Cinema

Joker – Folli da impazzire

Joker

Sapete qual è la parte peggiore di avere una malattia mentale? Le persone si aspettano che ti comporti come se non ne avessi una.

Joker

Non serve avere una malattia mentale per vivere Joker, il nuovo film di Todd Phillips targato DC Comics. È il protagonista, Arthur Fleck, futuro avversario di Batman, a soffrire di un disturbo che gli procura attacchi di risate incontrollabili, oltre che a una perenne depressione, per cui si ritrova a essere alienato dal resto della società, la quale rifiuta con indifferenza tutto ciò che non è conforme ai suoi canoni di “normalità”.

Una logica incomprensibile agli altri

La sua pazzia e l’angoscia dominano per tutta la durata del film, per tutte le strade, in ogni angolo della realtà fittizia in cui si trova Gotham City, un complesso portato agli estremi della realtà attuale, dove ognuno può riconoscersi, perché in fondo in quel personaggio c’è una parte di tutti noi: quella che soffre dell’oppressione della società, che non ci permette di esprimere noi stessi nella misura e nel modo in cui vorremmo e che ci deride quando siamo così coraggiosi da farlo nonostante tutto.

Quella parte che tante volte avrebbe voluto impazzire, anche solo un momento, per sfogare qualcosa di più grande, ma che non si è mai permessa di farlo, dal momento che tutti vogliamo qualcosa da qualcuno, e le persone attorno a noi si aspettano sempre un comportamento “normale”, anche dopo un trauma. Ed è una gabbia spesso insopportabile. Il tempo si ferma durante un trauma: continua a scorrere, sì, ma chi lo subisce rimane fermo, estraniato da ciò che lo circonda, non appartiene più alla realtà comune. E vive di una logica propria, spesso incomprensibile per gli altri.

Qualcosa si è spezzato, e ora entra freddo

Quell’uomo, prima di diventare lo spietato Joker che conosciamo, ha subito traumi di vario genere: alcuni, legati ai momenti in cui si è sentito gravemente in pericolo, minacciato, addirittura abusato e maltrattato. In altri casi sul piano relazionale, nei rapporti conflittuali con gran parte delle persone incontrate, o persino riguardanti l’assenza di rapporti: il rifiuto e l’abbandono subiti quando era ancora piccolo da parte del padre, che aveva scelto di non crescerlo e di non voler in alcun modo far parte della sua vita, giocano una parte importante nel determinare la sua psicologia.

È infatti il solo legame con sua madre a contare, e lei gli è stata vicino nella misura in cui le sue altrettanto precarie condizioni mentali le hanno permesso, ma nessuno è veramente riuscito a prendersi cura di lui. Nemmeno la psicoterapeuta, per quanto poco ci provasse, è stata in grado di far breccia nella sua complessità e, soprattutto, nel suo dolore. Anzi, non appena sono stati tagliati i fondi all’assistenza sociale, non si è posta troppi problemi a smettere di seguirlo.

Il passato non è passato

Joker vive tormentato da un passato pieno di fantasmi e da ricordi dannosi e terrificanti. Sono traditori, i ricordi: come ci racconta Alan Moore nel suo fumetto Batman: The Killing Joke, un momento ti perdi in un luna park pieno di delizie, con i profumi struggenti che ti riportano all’infanzia, le caramelle colorate, i sapori dolci, il diritto di comportarti come ti senti… e poi il momento dopo ti ritrovi ad avanzare a tentoni dove non vorresti, a brancolare nel buio più agghiacciante, pieno di forme spigolose e infide di ciò che speravi di aver dimenticato. Uno spettacolo ripugnante.

Eppure, non possiamo veramente vivere senza quei fantasmi, perché ci rendono ciò che siamo. E il protagonista si ritrova a essere bloccato da una cintura di pensieri solo negativi, seduto sul seggiolino delle montagne russe dello stesso luna park, diretto in quei luoghi del passato traboccanti di risate di dolore e grida soffocanti. Di qui la pazzia è l’unica via di fuga, e la porta che si richiude dietro, dove c’era lui uomo, non si può più riaprire.

Non è solo bianco o nero

Niente e nessuno gli ha mai permesso di sviluppare una sana capacità di gestire le proprie emozioni, così quando smette di sentirsi al sicuro innesca reazioni esagerate, che sfociano anche nella violenza più brutale. Lui che si sentiva diverso dagli altri, lui che nella vita aveva il solo scopo di strappare sorrisi e portare gioia alle persone, le stesse persone che imperterrite e indifferenti lo hanno oppresso, e quindi rovinato, deturpato di ogni briciolo di umanità che aveva, fino a farlo diventare il mostro che alla fine temono più di tutto, il prodotto delle loro stesse sporche mani. Il senso d’insoddisfazione di sé proveniente dall’esterno – dalle aspettative senza compassione – opprime e non può che provocare poi un’esplosione, di rabbia, rabbia repressa, covata per lungo tempo e per questo ancora più amara, che permea quella città fittizia metafora del nostro mondo. Ha per caso colpa di essere nato “diverso”?

Certo, Arthur Fleck è un personaggio le cui sofferenze, seppur umane, sono estremizzate, raccolte tutte in uno, ma chi non si è mai sentito così, anche in minima parte? Intrappolato in un sistema più malato di tutti noi senza alcuna speranza di cura. E siamo poi sicuri che i “cattivi” siano cattivi in assoluto? Anche Joker, generalmente reputato cattivo, è stato a sua volta vittima: della società e di se stesso, della condizione in cui non ha scelto di nascere ma che è capitata e a cui si è dovuto abbandonare cercando di trarne fuori qualcosa di bello con le sue aspirazioni e le sue speranze.

C’è stato il male più distruttivo in quel bene, e almeno un po’ di bene nel male: la liberazione dagli schemi imposti dalla società, liberazione folle, totale, in cui possiamo immedesimarci e percepire anche noi, allora, quantomeno in quel momento, un pizzico di libertà in più.

Nel labirinto si sogna, e noi siamo smarriti

E così per lo spettatore questo film funge da catarsi: almeno lì, affianco ad altri rinchiusi in loro stessi dalle convenzioni esattamente come lo siamo noi, possiamo lasciarci trascinare in una grande esperienza emotiva collettiva. Un prodotto di una società senza empatia. Quanti ce ne saranno come lui? Forse pochi, forse troppi.

A volte la follia può essere anche uno strumento rivelatore, può infatti mostrarci le maschere che noi stessi abbiamo adottato e che forse ci siamo scordati di togliere, e renderci consapevoli dello “strappo nel cielo di carta” pirandelliano. Siamo legati a un mondo che finge di non essere falso, e in cui qualcuno può non riconoscersi; eppure, il luna park è ancora aperto, e le montagne russe continuano nella loro corsa infinita. E qualcuno si chiede ancora come mai il mondo si stia ammalando.

Ma se mascheriamo chi siamo veramente, chi prendiamo in giro se non noi stessi? D’altronde, chi mente a se stesso e dà ascolto alle sue stesse bugie, arriva a un punto in cui non riesce più a distinguere la verità né attorno né dentro di sé, finendo per non avere rispetto per se stesso né, tantomeno, per gli altri; e smette di amare. E se non lo sappiamo, dovremmo guardare di più. Dovremmo guardare meglio. Oltrepassare i confini che non ci appartengono veramente, e farlo davanti allo stesso sentimento di liberazione. E poter dire:

Sto solo uscendo da me stesso.

Sono solo un uomo.

Caterina Tenisci

(In copertina un’immagine tratta dal film Joker, di Todd Phillips)


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