Una lettera che non è indirizzata a nessuno e che, forse, ci riguarda tutti. Riguarda le nostre fragilità, le nostre paure e il nostro bisogno di odiare e amare fino agli abissi dell’umano. Una lettera che non è una lettera e che parla, in fondo, soltanto di noi.
“Lei pensa mai di essere il padre di colei che è diventata il simbolo dello sterminio?”
O.F.: “Talvolta sì, ma dopo, a neutralizzare questo malessere, è sempre tornata l’ansia di fare, di agire perché nulla vada perduto di quanto si è fatto, perché la gente non dimentichi.”
Domanda rivolta a Otto Frank, padre di Anna Frank.
Questa lettera non è indirizzata a nessuno in particolare. Potrebbe essere considerata come una piccola molecola del vento che passa di mente in mente, quel vento artificiale che parte da chi ha un pensiero vero e importante, da comunicare.
D’altronde, dopo i campi di sterminio con il solo scopo di ammazzare brutalmente le stesse persone che Ungaretti definisce fratelli tremando nella notte, dopo l’odio rivelato dalle varie sfumature di una stessa pelle, dopo aver permesso alla rete di intrappolarci in una camicia di forza di insulti; come si può non sorridere sarcasticamente quando le persone acclamano Joker al cinema, pensando di essere originali a vederlo non come il cattivone che deve essere eliminato nelle storie che aiutano i bambini a distinguere il bene dal male, ma come lo sventurato che la cruda società ha abbandonato? Beh, forse la gente ha dimenticato.
O forse no. Chiunque è in grado di guardare indietro e, come i ricordi non sono altro che immagini senza più le emozioni di un tempo, seguire il pensiero comune e politicamente corretto del “è stata una cosa orribile, facciamo in modo che non ricapiti”. Non è ancora più grave il fatto di possedere dentro di noi una consapevolezza così profonda come ciò che è bene e ciò che è male, e non saper distinguere la differenza quando siamo noi i soggetti da giudicare?
Almeno in Joker, in Harry Potter, in Hunger Games, in tutti quei film o libri che ci piacciono tanto, l’idea che funziona è che non esista un Bene e un Male, ma solo una soluzione che li unisce in un qualcosa di più profondo e psicologico. Ma qui, in questa cosa così brutalmente semplice, il bene e il male si distinguono benissimo.
Liliana Segre e quell’amore incrollabile per gli uomini
Liliana Segre, 90 anni, sopravvissuta alle peggiori condizioni che la vita – con il nostro aiuto – le ha riservato, è costretta alla scorta. Questo perché riceve ogni giorno duecento insulti, minacce, umiliazioni, da quella parte di popolazione che, non avendo un ruolo particolarmente importante per l’evoluzione del mondo, si sente parte di qualcosa solo buttando a terra le persone che hanno fatto delle difficoltà la loro forza, delle differenze la loro personalità.
Liliana, dopo aver vissuto la maggior parte della sua vita, ha deciso di non rendere tutto il suo percorso inutile provando odio nel cuore per chi dalla vita è già stato sconfitto. Forse prova odio nella mente, dove ragione e cultura schiacciano con il loro peso le sciocchezze.
Nel suo cuore, sono sicura, c’è la vera concezione dell’uomo; quella che dobbiamo ricordare, quella a cui aggrapparci ogni volta che ci sembra di non avere presente chi siamo.
Io vorrei che fossimo ricordati, nella nostra bellezza e bruttezza, come i Vinti di Verga che tentano di elevarsi dalla condizione di miseria a cui sono destinati. Siamo il cigno in gabbia di Baudelaire, l’albatros goffo a terra ma re in cielo. Siamo la materia in cerca di forma, personaggi in cerca d’autore.
Siamo il Don Giovanni estetico di Kierkegaard perennemente insoddisfatto dei piaceri inutili, lo spirito etico che sfoga nel lavoro la sua disperazione. Siamo la paura dell’alternativa e l’angoscia del possibile. Siamo Antigone e Creonte, incompresi come Medea – l’unica donna in grado di agire nel concreto nella tragedia greca –, fragili come Patroclo, indecisi come Agamennone, pazzi come Elettra. Umani come Ulisse.
Uomini e no
Quando vediamo un cucciolo che sta male siamo empatici, quando c’è un lutto siamo solidali, quando vediamo un film su un uomo disturbato e triste che si veste da clown parteggiamo per lui; allora perché bullizziamo una ragazzina con una forma di autismo che si impegna a lottare per il futuro del nostro pianeta?
Perché insultiamo una donna che ha vissuto cose orribili e non riesce nemmeno a odiare chi la umilia?
Siamo davvero unici, noi uomini.
E l’odio che proviamo è l’espressione del non sentirci all’altezza delle situazioni, del non sapere come gestirle senza che ci scivolino via dalle mani mentre soffochiamo. È l’inconscio che ci dice che l’amore è troppo complicato e poco pragmatico, e allora è meglio costruire muri facendo della nostra società un labirinto di stereotipi cattivi.
E così mettiamo prima l’uomo dell’animale, poi prima gli italiani degli immigrati, ma prima gli italiani del Nord perché i terroni del Sud non lavorano quanto noi, prima i ricchi perché i poveri non sanno stare al mondo, poi i poveri perché i ricchi non sanno stare al mondo.
E abbiamo dimenticato tutti quanto ci sentiamo bene quando qualcuno ci dice che ci ama.
Elettra Dòmini
Voci. Un’idea originale di Elettra Domini. A cura di Elettra Domini e Davide Lamandini.