l’importanza della Casa che va salvata per solidarietà di genere e per spirito cristiano (amare il prossimo) ma soprattutto facendo appello al famoso buon senso.
Per una volta andrebbero messi da parte gli interessi dei partiti e andrebbe osservata la realtà per quello che è: la Casa offre assistenza e speranza a donne in difficoltà, che hanno subito violenze di qualsiasi genere, offrendo ad una comunità il sostegno e le misure che le istituzioni non sono in grado di fornire. Dove non arriva lo Stato, arrivano le donne unite. Salviamole.
Sofia Bettari
(In copertina una foto della Casa Internazionale delle Donne)