È tornato prepotentemente alla ribalta in queste ultime settimane, in seguito al dibattito parlamentare sul MES (Meccanismo Europeo di Stabilità), il tema del tormentato rapporto del nostro paese con le istituzioni europee. Sembra tuttavia che i toni dei partiti sovranisti si siano ammorbiditi rispetto al passato: oggi l’uscita dalla moneta unica appare in maniera esplicita soltanto nei programmi elettorali di forze politiche minori ed esterne all’arco parlamentare, sia di estrema destra che di estrema sinistra.
Fratelli d’Italia, Movimento 5 Stelle e Lega sono indubbiamente i maggiori partiti italiani che in tempi non sospetti propugnavano l’uscita dall’Euro. Vediamo allora come si è evoluta negli ultimi anni la posizione di questi tre partiti sul tema
Fratelli d’Italia
Nel manifesto elettorale in vista delle elezioni europee del 2014, la forza politica guidata da Giorgia Meloni parlava apertamente di scioglimento concordato e controllato dell’Eurozona, e, qualora le cancellerie e le istituzioni europee si fossero rese indisponibili a un radicale cambiamento di rotta, l’Italia sarebbe stata legittimata ad avviare un processo di recessione unilaterale dall’Eurozona. Si assumeva inoltre la seguente posizione: “L’uscita dall’euro e dalla gabbia dei suoi vincoli consentirebbe all’Italia di recuperare notevoli risorse per sostenere investimenti, crescita e occupazione”.
Cinque anni dopo, l’intransigenza di quel programma elettorale è virata verso una maggiore accondiscendenza. La Meloni ha dichiarato, durante la campagna elettorale che ha preceduto le elezioni europee del 26 maggio 2019, che la permanenza dell’Italia nell’eurozona, nonostante consideri l’euro “una moneta antidemocratica che ha arricchito e fatto gli interessi di pochi paesi a scapito di altri”, è una scelta definitiva e che “l’Italia ha il dovere di restare in Europa a testa alta difendendo i suoi interessi, i suoi prodotti, le sue aziende, i suoi confini”. In ogni caso Fratelli d’Italia continua a reclamare una riforma radicale della Bce e lo stop alle politiche di austerity.
Movimento 5 stelle
Uno dei cavalli di battaglia del Movimento è stato la raccolta firme per un possibile referendum consultivo sulla sovranità monetaria e il ritorno alla lira, oggetto di un famoso spot del febbraio 2015, che vide la presenza della senatrice Paola Taverna. Tralasciando la conclamata incostituzionalità di una simile iniziativa, per il semplice fatto che la costituzione, all’articolo 75, non consente di sottoporre a referendum l’autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali, sono state numerose le voci euroscettiche all’interno del M5S almeno fino alla prima esperienza di governo.
Durante il Primo Governo Conte, infatti, è iniziata per il Movimento una sorta di metamorfosi kafkiana, che prosegue ovviamente tuttora, in tempi di alleanza col Partito Democratico: secondo il capo politico Luigi Di Maio non è più il momento propizio per proporre un referendum in merito, dal momento che “lo strapotere dell’asse franco-tedesco si è indebolito” e dunque non solo non c’è intenzione di andarsene, ma c’è la ferma volontà di giocare un ruolo da protagonisti all’interno dell’Unione.
Questo avvicinamento all’Europa si è tradotto in fatti concreti. Infatti, lo scorso 16 Luglio, il Movimento ha eletto Ursula Von der Leyen alla presidenza della commissione europea con i voti del partito popolare europeo, dei liberali e dei social-democratici, ossia le tradizionali famiglie del parlamento europeo, e ha placidamente acconsentito alla nomina di Paolo Gentiloni a commissario europeo italiano per l’economia.
Lega
Quando ancora il tema immigrazione non aveva assunto i contorni scottanti odierni, era “basta €uro” uno degli slogan portanti del carroccio. Si può ricordare in tal senso, tra le innumerevoli iniziative il primo No Euro Day, organizzato dall’allora Lega Nord il 23 novembre 2013 a Milano, che riunì, oltre a Matteo Salvini, i due esponenti più euroscettici del partito nonché ideatori di un piano di uscita dalla moneta unica: Claudio Borghi e Alberto Bagnai. Fu questo uno dei primi passi verso l’alleanza con l’estrema destra francese di Marine Le Pen, fondatrice nel 2014 del MELN (Movimento per un’Europa delle Nazioni e delle Libertà), che si batte, anche se oggi sotto altro nome (gruppo Identità e Democrazia), per trasformare l’Unione Europea a mere relazioni commerciali tra Stati, attraverso la revisione dei trattati.
Nel luglio del 2016, al festival del lavoro, l’inedita coppia Matteo Salvini – Alessandro Di Battista rilanciava proposte antieuropeiste. In particolare il leader della Lega affermava che, con lui al governo, l’Italia sarebbe uscita dall’euro, senza se e senza ma, e che, per farlo “non occorre un referendum, poiché sarebbe un massacro e un’agonia per il sistema economico italiano”.
Oggi anche la Lega, in merito alla questione della sovranità monetaria, ha mitigato le proprie posizioni, ma con una certa ambiguità. Da una parte abbiamo esponenti come il vicesegretario Giancarlo Giorgetti, figura di mediazione con Bruxelles nonché firmatario della legge costituzionale 1/2012 sul pareggio di bilancio, che non disdegnerebbe un governo di larghe intese e di media durata guidato dall’ex presidente della BCE Mario Draghi nel caso dovesse venir meno l’attuale maggioranza. Dall’altra, Borghi continua a essere la voce più euroscettica. Nel governo Conte I, la proposta immediatamente accantonata sui minibot, buoni ordinari di piccolo taglio per pagare i debiti della pubblica amministrazione, sembrava il primo passo verso l’uscita dalla moneta unica.
Ed è proprio lo stesso deputato leghista a non fare mistero delle sue posizioni, attraverso TV e giornali: “uscire dall’euro? Nessun argomento deve essere considerato un tabù… Lo farei se avessi una ampia legittimazione popolare alle elezioni, attorno al 50%”. Considerato che secondo i sondaggi attualmente il consenso dei due partiti sovranisti del centro destra, Lega e Fratelli d’Italia, supera il 40%, non sembra essere un’ipotesi così lontana dalla realtà…
Stefano Giuffredi
(In copertina “Matteo Salvini” da linkiesta.it)