Ricordo il pomeriggio del 3 maggio 2014, era un sabato. Non avevo nemmeno 18 anni, io e un amico eravamo pronti a partire, senza neanche uno zaino in spalla, verso Roma, diretti al concerto di Achille Lauro al Brancaleone. Arrivati alla stazione di Salerno, non so se per uno sciopero o per un altro tipo di disservizio, scoprimmo che i treni per la Capitale avrebbero subito pesanti ritardi: dopo oltre un’ora di attesa capimmo che non avremmo mai raggiunto Roma in tempo e tornammo a casa sconfitti.
In quel periodo Achille Lauro non era ancora l’artista che è oggi: aveva pubblicato soltanto due mixtape ed un disco, dal titolo “Achille Idol – Immortale”, con cui stava iniziando a farsi strada nel mondo del rap. Era già evidente, però, la sua voglia di emergere dimostrando di essere diverso dai suoi colleghi.
Oggi sono passati quasi sei anni dal pomeriggio di quel concerto sfumato. Lauro ne ha fatta di strada, ne ho fatta un po’ anche io e se ripenso alla musica che ascoltavo sei anni fa, molti artisti sono ormai scomparsi dalle mie playlist. Achille Lauro invece no, e se è rimasto costantemente tra i miei ascolti c’è un motivo: perché ha avuto il coraggio di reinventarsi di continuo, unito alla capacità di restare sempre fedele a se stesso. C’è stato però un periodo nella carriera di Achille Lauro in cui non sembrava capace di prendere una direzione precisa, di diventare davvero “grande”. Poi ad un tratto qualcosa è cambiato: Lauro si è messo in testa di diventare l’icona della rivoluzione culturale in Italia.
Achille Lauro a Sanremo
L’anno scorso Achille Lauro si è presentato per la prima volta a Sanremo cantando Rolls Royce, un inno al dinamismo che non poteva non far pensare al futurismo di Filippo Marinetti. La sua esibizione esprimeva esattamente quel senso di velocità proprio degli artisti futuristi, soprattutto in rapporto alla persistente (e ormai insostenibile) lentezza della cultura mainstream italiana.
Un anno dopo, la fantasia di Lauro lo ha portato ancora più lontano: c’era da aspettarselo, un innovatore come lui non poteva tornare a Sanremo accontentandosi semplicemente di partecipare al Festival come ormai stanno facendo tanti altri esponenti della cultura urban italiana (si, esiste una cultura urban in Italia), una su tutti Elettra Lamborghini. Quest’anno Achille Lauro ha portato sul palco dell’Ariston Me ne frego, un brano il cui titolo è per sua stessa ammissione non di certo una citazione politica, piuttosto l’espressione di “un menefreghismo positivo. Viviamo, facciamolo, non temiamo di vivere”. Le esibizioni di quest’anno, però, sono andate ben oltre la musica.
Con il supporto di Alessandro Michele, direttore creativo di Gucci, e dello stylist Nick Cerioni, Lauro ha messo in scena ben quattro personaggi: San Francesco, David Bowie (o meglio il suo alter ego, Ziggy Stardust), la Divina Marchesa Luisa Casati Stampa (musa ispiratrice, guarda caso, proprio di Filippo Tommaso Marinetti e di altri futuristi) e infine la Regina Elisabetta I Tudor, grandi donne e grandi uomini le cui biografie sono un simbolo del coraggio di essere (e talvolta anche di apparire) ciò che si vuole e non ciò che si dovrebbe, di abbandonare gli schemi precostituiti per crearne di nuovi.
Il vincitore morale
In questa edizione di Sanremo Lauro si è classificato ottavo ma è senza dubbio lui il vincitore morale: è Achille Lauro l’artista più cliccato, è il suo nome l’hashtag più discusso, il suo brano è il più ascoltato in radio e sulle app di streaming musicale, le sue esibizioni sul palco dell’Ariston resteranno nella storia del Festival e della cultura pop italiana.
Tra le performance di Lauro che non dimenticheremo, in un Festival di Sanremo preceduto da forti polemiche per l’ennesima svalutazione del ruolo della Donna spicca il duetto con la cantante Annalisa durante la serata dedicata alle cover. Sulle note di Gli uomini non cambiano di Mia Martini, Lauro, vestito da David Bowie, ha lasciato il centro del palco ad Annalisa, rimanendo per tutta la durata dell’esibizione un passo indietro rispetto alla collega.
Non da meno gli “ammiccamenti” e il bacio al suo chitarrista, Boss Doms, nel corso della serata finale: grazie ad entrambi per aver dato uno schiaffo morale a quel pezzo d’Italia borghese e “bacchettona” con cui siamo ormai decisamente stanchi di convivere.
Non solo identità di genere
Costruita o adottata che sia, a prescindere dalla propria natura la nostra identità tende ad imporsi piuttosto facilmente su noi stessi. Ecco perché il messaggio di Achille Lauro e dei personaggi che ha rappresentato va oltre le questioni di genere: in questo preciso momento storico, in cui ognuno di noi è in qualche modo intrappolato nel proprio ruolo socialmente riconosciuto, essere fluidi non significa soltanto ridefinire il proprio orientamento sessuale.
La fluidità è l’attitudine di chi nel quotidiano è capace di uscire fuori da qualsiasi schema, cambiando vestito ogni giorno per rimanere sempre fedele al proprio io. Fluidità nel 2020 significa libertà e sul palco dell’Ariston Lauro non ha semplicemente cantato una canzone interpretando un personaggio diverso ogni sera: a Sanremo Achille Lauro ci ha esortato ad essere liberi.
Duilio Rega
Per approfondire, il commento di Federica Marullo alla prima serata di Sanremo 2020: