Sono passati due anni dal referendum sulla secessione catalana; un momento di tensione e di grande incertezza nella storia della Spagna e nella storia dell’intera Europa. L’esito allora fu chiaro e inequivocabile: la Catalogna voleva l’indipendenza: la vittoria del “sì” era schiacciante, con ben il 90,18% di elettori favorevoli, appena il 7,83% di contrari e l’1,9% percento di astenuti o schede bianche.
L’esito del referendum poteva scatenare una crisi diplomatica come mai se ne erano viste nella penisola iberica, ma appena due settimane dopo il governo spagnolo aveva a tutti gli effetti annullato le procedure di voto, ritenendole anticostituzionali e lesive dell’unità della nazione.
L’indipendenza
Le ragioni di un’indipendenza possono essere interpretate sotto molti aspetti. La Catalogna è una regione che solo grazie al turismo potrebbe essere completamente autosufficiente. È una delle quattro aree definite “motori d’Europa”, insieme alla Lombardia, il Baden-Wurttemberg e l’Alvernia-Rodano-Alpi e da sola garantisce il 18,7% del PIL spagnolo.
Questa florida regione della Spagna ha, oltre a ciò, una propria identità culturale consolidata, a tratti differente dal resto del paese, e una propria lingua ufficiale, il catalano, che a Barcellona, nelle aree limitrofe, nelle isole Baleari e in parte della vicina regione della Comunità Autonoma Valenciana è utilizzato spesso in alternativa o sostituzione al castigliano, lo spagnolo tradizionale.
Bastano queste motivazioni per spiegare quanto questo territorio sia fortemente interessato da contrasti con il potere centrale di Madrid, il nucleo di una nazione mai negli ultimi anni colpita da così forti ribellioni e dissidi interni.
Una nuova rivolta
Oggi, a due anni di distanza dal referendum, la Catalogna si è ribellata nuovamente. Il 14 Ottobre migliaia di separatisti sono scesi per le strade e per le piazze di Barcellona, giungendo fino all’aeroporto internazionale El Prat e scontrandosi con le forze dell’ordine. L’aeroporto è andato in tilt, decine i voli cancellati e lo stupore generale dei turisti, che si sono allontanati spaventati, in contrapposizione alle scene di violenza che avvenivano all’interno del corteo.
Dal parlamento spagnolo è giunta la notizia che la corte suprema ha approvato la condanna dell’ex vice-governatore della Catalogna Oriol Junqueras a tredici anni di carcere per la scelta anticostituzionale dell’approvazione del referendum. Con lui sono stati condannati la portavoce del governo catalano Carme Forcadell, il leader dell’assemblea parlamentare catalana Jordi Sanchez e altri personaggi di primo piano nel progetto secessionista catalano, come Jordi Cuixart e Josep Rull.
La maggior parte dei manifestanti rientra all’interno del movimento sovranista catalano Tsunami Democratic, che per anni si è battuto per l’autonomia politica e giuridica della Catalogna, opponendosi all’invito al dialogo e all’ascolto reciproco proposto dal parlamento spagnolo.
Le reazioni
Questo clima di fortissima tensione ha riscosso attenzione un po’ ovunque in Europa e giunge ad appena un mese dalle elezioni parlamentari in Spagna, previste per il 10 novembre, le quarte in appena quattro anni. È stato inoltre nuovamente ratificato dal giudice costituzionale Pablo Llarena il mandato di arresto internazionale per il leader del movimento indipendentista Carles Puigdemont, fuggito in Belgio nel Novembre 2017 per evitare la condanna.
Il leader catalano ha rotto il silenzio per descrivere la sua profonda amarezza nei confronti di una decisione che certifica, a suo modo, l’oppressione del governo e l’anticostituzionalità della sentenza, aggiungendo che la sua lotta non si fermerà finché non verranno rispettati i diritti fondamentali dei cittadini.
Anche il Barcellona, una delle squadre di calcio più titolate al mondo, da sempre sostenitore dei movimenti indipendentisti catalani, si è espresso in un annuncio su Twitter a favore del movimento Tsunami Democratic, invitando al dialogo congiunto con il parlamento di Madrid per trovare una mediazione pacifica ai fini di un’indipendenza non violenta della Catalogna. A questo messaggio hanno fatto eco anche il noto allenatore Josep Guardiola, in precedenza allenatore del club catalano e attualmente al Manchester City e il giocatore dei blaugrana Gerard Piquè.
La protesta
Le violente proteste dei movimenti indipendentisti però non si sono fermate a Barcellona, hanno contagiato in breve tempo anche le città limitrofe, come Lleida e Girona, dove le strade sono rimaste paralizzate per ore e dove si è assistito ad una vera e propria guerriglia organizzata tra manifestanti e forze dell’ordine.
Il premier Sanchez, da Madrid, ribatte con forza la sua posizione, condannando le azioni dei leader indipendentisti catalani, colpevoli di aver agito contro le norme costituzionali, e auspicando nel ritorno alla calma il prima possibile, al fine di avviare una trattativa diplomatica per discutere pacificamente in merito alla critica situazione in Catalogna.
Il ministro degli esteri iberico Josep Borrell, catalano di nascita, ha replicato poi alle dure parole dell collega Alfred Bosch, ribadendo l’assoluta indivisibilità politica della Spagna e accusando i leader separatisti ancora a piede libero di totalitarismo ideologico nei confronti di quella frazione di popolo catalano che non si rispecchia nelle loro posizioni.
Gli scenari del futuro
La minaccia della bomba Catalogna, che torna con prepotenza a riaccendersi e che stavolta rischia di far esplodere l’intero quadro geo-politico europeo, è solo uno dei tanti problemi che ha dovuto fronteggiare il governo socialista di Pedro Sanchez nel suo primo anno e mezzo di mandato, caratterizzato da tensioni e da continue alleanze ipotizzate ma mai stabilite, ultima tra tutte quella con Pablo Iglesias e il suo partito populista e sovranista Unidos Podemos.
Già a partire dalle elezioni del 10 Novembre, oltre al futuro del governo spagnolo, scenderà in campo anche il malcontento popolare di sette milioni e mezzo di persone – tanti sono gli abitanti della Catalogna – per cercare di capovolgere una situazione che sembra ormai avviata verso un vero e proprio scontro giuridico, politico, culturale, etico e diplomatico. Il braccio di ferro tra Spagna e Catalogna è solo all’Inizio.
Stefano Maggio
(in copertina “La Catalogna in rivolta“)