Personale

Questo non è giornalismo

Questo non è giornalismo

Questo non è cambiamento”, urleranno dagli spalti, con i fischietti tra le labbra, i sorrisi beffardi e gli sguardi di fuoco. Non è cambiamento. Non è nuovo, giovane, diverso. Non è quello che la gente si aspettava dopo aver visto delle ottime premesse. Non è nemmeno giornalismo.

Indicheranno e demonizzeranno le stigmate di una colpa mai davvero espiata e una croce da portare in spalla fino al luogo della pubblica esecuzione, come hanno sempre fatto. E rideranno di chi con fatica avanza nel deserto, resistendo al sole più accecante con un dito di acqua nella borraccia e un mare di speranza nel cuore. Si sentiranno traditi, ingannati, vilipesi. Ingenui vittime di qualcosa di più grande di loro. E io lo ammetto, Vostro Onore, il nostro non è cambiamento. Non lo è mai stato, è più un fraintendimento. O meglio, non è il genere di cambiamento a cui siete abituati voi. Purtroppo e per fortuna.

Una rotta da inseguire

La falla penso che sia da ricercare nel sistema, che punta sempre a trovare una facile etichetta per tutto. Del resto, ci hanno sempre educati a classificare, a dividere, a ordinare ogni pezzo di questo mondo, ci hanno detto che dare un nome alle cose serve a salvarle dall’oblio. E che, con il cartellino giusto al collo e la maschera sbagliata sul cuore, anche il lupo cattivo potrà prendere le sembianze della cara vecchia nonna, simulacro di una verità da vendere insieme ai ricordi al mercatino dell’usato.

Certo, una persona influente come lei, Vostro Onore, così capace di fare e disfare la tela della vita, pensavo fosse in grado di distinguere tra intento e possibilità. Ma forse sono io, che scambio influenza per merito e la considero un navigato uomo di mondo abile a tracciare una rotta anche dove rotta non c’è. Una strada che ci possa guidare in mezzo alla tempesta, da Nasso fino a Itaca, per sfuggire alle insidie del tempo predatore e trasformare un ricordo in un ritorno.

Lei voleva il cambiamento, in un battito di ciglia. Forse perché si sentiva vecchio dentro, perché voleva essere sorpreso, voleva giocare al sovrano di un nuovo regno. Ma si sa, da quando è morto anche Dio, nel segreto della cabina elettorale non sappiamo se sia meglio riesumare un dittatore e delegare a lui il peso di scelte che non siamo in grado di compiere o creare il culto di noi stessi, attraverso il pallido specchio di un’identità virtuale. Come un Narciso “moderno” che ha sacrificato il contatto con il mondo reale per avere più contatti in quello potenziale.

Dove ci porta il cuore

Tutto questo non è giornalismo, non lo è. Dovrebbe esserlo, certo, ma non lo è. E con giornalismo intendo cercare di tirare fuori quello che si nasconde dietro alle apparenze, seguire una traccia come un investigatore privato, Esattamente come non lo sono la maggior parte delle testate che si possono trovare online e dei quotidiani che si vendono in edicola. E nella sottile ambiguità linguistica che divide un indicativo da un condizionale sta l’inganno del mondo. In quel dovrebbe ma non è. Nella fragile linea che divide il modo della certezza da quello del dubbio. Ecco, a noi nel frattempo non resta che dipingere ogni giorno un’altra impressione, tra le luci dell’aurora e sperare che il sole non tramonti così in fretta da farci perdere la giusta sfumatura.

Credo che sia necessario far emergere la propria voce ed evitare che questa si mescoli con le altre, che segua la stessa corrente e si perda nel mare infinito del web. Esprimersi e non soltanto reprimersi, quando sentiamo di dover dire qualcosa, di far valere la nostra opinione; quando ci rendiamo conto che troppo spesso nessuno ci ascolta perché il tempo presente ha dimenticato come si ascolta. Allora, forse, è meglio rifugiarsi nell’ipocrisia del condizionale, tempo di ogni occasione persa e tempio di ogni possibile rimpianto.

Non so esattamente cosa sia “questa cosa”. Forse qualcosa, forse nulla. Ma mi piace il nulla, molto di più del tutto, perché mi fa sentire più libero. Preferisco seguire Susanna Tamaro e andare “dove ci porta il cuore”, su una strada che si perde all’infinito, senza un luogo di partenza o un punto di arrivo.

Pronti al decollo

E per quanto riguarda lei, Vostro Onore, la invito a mettersi comodo, il viaggio è appena iniziato. Le consiglio di allacciare bene la cintura di sicurezza, per non rischiare di cadere in un giro della morte, e di fidarsi di noi. Sappiamo quello che facciamo, sappiamo che il nostro non è cambiamento e neanche giornalismo. E sì, ci piace proprio per questo, perché è un “qualcosa di non meglio identificabile”. Durante il decollo non potrà utilizzare dispositivi elettronici e per tutta la durata del volo le suggeriamo di tenere in tasca il cellulare e di guardare fuori dal finestrino. Lo spettacolo la lascerà senza fiato.

Benvenuto in “Personale”, benvenuti in “Personale”; una rubrica che non è una rubrica, di un giornale che non è un giornale, dove ogni autore offrirà ai suoi lettori qualcosa di particolare, proprio, esclusivo. La sua visione del mondo e di ciò che vive ogni giorno. Frammenti di vita vissuta pronti per essere cristallizzati in una goccia di ambra. Perché forse, Vostro Onore, lei è soltanto lo specchio di quello che sono tutti. Di quello che siamo tutti.

Davide Lamandini

(In copertina Sebastiàn Leòn Prado, da Unsplash)

Sull'autore

Classe 2000. Mi piacciono le storie, qualsiasi sia il mezzo che le fa circolare o la persona che le racconta. Credo nella letteratura, nel tempo che passa e nelle torte al cioccolato per le giornate più tristi. Aspetto con impazienza domani e, nel frattempo, leggo, scrivo e traduco qualche lingua morta persa in un passato lontanissimo.
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