Il recente agguato nei confronti di Mario De Michele ha riacceso i riflettori sulla condizione dell’informazione nel nostro paese. De Michele, direttore del sito Campania Notizie, è solo l’ultimo dei giornalisti che hanno pagato per le diverse inchieste condotte sulla camorra: come lui, in tanti ricevono ogni giorno intimidazioni per il loro delicato lavoro. Nonostante l’articolo 21 della Costituzione riconosca la libertà di stampa, stabilendo che essa “non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”, in Italia persistono diverse criticità. L’ONG Freedom House, per esempio, pur riconoscendo al paese un buon grado di libertà, ha segnalato che decine di giornalisti hanno ricevuto una scorta temporanea o permanente a causa di minacce di morte. Oltre a ciò, l’organizzazione ha sottolineato in particolar modo l’eccessiva concentrazione della proprietà dei mezzi d’informazione.
I giornalisti sotto scorta
In passato la mafia e le inchieste politiche hanno ucciso diversi giornalisti italiani come Giancarlo Siani, Peppino Impastato e Mino Pecorelli. Oggi la situazione non è molto migliore: i dati del Ministero dell’Interno del 1° giugno scorso hanno censito ben 22 giornalisti sotto protezione, mentre secondo l’Index of Censorship tra il 2015 e il 2018 si sono verificate 83 aggressioni e 133 atti intimidatori verso operatori dell’informazione, record assoluto in Europa.
Il simbolo dei giornalisti sotto scorta è senza dubbio Roberto Saviano, al quale fu assegnata nel 2006 per la pubblicazione di Gomorra; bisogna tuttavia ricordare anche la raccapricciante aggressione subita da Daniele Piervicenzi ad Ostia, mentre girava un servizio sul clan Spada; così come le ripetute minacce ricevute da Federica Angeli, sempre per le inchieste su Ostia. Le ritorsioni, comunque, non riguardano solo la criminalità organizzata: secondo alcuni, infatti, Sigfrido Ranucci avrebbe subito la violazione del proprio conto bancario perché Report, il programma che conduce, ha trasmesso delle inchieste su alcuni aspetti oscuri dei partiti di destra italiani.
L’editoria impura e la lottizzazione della Rai
Altra nota dolente è la cosiddetta editoria impura: con questa espressione si intende quella legata a gruppi finanziari con interessi in altri settori. Tale fenomeno in Italia riguarda la quasi totalità dei quotidiani e molte reti televisive. Ciò in contrasto con quanto accade nel resto d’Europa, ove l’editoria pura è molto più diffusa. Questa situazione ha portato il pubblico a sviluppare un crescente criticismo nei confronti dell’informazione da parte del pubblico, percepita come faziosa. Il caso più eclatante nel nostro paese riguarda Silvio Berlusconi, proprietario di Mediaset, Mondadori e Il Giornale: molti hanno dunque denunciato un clamoroso conflitto d’interessi, soprattutto in ragione del suo impegno in politica. Del resto, tanti commentatori hanno attribuito il successo dell’ex Cavaliere anche ai mezzi di comunicazione da lui posseduti.
A ciò si collega anche la controversa organizzazione della televisione pubblica. Infatti sin dai suoi albori la RAI è stata sotto stretto controllo politico (il CDA è ancora eletto da una Commissione di vigilanza parlamentare comporta ad hoc), e i ruoli apicali sono eletti più per ideologia che per merito: per questo motivo si parla di “lottizzazione“. Malgrado svariati tentativi di riforma, l’ultimo dei quali appena quattro anni fa, la situazione resta sempre critica.
Tanta strada da fare
Da questo quadro emerge insomma come, malgrado le garanzie costituzionali, i problemi del giornalismo italiano restino molti. Anche se per fortuna sono lontani i tempi in cui il fascismo schedava e perseguitava chi si opponesse al regime, è inaccettabile che in un paese democratico come l’Italia si registrino certe situazioni. Bisogna agire contro ogni conflitto di interessi che possa compromettere una buona informazione: ciò anche con una coraggiosa riforma della governance della RAI che la sottragga dal diretto controllo politico, come accade ad esempio con la BBC nel Regno Unito.
Al contempo occorre difendere il lavoro dei giornalisti, soprattutto quando delicato e pieno di rischi. In ogni Stato l’informazione gioca un ruolo chiave nei suoi equilibri politici, in democrazia come in dittatura: “la nostra libertà dipende dalla libertà di stampa”, scriveva Thomas Jefferson, e ignorare la questione sarebbe molto pericoloso.
Riccardo Minichella
(In copertina Michael Gaida da Pixabay)