Mi scusi Professore, questa volta vorrei chiederle un parere su un argomento particolare. Se non dovesse essere a conoscenza di questa notizia, non rida, per favore, perché è tutto vero: si tratta di cammelli. A causa dei recenti incendi in Australia questi animali stanno abbandonando il loro habitat, ormai reso invivibile dalle fiamme, alla ricerca di acqua; e, a quanto pare, costituiscono una minaccia per infrastrutture e popolazione. È per questo che si è deciso di ucciderne diecimila.
L’ha letto, Professore? Hanno dato il via libera all’abbattimento di cammelli e dromedari anche l’Anangu Pitjantjatjara Yankunytjatjara (l’area dell’Australia Meridionale amministrata dalla popolazione aborigena locale) e il South Australian Department for Environment and Water, un dipartimento governativo a cui è affidata la tutela ambientale dell’area meridiana del paese. Il vantaggio non sarebbe solo quello di limitare il consumo d’acqua, essenziale per sedare gli incendi che divampano in Australia dallo scorso settembre, ma anche l’emissione di CO2, che gli animali emettono con i loro peti.
Gliel’avevo detto di non ridere, Professore. E non mi riferisco certo alla parola “peto“, ma piuttosto al livello di bassezza raggiunto questa volta dalla specie umana: siamo così a corto di giustificazioni autoassolutorie per l’impatto che le nostre azioni hanno sul pianeta da puntare il dito contro i cammelli. Gli animali, gli innocenti che devono condividere la loro casa con noi incivili, diventano ora il nostro capro espiatorio.
Intanto, però, l’attenzione della stampa è rivolta verso i grandi del pianeta che si sfidano a chi sia il più grosso, a chi faccia più paura. Invece di rimediare agli errori già commessi, si è sulla buona strada per commetterne di nuovi. La verità è che la Terza Guerra Mondiale è già in corso, è quella dell’uomo contro la Natura: lei ha dubbi su chi vincerà, Professore? Mentre l’umanità si illude di avere una chance, però, milioni di animali muoiono: un effetto collaterale del conflitto, come lo sono stati i civili vittime dei bombardamenti indiscriminati durante la scorsa guerra mondiale.
Non dico che il consumo d’acqua e l’emissione di CO2 da parte di questi animali sia indifferente; mi chiedo solo se la loro uccisione possa davvero fare la differenza. Spegnerà i fuochi, rallenterà lo scioglimento dei ghiacciai in Patagonia, riporterà le temperature al di sotto dei 40°? Ripulirà i mari dalla plastica, farà crescere nuovi alberi? Ogni soluzione a breve termine per contrastare il cambiamento climatico è, ormai, una perdita di tempo. Ed è per questo che mi rivolgo a lei, Professore: come può ognuno di noi contribuire personalmente a una soluzione a lungo termine?
Forse una risposta univoca non esiste. Io credo che non avremo lavorato abbastanza fino a quando la gobba, Professore, non crescerà sulla nostra, di schiena.
Clarice Agostini
I nemici siamo noi è il terzo articolo di Mi scusi Professore, una rubrica di Clarice Agostini.