memoria s. f. [dal lat. memoria, der. di memor -ŏris «memore»]. In generale, la capacità, comune a molti organismi, di conservare traccia più o meno completa e duratura degli stimoli esterni sperimentati e delle relative risposte. In partic., con riferimento all’uomo, il termine indica sia la capacità di ritenere traccia di informazioni e di rievocarle quando lo stimolo originario sia cessato. – Vocabolario Treccani Online
Le parole non sono mai scelte a caso (o almeno, possiamo sperare che non lo siano); proprio per questo, è bello vedere come il 27 Gennaio, giorno di commemorazione delle vittime dell’olocausto, sia stato chiamato Giornata della Memoria.
La nostra Memoria
La memoria è una facoltà in gran parte ancora sconosciuta: si sa che è un processo complesso che coinvolge diverse parti del cervello e che ne esistono diversi tipi, ma non siamo ancora stati in grado di identificarne la sede, né di capire come funzioni. Tuttavia, da millenni, la memoria è definita come nostra abilità interna, e così anche il suo contenuto: dunque la capacità di memorizzare consiste nel rendere propria un’informazione esterna e richiamarla a proprio piacimento.
È questo che mi ha sempre colpito del 27 Gennaio, del fatto che si chiami Giornata della Memoria: il sottolineare come questa terribile memoria sia qualcosa di nostro, non astratto o trascendente, ma radicato nella nostra storia, nostra eredità, e perciò appartenente a noi in quanto umanità. Anche nel definire la storia come nostra eredità troviamo questo senso di possesso assolutamente positivo: il riconoscere il passato come nostro è ciò che ci permette di usarlo come esempio, come motivazione, come termine di paragone, ed è giusto, nel nostro tentativo di costruire un futuro migliore, forse utopico, utilizzarlo come metro di confronto per evidenziare cosa non funzioni nel presente.
Sia benedetto il ricordo del passato, e soprattutto quello della Shoah! Ben venga la Giornata della Memoria, creata per impedire all’umanità di dimenticare questa devastante tragedia, e che in questo senso funziona benissimo: l’olocausto non è stato dimenticato, chiunque sa che è successo. E proprio questo sapere dimostra che non ricordiamo niente, perché dire che l’olocausto è successo significa prendere questo evento e renderlo un modello, un qualcosa di esterno da guardare per spiegare che cosa sia il Male, e fare ciò non è memoria. L’olocausto non è affatto successo.
L’abbiamo fatta noi
Perché la Polonia si sente in dovere di chiedere a Netflix di modificare le mappe presenti in un suo documentario storico sostenendo che negli ultimi settantacinque anni le carte geografiche sono cambiate e che quello che oggi a tutti gli effetti è territorio polacco all’epoca non fosse tale? Perché in Italia, se si osa portare la Shoah come termine di paragone del contemporaneo, si è sommersi dai leoni da tastiera al grido di “non permettetevi di mettere niente sullo stesso piano del più buio evento della storia umana, all’apoteosi del Male”? Perché il nazismo è diventato l’archetipo di questo Male, al di fuori di tempo e spazio?
Perché, al di là di un’eventuale correttezza storica o delle singole opinioni, vogliamo fare finta di niente: vogliamo fare in modo che Auschwitz resti un archetipo, un esempio del Male, senza collegarlo a qualcosa di umano. E allora istituiamo giornate della memoria, ci lamentiamo in piazza e sul web dei cortei fascisti, continuiamo a leggere Anne Frank e Primo Levi come icone degli innocenti, recitiamo discorsi contro l’odio, e andiamo avanti con altri miliardi di esempi simili, che sono tutti comportamenti giusti e rispettabili, senza però voler andare a fondo, senza riflettere su un punto fondamentale: la Shoah non è semplicemente successa, non è comparsa da un giorno all’altro, no, l’ha fatta l’uomo. L’abbiamo fatta noi e resta qualcosa di nostro, altrimenti non sarebbe corretto chiamarla memoria.
Fa comodo ricordare il male commesso dai nazisti, fa comodo puntare il dito su qualcun altro, qualcuno di lontano, qualcuno che dalle descrizioni somiglia più a un demone che a un uomo, ma nessuno che si prenda le proprie responsabilità. Lodiamo la strenua difesa degli alleati contro l’espansione nazista, ma tutte quelle nazioni erano antisemite: solo, davanti all’apoteosi dell’odio, hanno riconosciuto il loro errore. Non avessero vinto la guerra, chiunque di noi sarebbe antisemita, eppure la Shoah è successa, come se si trattasse di un incidente, come se non fosse qualcosa di umano, qualcosa di profondamente radicato nel nostro cuore e portato all’esasperazione.
Non dobbiamo farlo mai più
L’odio fa parte di noi, è un nostro sentimento e non arriveremo a liberarcene. È inutile ricordare questa strage se non si riflette su come si sia trattato di qualcosa di nostro, e che potrebbe essere rifatta in qualunque momento da qualunque persona (basta digitare genocidi nel mondo su Google e ne avrete un’idea) eppure la Shoah resta “l’esempio perfetto e intoccabile”, solo perché nel suo orrore è riuscita particolarmente bene, solo perché è stata la più rigorosa, la più scientifica e la più efficace tra i genocidi.
È rimasta questo massacro operato dai nazisti, ormai neanche più riconosciuti come uomini, e non è diventata in nessun modo una nostra eredità, perché l’eredità è qualcosa che ti porti dietro, che diventa tuo, ma noi ci rifiutiamo categoricamente di sentirla come tale. Ecco perché non possiamo paragonarla col presente, perché è rimasta la storia, non la nostra storia. Non è parte di noi, e dunque non può essere confrontata col nostro presente, e se qualcuno ci prova ci indigniamo.
Non è così che si distrugge l’odio. Non puoi negarlo o allontanarlo, devi riconoscere che esiste, che permea l’uomo e che in qualunque luogo e in qualunque epoca dovrà essere contrastato. A ciò dovrebbe servire la Giornata della Memoria, quella memoria che è qualcosa di nostro e dev’essere riconosciuta come tale: a guardare dritto negli occhi tutto il nostro odio e a proclamare una frase che suona stucchevole, quasi da bambini colti in flagranza: “Non dobbiamo farlo mai più”. E allora affermiamolo oggi, 27 Gennaio 2020, ricordandoci quello che abbiamo fatto e non dobbiamo più fare: solo così supereremo l’odio, e questa Giornata della Memoria non sarà vana.
Carolina Passerini
(In copertina Jean Carlo Emer da Unsplash)